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      SanLibero in pillole

      • E' morto un prete

        27 gennaio 2008 - Riccardo Orioles

        E' morto un prete a Catania, che si chiamava padre Greco. Non è una notizia importante e fuori dal suo quartiere non l'ha saputo nessuno. Eppure, in giovinezza, era stato un uomo importante: uscito dal seminario (il migliore allievo) era “un giovane promettente” ed era rapidamente diventato coadiutore del vescovo. Io di carriere dei preti non me ne intendo ma dev'essere qualcosa del tipo segretario della Fgci, e poi segretario di federazione, comitato centrale, onorevole e infine, se tutto va bene, ministro. Comunque lui dopo un anno si ribellò. Che cazzo - disse a se stesso - io sono un prete. E il prete non sta in ufficio, sta fra la gente.

      In evidenza

        "La Repubblica" a Catania non è ancora entrata in vigore

        Oddìo: che succede alla Repubblica? Niente: semplicemente, a Catania non è in vigore. A Palermo c’è, a Messina c’è, ma a Catania in buona parte è proibita. Stiamo parlando della Repubblica intesa come quotidiano: a Catania arriva senza le pagine della cronaca regionale, che qui non viene venduta per non far concorrenza all’unico quotidiano locale, quello di Ciancio. La cosa, oltre che ridicola, sta diventando anche un po’ irritante. A questo punto, che ci resta da fare? Forse uno sciopero...

        Ma perché non facciamo che ci si mette d’accordo, si decide una data, si fa un bel passaparola e per quel giorno nessuno di noi, ma proprio nessuno nessuno, va in edicola a comprare “La Repubblica”? Non sto mica dicendo di boicottare “La Sicilia”, che è un bene necessario per via dei necrologi e delle farmacie di turno. Dico solo di non comprare, per un giorno almeno, “La Repubblica”: che è un bene superfluo, surrogabile con molti altri quotidiani nazionali e, che tra l’altro, si può pure leggere su Internet. Non dovrebbe essere impossibile, in fondo. Tutto sta a mettersi d’accordo.

        La Repubblica Il motivo? Beh, è talmente semplice – e ormai ci siamo talmente abituati – che non ci accorgiamo neanche più dello scandalo. Per chi se lo fosse scordato, “La Repubblica” ha un’edizione siciliana, che si scrive a Palermo ma si stampa a Catania. Quest’edizione tuttavia, a Catania e provincia – come anche a Ragusa e Siracusa – non viene mai distribuita. Ora, la cosa che mi dà più fastidio è che all’editore della “Repubblica” non costerebbe un centesimo distribuire da questa parte della Sicilia un giornale stampato a Catania. Anzi, forse, gli risparmierebbe la fatica di preparare delle copie epurate fatte apposta per noi. Non bisogna pensare che un’idea a prima vista bislacca come lo sciopero dei lettori nasca da chissà quale sofisticato ragionamento politico: il fatto è che io pago “La Repubblica” un euro, esattamente quanto un palermitano o un messinese. E non mi va proprio di farmi fregare il prezzo intero per un prodotto difettoso. Non voglio fare la figura del cretino, tutto qua.

        E poi, vorrei che fosse chiaro: a me leggere “La Repubblica” piace pure. E infatti quel giorno probabilmente me l’andrò lo stesso a guardare su Internet. Ma proprio girando su Internet, non ricordo bene dove, ho letto una convincente spiegazione del perché, per l’editore del mio giornale, un lettore di Trapani, Agrigento, Caltanissetta o Enna dovrebbe valere più di me. Dicono infatti che alla “Repubblica” convenga, dal punto di vista economico, tenersi buono Mario Ciancio, l’editore della “Sicilia” che gli stampa il giornale a Catania e gli permette di arrivare al mattino presto in tutte le edicole del Sud. E dicono che questo sia economicamente più redditizio che raccontare a me e agli altri sudditi di Ciancio quel che succede in Sicilia. Beh, devo dire che li capisco. E siccome sono vecchio abbastanza per non prendere troppo sul serio tutto quello che si scrive sui giornali, devo aggiungere che non li biasimo nemmeno. La talpa della democrazia, come diceva Scalfari, scava un po’ dappertutto. Cambia molto se qui, tra la sciara dell’Etna, non le riesce di fare neanche un buchino?

