Contaminazioni alimentari nelle aree petrolifere lucane: la Regione Basilicata sapeva dal 2009
Tutti i dati (di cui pubblichiamo le immagini) sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa a Potenza dal Comitato di Reazione civica e dall'Isde (Medici per l'Ambiente).
Metapontum Agrobios monitorava l’ambiente delle aree a rischio da inquinamento da idrocarburi dal 2002, un programma esteso e capillare che le istituzioni non hanno mai debitamente e completamente divulgato: sono stati spesi per le annate 2002/03, 2008/9 e 2009/2010 oltre 6 milioni di euro, in parte prelevati anche dal piano operativo Val d’Agri per studiare la contaminazione di: suoli, falde, aria, flora selvatica e catena alimentare nell’Alta Val d’Agri, in Valle del Sauro, Val Melandro e limitatamente a Pisticci Scalo.
Nel 2008 le falde della Val d’Agri erano piene di cloroformio, come ad Augusta. Nel rapporto del 2008 Agrobios rilevò nei sedimenti di alcuni corpi idrici della Val d’Agri contaminazioni da trielina (tricloroetilene – cancerogeno) e idrocarburi pesanti nei punti di confluenza torrente Alli - fiume Agri e torrente Casale – Pertusillo. Agrobios disse all’epoca che le cause della contaminazione potevano essere due: o sversamento accidentale di greggio oppure procedure non corrette nella lavorazione del greggio. Agrobios definisce “inquinamento diffuso nelle falde nell’area del centro oli” la contaminazione da cloroformio rinvenuto oltre soglia (Agrobios in tutti i resoconti non allega mai i rapporti di prova) in 14 piezometri – la contaminazione da cloroformio in Val d’Agri viene correlata a quella del petrolchimico di Augusta: un parallelismo sconcertante considerata la storia dell’inquinamento dell’area siracusana in questione, dove proprio agenti con caratteristiche mutagene come il cloroformio, hanno causato in migliaia di feti e bambini brutali malformazioni e patologie. Agrobios rinvenne anche sforamenti da dicloropropano, trialometani, bromoformio, dibromoclorometano e dibromometano che arrivò in un caso a 20 volti la soglia di legge.
Idrocarburi e metalli pesanti in querce, lemne e brassiche. Nel 2009 vennero inclusi nei biomonitoraggi anche gli alimenti. Dopo aver trovato nel 2008 presenze puntiformi di mercurio fino a 0,17 mg/kg nella vegetazione acquatica (lemna) con picchi per manganese e zinco fino rispettivamente 53000 mg/kg e 12000 mg/kg, Agrobios escluse comunque fenomeni di bioaccumulo che in seguito sarà costretta ad ammettere per esempio nel caso della “brassica” famiglia di vegetali a foglia larga nella quale rientrano i cavolfiori, le verze etc…. per la quale Agrobios riportò per iscritto che era in corso un effetto di: “accumulo di rame, ferro, piombo, tallio, stagno e vanadio”. Sempre nel 2009 l’Agrobios parlò di bioaccumulo nelle querce campionate presso le aree pozzo della Val d’Agri per i parametri: cadmio, cromo, piombo, nichel e zinco. Poche frasi, prive di dati/analisi, per liquidare un dramma.
Idrocarburi policiclici aromatici nell’olio e piombo nel formaggio. Nel 2009 Agrobios trovò tracce di idrocarburi policiclici aromatici in campioni di olio di oliva, miele, mele e fieno da foraggio nonché piombo nelle patate e nel formaggio. In particolare il piombo nel formaggio campionato registrò valori di oltre 2 mg/kg: l’Istituto Superiore di Sanità in un suo studio del 2009 cita come massimo valore rilevato fino ad allora 0,02 mg/kg. Boro e zinco vennero rinvenuti in tracce considerevoli nel miele, fino a 5 mg/kg. Benzene, etilbenzene, xileni ed altri aromatici furono rinvenuti ripetutamente in: formaggio, insilato, fieno, olio, peperoni, fagioli e patate e per l’Agrobios si “poteva”parlare di contaminazione ambientale che per l’ente di ricerca regionale, che dal 2009 non sarà più accreditato, la fonte contaminante da individuare non era l’attività petrolifera/industriale in corso ma il canale di diffusione degli inquinanti: la colpa della contaminazione degli alimenti sono le acque superficiali o di falda?
