Il finto Texas in Val d'Agri

Tutti i dati sullo sfruttamento dei giacimenti di petrolio in Basilicata in una ricerca sull'indotto industriale sulla regione. Che dimostra come le tanto strombazzate «ricadute occupazionali» siano invece ben poca cosa.
20 gennaio 2009
Davide Bubbico
Fonte: Il Manifesto

- Oggi pomeriggio nel Centro Sociale di Villa d'Agri (comune di Viggiano) la Fiom Cgil Basilicata e la Filcem Cgil Potenza presentano un primo rapporto di ricerca sull'indotto industriale dell'Eni in Basilicata. Si tratta di un rapporto che cerca di fare il punto sull'effettivo impatto che l'estrazione petrolifera in Val d'Agri, insieme al funzionamento del Centro Olio di Marsico Vetere, ha avuto finora sul contesto imprenditoriale dell'area e soprattutto sull'occupazione. Naturalmente non solo numeri, ma anche il tentativo di comprendere la natura dell'indotto imprenditoriale coinvolto e le ricadute in termini occupazionali da un punto di vista qualitativo.

Il rapporto è stato voluto dalle due organizzazioni anche per ragionare intorno alla proposta di un contratto di sito contenente una clausola sociale che permetta ai lavoratori delle ditte appaltatrici di conservare, nel passaggio da un'azienda all'altra, gli stessi trattamenti salariali e, più in generale, le stesse tutele dal punto di vista dell'inquadramento, delle garanzie occupazionali, ecc. per evitare ciò che un anno fa è accaduto nel caso del rinnovo del contratto di appalto della manutenzione programmata del Centro Olio, dalla Valteco alla Sudelettra, dove pur a fronte del mantenimento dei livelli occupazionali, altri problemi di natura contrattuale rischiavano di azzerare completamente professionalità, inquadramento e riconoscimenti economici legati all'attività svolta.

Le attività di ricerca petrolifera in Basilicata sono state piuttosto modeste fino alla metà degli anni '90. La scoperta del giacimento della Val d'Agri da parte dell'Eni risale all'inizio degli anni '80, ma solo dalla metà degli anni '90 la società ha deciso di procedere ad una campagna di coltivazione su larga scala e alla costruzione di un Centro Olio nel quale avviene una prima attività di trattamento del greggio (separazione da acqua, zolfo e dall'idrogeno solforato, H2S, un gas inodore e per questo pericoloso e mortale).

In anni successivi è stato poi costruito un oleodotto che trasporta il petrolio dal Centro alla raffineria Eni di Taranto (in precedenza questo trasporto era effettuato attraverso l'uso di camion cisterna, come in piccola parte avviene ancora oggi per i pozzi che non sono collegati alla rete di raccolta, con l'occupazione di circa 120 addetti, scesi ora a 50, riuniti nel Superconsorzio Trasporto Lucano). Attualmente i pozzi di estrazione in Val d'Agri sono 39, ma non tutti sono ugualmente utilizzati. L'esaurimento degli attuali giacimenti in concessione all'Eni è previsto per il 2025.

Le previsioni di investimento da parte dell'Eni in Basilicata formulate, a metà degli anni '90, ammontavano fino al 2002, in 3 mila miliardi di lire. Nel 1998 l'Eni ha concluso con la Regione Basilicata e con l'allora governo un accordo per lo sfruttamento delle risorse minerarie da cui dipendono le cosiddette royalties petrolifere (393 milioni di euro accreditati alla Regione Basilicata alla fine del 2007), una parte delle quali destinate al sostegno delle attività produttive, ma di cui mancano ancora ricadute definitive e soprattutto positive.

Le attività estrattive

Le attività di perforazione sono gestite dalla Saipem (gruppo Eni) e dall'emiliana Pergemine. La gestione dei pozzi, insieme con altre attività come il controllo dei parametri di produzione, sono affidate all'abruzzese Italfluid e all'Apm (Appalti petroliferi meridionali) sua controllata, ma con sede legale a Viggiano. L'affidamento delle attività di manutenzione del Centro e dei pozzi è gestita dalla Saipem Energy Service, che a sua volta l'affida ad altre imprese. Le attività di monitoraggio dell'attività estrattiva, quella che in gergo è definita «attività di giro pozzi» è svolta da operatori Eni. Tutte le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria, di opere civili, servizi ambientali, di sicurezza, ecc. sono, invece, realizzate da aziende esterne all'Eni.