        Probabilmente, per il resto del mondo, non cambia granché. Ma per me cambia parecchio. Un mio amico mi ha fatto vedere un foglio con tante firme, una petizione da spedire a “Repubblica”; e io, per quel che vale, ci ho aggiunto sotto anche il mio nome. Quando però mi ha detto che voleva fare un convegno e invitare i giornalisti di “Repubblica”, per poco non mi rimangiavo la firma con tutto il foglio. Ne ho visti già tanti, di convegni così. E ogni anno c’era un giornalista di “Repubblica”, uno dei più bravi e democratici, che di fronte alla solita domanda – ma voi, redattori, la farete o no qualcosa contro questo scandalo? – ci spiegava che abbiamo ragione, che dobbiamo assolutamente farci sentire e che sicuramente la redazione ci appoggerà. Dopodiché prendeva l’aereo per Roma e buonanotte ai suonatori. «Un giornalista di Repubblica», così senza fare nomi? No, giusto, facciamo i nomi. Questo discorso l’ho sentito fare a Concita De Gregorio, un cinque gennaio di qualche anno fa. E a Sebastiano Messina, quest’anno all’Università. E a Fabrizio Gatti, che in realtà scrive per l’Espresso (ma è lo stesso gruppo editoriale), sempre quest’anno. E siccome sono tre signori giornalisti e uno di loro è pure siciliano, non escludo che abbiano preso a cuore la situazione e siano solidali con noi. Preso atto della loro solidarietà, non ci resta che esser noi solidali con loro e, appunto, farci sentire. E io non vedo modo più efficace che far sapere in giro che noi potremmo anche non comprare il giornale, se loro insistono a venderci l’edizione taroccata.

        Se fossi uno di quelli che la buttano in politica, magari scriverei una bella lettera al direttore di “Repubblica”. Gli direi che un giornale civile in un Paese civile non ha diritto di svendere i lettori di tre province – Catania, Ragusa, Siracusa – sulle bancarelle del mercato. Gli direi che non m’importa un fico secco, da lettore, se l’editore si vuol fare stampare il giornale da Belzebù. L’unica condizione che pongo è che Belzebù non si freghi ogni giorno sedici pagine di giornale e non mi impedisca di sapere cosa succede vicino a casa mia. Gli potrei scrivere queste e molte altre belle cose, facendo leva sulla sua dignità professionale, sulla sua etica, su questo e su quell’altro. Ma non ho più l’età per queste cose e dunque – con tutto il rispetto per chi continua a raccogliere firme e mandare petizioni – sono dell’idea che sia meglio passare ai fatti.

        La proposta, come dicevo, è semplicissima. Pure troppo per il momento, ma dovete aiutarmi voi. Intanto, segnatevi l’indirizzo internet: www.scioperodeilettori.tk. All’inizio non ci troverete quasi nulla ma, se vogliamo fare lo sciopero, ci serve un punto di partenza. La prima cosa da fare sarà stabilire una data. Io ho la mia idea, ma non voglio discuterne qui. Poi dobbiamo fare una cosa molto semplice: far sapere la cosa ai giornali nazionali concorrenti di “Repubblica”, e vedere se qualcuno di loro – non mi importa con quali motivazioni: à la guerre comme à la guerre ­– è disposto dar spazio alla campagna. Al tempo stesso, però, cerchiamo di vedere se i giornalisti di “Repubblica” sono d’accordo con quel che noi chiediamo. Dovrebbero esserlo, se sono d’accordo con quello che loro stessi ogni giorno scrivono. Ma, se non troviamo il modo di ripeterglielo, mi sa tanto che fanno presto a scordarselo.