Idrocarburi nei peperoni secchi, Pcb nei funghi e cloroformio nel fieno. Nel 2010 fu rilevata anche una contaminazione da PBDE (ritardanti di fiamma) in alcuni sedimenti valligiani, nonché venne ufficializzato il fenomeno di “inibizione dell’accrescimento radicale in alcune piante analizzate”. Alla sorgente dell’Agri venne rilevato nei sedimenti l’isopropiltoluene, e gli idrocarburi continuarono ad essere rinvenuti in: olio, funghi, drupe e peperoni secchi. Questi ultimi vennero definiti da Agrobios come particolarmente interessanti, visto che la loro cerosità esterna sembra essere un ottimo bioindicatore/accumulatore: rilevati all’epoca idrocarburi pesanti nel latte, Pcb nei funghi e nei peperoni e cloroformio nel fieno. Fatto sta che queste relazioni per quanto importantissime sono sempre incomplete in quanto frequentemente non riportano i punti di campionamento, le metodiche d’analisi o i rapporti di prova. Sono relazioni visibilmente filtrate, piene di valutazioni politiche più che tecniche, così estemporanee da cadere a volte in errori gravissimi per dei tecnici come l’affermare che i Pcb non sono correlabili all’industria petrolifera.
Le microcistine nei pesci del Pertusillo: l’acqua non era potabilizzabile? Nel 2010 vennero rinvenute in tre specie diverse di pesci provenienti dal Pertusillo, quantità considerevoli di microcistine, quindi di tossine cancerogene provenienti da cianobatteri (questi ultimi rinvenuti dall’Istituto Superiore di Sanità solo nel 2012 esistevano presumibilmente nel lago almeno da due anni prima ). Tra carpe, carassi e persici-trota le microcistine oscillavano tra 0,85 e 2,01 ng/g, valori che esponevano il malcapitato consumatore anche di un solo pesce da 200 grammi, a serio rischio di cancerogenità. Durante una conferenza di servizi sul Pertusillo (infatti sembra che fino al 2010 fosse periodica la cadenza di questi incontri) parteciparono Istituti Zooprofilattici, Regione ed Arpab
(il direttore Sigillito all’epoca abbandonò la conferenza subito dopo la presentazione delle analisi sui pesci) si arrivò a proporre il monitoraggio di casi umani sospetti di avvelenamento, l’interdizione della pesca nell’invaso e l’interdizione dell’utilizzo delle acque avanzando seri dubbi sull’uso potabile dell’invaso nonché l’analisi di tutti i pozzi artesiani prospicienti l’invaso, oltre all’obbligo di comunicare alla popolazione i rischi nell’utilizzo dell’acqua anche potabilizzata, perché le microcistine non erano potabilizzabili e per distruggerle servivano quantità di cloro troppo al di sopra della soglia di legge. Il tutto finì con un “faremo”.
I dati messi a disposizione dal Dipartimento Ambiente si fermano al 2010, ed avere i rapporti di prova dei suddetti valori ad oggi è stato impossibile: forse la magistratura potrebbe chiudere il cerchio. Agrobios ogni anno riportava nei suoi rapporti la tipica espressione: "fenomeno da approfondire". Siamo nel 2015, con lo Sblocca Italia alle porte, le istituzioni continuano a ignorare lo stato di contaminazione in Basilicata e la magistratura intanto cosa fa? Le associazioni di categoria aspettano la fine? La Regione Basilicata ha nascosto, e probabilmente continua a farlo, alla cittadinanza i dati sulla contaminazione di alimenti e fauna ittica per oltre 6 anni: queste omissioni quali danni sociali hanno causato? Chi invece ne ha giovato?
Giorgio Santoriello - Basilicata24.it
http://www.sivempbasilicata.it/wp-content/uploads/2015/06/06-06-2015RC2010-lavoro-microcistina.pdf
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