Sulla base dei dati e delle informazioni che abbiamo rilevato si può ritenere che gli addetti che svolgono un'attività stabile e continuativa tra il Centro e i pozzi di estrazione siano complessivamente circa 450. Questo numero comprende oltre ai 180 dipendenti dell'Eni, i circa cento di Apm e Italfluid (gestione pozzi, attività di presidio e di Lpt che consiste nei caricamenti provvisori del petrolio in vasche di accumulo), i circa 60 della manutenzione programmata elettrostrumentale del Centro Olio (Sudelettra, Cosmi, Iniziative Industriali), i circa 30 della Baker (fornitura prodotti chimici) e della Maersk (gestione e verifica dei sistemi di sicurezza), e circa 50 tra Saipem e Pergemine. Altre imprese minori, spesso locali, svolgono poi attività marginali in modo continuativo come Garramone e Gdm (circa 30 addetti).

Una stima degli addetti secondo la provenienza geografica lascia valutare l'occupazione regionale non oltre il 50% (la metà dei dipendenti dell'Eni, i due terzi di Apm e Italfluid, il 90% delle imprese della manutenzione programmata e in misura minore in tutte le altre aziende finora citate con esclusione di quelle dell'indotto minore). Ai 450 addetti impiegati in modo strutturale vanno poi aggiunti una media di 140 addetti che lavorano per conto delle altre ditte appaltatrici (compresi i servizi di trasporto greggio). Nel complesso si può, dunque, stimare un'occupazione giornaliera di 600 addetti, anche se quest'ultimo aggregato di unità di lavoro è presente in numero molto variabile e indeterminabile durante la normale attività di estrazione.

Le imprese appaltatrici dell'Eni

Le aziende operanti nell'indotto del Centro Olio di Viggiano e dei pozzi di estrazione risultavano nel mese di settembre dello scorso anno 83, di cui 24 locali (7 aziende della provincia di Matera e 17 della provincia di Potenza). Complessivamente il numero dei lavoratori che costituisce il potenziale bacino di impiego è stimabile in circa 1.500; quelli dipendenti delle 24 aziende locali sono poco più di un terzo (550 addetti). Con bacino di impiego ci riferiamo ad un numero potenzialmente impegnabile sull'appalto oggetto del contratto, in quanto i numeri effettivi dell'occupazione sono quelli che abbiamo fornito in precedenza. L'impiego di questo bacino di lavoratori non supera giornalmente il 10% della forza lavoro, sia per la particolarità degli interventi, sia per la loro natura non programmata, a differenza delle imprese e degli addetti delle imprese prima citate.

Le aziende coinvolte nell'indotto sono prevalentemente aziende del centro nord, con un numero significativo di imprese lombarde e abruzzesi, un dato che oltre ad essere spiegato dalla diversa specializzazione produttiva di queste regioni risente anche del tradizionale indotto industriale dell'Eni. In queste regioni hanno anche sede le aziende che offrono i servizi a maggior valore aggiunto.

Il maggior numero di addetti è coinvolto nei lavori di manutenzione meccanica e nella manutenzione in generale, a seguire gli addetti dei servizi ambientali e quelli dediti alle attività di controllo e sicurezza. Un dato a parte riguarda le imprese e i relativi addetti impiegati nelle attività di autotrasporto (trasporto del greggio, ma in numero maggiore trasporto di prodotti utilizzati nel primo processo di trattamento, e dei residui di estrazione come acqua, fanghi, ecc.).

Le imprese regionali, definite tali perché la sede legale ricade in Basilicata, sono effettivamente tali nella maggior parte dei casi. Ma il dato che qui ci interessa sottolineare è che la maggior parte di queste aziende si posiziona nella maggior parte dei casi nelle attività tradizionali del ciclo di estrazione e trattamento dell'olio e quindi in quelle con più basso valore aggiunto (tra queste rientrano molte aziende del materano che già avevano rapporti con l'insediamento chimico dell'Eni in Val Basento). La maggior parte di queste imprese sono concentrate nei servizi ambientali e nei vari tipi di manutenzione (come la Sudelettra); le altre nelle attività edili, di carpenteria metallica e di montaggi meccanici. Quasi tutte precedenti alla costruzione del Centro Olio e alle attività di estrazione.