        Certo: uno che venga da fuori potrebbe chiedersi per quale motivo, in una città del Sud come Catania, si debba dare tutta questa importanza a un giornale di Roma. E la risposta porterebbe via un bel po’ di tempo e, soprattutto, rischierebbe di essere triste e noiosa. Lascio perdere allora, e vi racconto un’altra storia. C’è in giro a Catania un appello, rivolto al Presidente della Repubblica e al Csm. Io, come dicevo, mi fido poco degli appelli; ma questo – visto il destinatario – l’ho firmato volentieri. L’appello chiede che il prossimo Procuratore di Catania non sia catanese. Ora, i casi sono due: o a Catania c’è un bel pezzo di popolazione che s’è bevuto il cervello e ha deciso di vendersi agli Unni e ai Longobardi; oppure è davvero successo qualcosa, in questa città, che ci costringe a ricordare ad alta voce che siamo, pure noi, cittadini italiani. Non so quanti di voi abbiano mai sentito parlare del “caso Catania” (inteso come caso del Palazzo di Giustizia di Catania). Pochissimi, immagino; anche per il fatto che l’unico quotidiano catanese è “La Sicilia” e che questo giornale non ha mai avuto molta voglia di parlarne. Neanch’io, per la verità, ci ho capito molto. So solo che è stata una storia antipatica, che c’era di mezzo – tra l’altro – un mafioso che costruiva ville e un magistrato che se n’è comprata una. Visto che non è reato comprare le ville costruite dai mafiosi, quel magistrato è rimasto al suo posto e io sono contento per lui. Resto però dell’avviso che sarebbe saggio, ora che si deve scegliere il prossimo procuratore di Catania, trovarne uno che, se deve comprarsi una villa, stia più attento a informarsi su chi l’ha costruita. Intanto perché di mestiere fa il magistrato, e penso che un magistrato debba perlomeno sapere dove sta di casa. E poi perché queste storie, dentro un Palazzo di Giustizia, sono piuttosto imbarazzanti, e si portano dietro strascichi che non finiscono più. Meglio ancora sarebbe – come appunto chiede quest’appello – nominare un procuratore che venga da fuori: perché, non avendo in città né amici né nemici, avrebbe ancor meno ragioni di imbarazzo. E molto più tempo per occuparsi della giustizia.

        Certo, mi piacerebbe essere più preciso sulla questione: ma io purtroppo le cose le apprendo dai giornali. E il giornale che leggo, come vi ho detto, non mi stampa le pagine che potrebbero spiegarmi quel che succede dalle mie parti. Può darsi che mi sbagli, ma forse tutte queste storie hanno qualcosa a che fare l’una con l’altra. Può darsi che mi sbagli, ma può essere che lo sciopero dei lettori non sia un’idea così cretina.

        Note: E i giornalisti di Repubblica che fanno?
        L’ultimo tra i giornalisti di Repubblica ad esprimersi a favore di un’edizione catanese è stato – in ordine di tempo – Sebastiano Messina. Alcuni mesi fa il giornalista è stato ospite dell’Università di Catania per discutere di come la stampa nazionale vede la città dopo i fatti del 2 febbraio. Eh ha invitato i catanesi a sollecitare Repubblica a rompere l’accordo con Ciancio. In passato si erano dichiarati favorevoli ad aprire un’edizione locale anche a Catania altri giornalisti del gruppo La Repubblica-L’Espresso, come Concita De Gregorio e Fabrizio Gatti. Fino a questo momento, a nessuna di queste prese di posizione individuali sono però seguiti fatti concreti.

        Quando e come?
        Se siete d’accordo con quest’iniziativa e volete essere informati con una mail sull’organizzazione dello sciopero, scriveteci a scioperodeilettori@tiscali.it .

        Nelle prossime settimane attiveremo un forum per discutere della campagna e per fissare la data del primo sciopero dei lettori.

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