di Nadia Furnari e Beatrice Pieri
E’ l’alba di lunedì dodici marzo, Pino Masciari si è appena svegliato e si accinge a partire. Deve raggiungere Catanzaro perché l’indomani, deve testimoniare al processo Procopio Fiorito +2 al tribunale di Catanzaro… Un giorno importante!
A tempo debito, con un telegramma aveva preannunciato al Servizio Centrale di Protezione i suoi piani, ma qualcosa non ha funzionato. Pino Masciari testimone di giustizia, che deve andare a testimoniare a favore dello stato e della verità, ad aspettarlo innanzi alla porta di casa sua, per intraprendere il lungo viaggio, non trova i militari, i poliziotti, ma un esercito senza mitra. Sono i ragazzi di ACMOS Libera Piemonte che senza armi e con tanto coraggio si sono offerti di fargli da scorta. Insieme, senza altre scorte particolari, lasciano la località segreta ed iniziano il viaggio verso il sud. Pino Masciari, testimone di giustizia sotto programma di protezione, ha rifiutato il trattamento umiliante che gli ha offerto lo stato accettando quello molto più umano, e, meno formale, che gli è stato offerto dai suoi giovani amici.
La mattina di martedì tredici, come se nulla fosse, i NOP (Nucleo Operativo Periferico) si sono presentati a casa Masciari per “ritirare il pacco” cioè Pino che nel frattempo, assieme alla sua scorta disarmata, ha raggiunto le Calabrie. Solo sul tardi della mattinata, due blindati riusciranno a raggiungerli ed unirsi a loro. Perché? Come mai? Il responsabile dei NOP non era stato avvertito dal Servizio Centrale che il sig. Masciari era partito prima? Un raro esempio di coordinamento che trasmette fiducia e sicurezza ai cittadini.
“Il signor Masciari è un imprenditore edile di Serra San Bruno, (VV), che fu sottoposto al programma speciale di protezione previsto per i testimoni, in data 18 ottobre 1997, poiché esposto a rischio concreto a seguito della decisione di rendere testimonianza all’Autorità giudiziaria in ordine alle richieste estorsive di cui era fatto bersaglio.” Poche righe estrapolate da un documento più corposo, per raccontare Pino Masciari, un uomo che, così come si legge negli atti, non ha voluto più inchinarsi alla ’ndrangheta. Un uomo che ha trovato la forza di dire BASTA. Dove? In Calabria, una terra che solo adesso dà segnali di risveglio.
Raccontare Pino e sua moglie Marisa medico, sarebbe troppo facile, esaltare le loro scelte, la loro coerenza, l’impegno per la giustizia, i processi vinti anche contro poteri forti, sarebbe un argomento narrativo di estrema facilità, ma solo questo non basta, è necessario dirottare l’attenzione su un aspetto che dovrebbe fare indignare la società civile. Pino e Marisa erano una coppia felice, i bambini nati da poco, il cantiere edile da seguire, lo studio medico dentistico di Marisa da avviare dopo tanti sacrifici per prendere la laurea, i bambini da educare. Pensieri e problemi tipici delle famiglie. E poi, il week end nella casa al mare insieme agli amici, ai parenti, le solite tavolate del sud accompagnate da risate, giochi, pettegolezzi e bambini che scorrazzavano per casa. Un giorno Pino, con il parere favorevole di Marisa, decide di non farsi più assillare da quella gentaglia che gli chiede pizzo, tangenti e favori che umiliano la sua dignità, il suo lavoro e quello dei suoi operai (purtroppo tutti licenziati). Decide di denunciare i suoi estortori e di essere d’esempio per la sua famiglia. Non ha idea di cosa gli sarebbe successo, lui vuole solo dire BASTA alla ’ndrangheta e ai suoi fiancheggiatori; non si pone molte domande sulle conseguenze. Forse non sarebbe servito. Da quel momento, i colori che avevano rallegrato la vita della famiglia Masciari sfumano, tutto diventa un fotogramma in bianco e nero sfuocato. Pino e Marisa, non esistono più. Li (de)portano in località segreta, li nascondono per proteggerli ma loro si sentono con la vita spezzata. I bambini sono troppo piccoli per spiegare loro il perché non possono più vedere gli zii, i nonni, i piccoli amichetti; loro stessi si sentono soli, abbandonati. Si alzano la mattina, guardano fuori e vedono la nebbia. Come riempire la giornata? Cosa fare per non dare nell’occhio ai vicini?
Una agonia civile indescrivibile. Per dieci lunghi anni, nessun supporto morale, nessuna telefonata per chiedere come stanno, nessun gesto umano che potesse essere allo stesso tempo, riconoscimento per un cittadino che nella vita ha deciso di alzare la testa, incoraggiamento per chi di testimoniare non ne vuole sentir parlare. Oggi, Pino e Marisa sono stanchi e sfiduciati. Delusi e nauseati. Non sopportano più di essere trattati solo come numeri. Un peso economico per uno stato che anziché proteggerli, ringraziarli per il coraggio e la collaborazione, ignora le loro esigenze, contesta ogni loro iniziativa. Li considera come reclusi. Qualcosa non funziona. Non si capisce a che livello, ma sicuramente c’è qualcosa che non funziona. Pino, che nel passato è stato sempre molto fiducioso, oggi sostiene che “...rifarei quello che ho fatto, ma rifiuterei il programma di protezione...” Sicuramente, in altri paesi europei, Pino sarebbe ancora a casa sua con la moglie Marisa, e i suoi due figli. La testimonianza solo un passaggio importante della loro vita, un evento da ricordare con orgoglio ai figli, ai nipoti, durante le cene con gli amici… Insomma una scena di grande normalità. Ma siamo in Italia, dove i Testimoni vengono deportati e i mafiosi lasciati a casa propria; le storie di denuncia diventano interessanti solo se il testimone viene ammazzato, i giudici diventano importanti solo se vengono fatti saltare in aria mentre chi rimane fortunatamente vivo, viene additato come cospiratore politico.
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