Inchiesta «Tempa rossa», interdizione per la Total?
Il gip di Potenza Rocco Pavese, al termine dell'udienza svoltasi ieri pomeriggio, si è riservato di decidere sulla richiesta di misura interdittiva del pm Henry John Woodcock a carico della Total Italia, a causa del coinvolgimento di alcuni suoi dirigenti in un'inchiesta su presunte tangenti legate all'estrazione di petrolio in Basilicata. La richiesta del pm, che riguarda l'attività avviata da Total Italia per la realizzazione del Centro oli di «Tempa rossa» (il secondo appalto dopo quello, precedente di qualche anno, di Marsico Vetere), è basata sulla legge 231 del 2001 e sulla accuse di concussione e corruzione contestate ad alcuni indagati. L'inchiesta di Woodcock ha portato all'arresto, il 16 dicembre scorso, di una decina di persone, fra le quali l'amministratore delegato di Total Italia, Lionel Levha.

Il dirigente del gruppo petrolifero francese è passato agli arresti domiciliari il 31 dicembre, per decisione del Tribunale del riesame, che ha annullato l'ordinanza del gip nella parte riferita all'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione ma ha confermato i «gravi indizi» per alcuni singoli episodi di concussione e corruzione.

E intanto proprio oggi sarà presentato a Villa d'Agri un rapporto sull'indotto industriale legato alle trivellazioni petrolifere (di cui sopra presentiamo una sintesi a cura di uno dei ricercatori che vi hanno lavorato). Un dossier che dimostra come dal punto di vista occupazionale i risultati, dopo vent'anni di petrolio, siano molto scadenti. Una cosa che da tempo cittadini e comitati denunciavano. Ora si tratterebbe di andare a verificare l'impatto ambientale e sull'economia agricola della Val d'Agri, per capire se il bilancio di un ventennio di petrolio sia in attivo o meno per le popolazioni locali. Tra l'altro, l'area di Tempa rossa al centro dell'inchiesta si trova proprio ai margini di un parco nazionale.

Ora pur valutando le difficoltà connesse alla capacità di generare economie imprenditoriali locali in relazione ad un investimento complesso come quello relativo all'attività estrattiva in Val d'Agri, come già in altre occasioni, ciò non costituisce necessariamente un vincolo alla nascita di nuove imprese specializzate, cosa che l'Eni avrebbe dovuto favorire; imprese in grado di operare anche dopo l'esaurimento delle attività estrattive nel settore delle energie ed in particolare delle fonti alternative. Quello che abbiamo osservato, in altri termini, è che un tale investimento non ha determinato finora la nascita di nuove imprese e solo in pochi casi sembra aver sostenuto la crescita di quelle già esistenti. Si è, dunque, lontani per quanto riguarda l'occupazione, da quelle «significative ricadute occupazionali connesse all'indotto» come pure la Regione Basilicata aveva scritto nel passato Por 2000-2006, quando queste erano state stimate in circa mille addetti (come affermava anche uno studio dell'Iefe-Bocconi). Al di là dell'impatto occupazionale, rimane il problema dell'assenza di iniziative industriali sorte a seguito della costruzione del Centro Olio e delle attività estrattive e dell'effettiva crescita delle aziende locali già impegnate nei settori delle manutenzioni meccaniche ed elettrostrumentali, e nei servizi ambientali, se pure con qualche eccezione. Questo problema era del resto già stato sollevato dall'Api di Matera nel 2001. Eppure secondo le dichiarazioni recenti del vicedirettore dell'Eni, Claudio De Scalzi, in un articolo apparso sul Corriere della Sera del 22 settembre 2008, le ditte lucane in rapporto con l'Eni sarebbero 300 e di queste 60 vi lavorerebbero in modo continuativo.

Note: * Ricercatore università di Salerno, Osservatorio Fiom Basilicata sull'industria meccanica
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