di Francesco Forgione (presidente della commissione antimafia)
Il 30 aprile ed il primo maggio sono stati ricordati due anniversari: venticinque anni dall’uccisione di Pio La Torre e Rosario Di Salvo e sessanta dalla strage di Portella delle Ginestre. Due date che si intrecciano sia per la storia personale di Pio La Torre sia per il loro significato profondo per la lotta alla mafia ed il suo collegamento con le lotte sociali. Negli anni in cui matura la strage di Portella la parte migliore della società siciliana cercava di ribellarsi alla violenza della mafia e la mafia rispose con la strage e con tutta una serie di omicidi di dirigenti del movimento sindacale comunista e socialista. In quegli anni matura quello che è stato definito il sovversivismo delle classi dirigenti, che si concretizzò nell’alleanza tra l’imprenditoria latifondista, la classe politica al potere e la criminalità organizzata. Ognuna funzionale al disegno di potere dell’altra. Fin da allora la mafia dimostra la sua capacità di saper sfruttare a proprio vantaggio le debolezze e le deviazioni del sistema politico ed economico, dall’altro dimostra di temere più di ogni altra cosa i movimenti che coinvolgono larga parte della società: per questo colpisce i sindacati e le manifestazioni di massa.
Pio La Torre forse comincia ad elaborare in quegli anni quella che sarà la sua più grande intuizione: la lotta a Cosa Nostra deve essere basata su una strategia capace di tenere insieme l’azione sociale e la lotta alla capacità di accumulazione di beni e capitali. Anche oggi questa è la natura moderna delle mafie, delle vere e proprie grandi holding capaci di restare legate al territorio di provenienza ma anche di riciclare i proventi sui mercati internazionali.
Ed è su questo terreno che dobbiamo rendere ancora attuale la lezione di Pio La Torre, dobbiamo colpire le mafie nella loro natura imprenditoriale che è quella che consente a Cosa Nostra di rigenerarsi anche quando subisce importanti sconfitte da parte dello Stato. Oggi la mafia approfitta della finanziarizzazione dell’economia per reinvestire con abilità i guadagni delle attività criminose in attività legali, questo è oggi il vero pericolo che bisogna combattere con convinzione: i guadagni della mafia che diventano non più distinguibili nel sistema economico ed imprenditoriale.
Per questo oggi le mafie vanno combattute, vanno inseguite, bisogna dare tutti i mezzi possibili alle forze di polizia ed alla magistratura, bisogna realizzare una mappatura aggiornata del loro potere e del loro insediamento, non solo nel sud Italia ma in tutto il paese e nelle loro proiezioni internazionali, ma non basta. Bisogna elaborare strategie capaci di colpirle nelle loro nuove dimensioni, che non sono solo quelle criminali. Per questo bisogna adeguare tutta la legislazione avendo come riferimento il paradigma della pericolosità sociale dei beni e dei patrimoni slegandola dalla pericolosità del singolo mafioso.
La lotta al riciclaggio deve diventare il cuore di una lotta alla mafia moderna e a questo bisogna dedicare nuovi strumenti investigativi, giudiziari e legislativi: se oggi parliamo di mafie che fatturano 100 mila milioni di euro all’anno, non possiamo che adeguare gli strumenti. In Commissione Antimafia abbiamo aperto l’attività della legislatura occupandoci proprio di confisca e riutilizzo dei beni mafiosi, continueremo occupandoci del riciclaggio anche col Governatore della Banca d’Italia: c’è poca collaborazione su questo piano da parte delle banche, dei notai, delle professioni.
Dall’attività di questi primi mesi vogliamo giungere ad elaborare nuove proposte legislative che rendano più veloce il passaggio dei beni confiscati al riutilizzo da parte della società (oggi ci vogliono da 10 a 15 anni). Come pure intendiamo elaborare nuove proposte per rendere più efficace la possibilità di seguire i capitali mafiosi, anche a livello internazionale, mentre cercano di reinserirsi nel circuito legale. Un altro punto critico, che va a saldarsi con gli interessi economici, è la capacità della mafia di infiltrarsi nella politica. Alla Camera abbiamo presentato una proposta di legge per rivedere la legge sullo scioglimento dei consigli comunali: oggi si può colpire solo la parte strettamente legata alla rappresentanza senza andare a colpire la parte burocratica. Con la nuova proposta di legge vogliamo stabilire tempi certi per la Commissione d’accesso e per le procedure di scioglimento, permettere ai Commissari prefettizi di intervenire anche sulle strutture burocratiche, sciogliere i contratti di fornitura e gli appalti, rendere incompatibili le candidature di chi era coinvolto nell’ amministrazione sciolta. Su questo tema abbiamo anche votato all’unanimità un codice per le candidature alle elezioni amministrative che impegna i partiti a non candidare persone rinviate a giudizio per tutti i reati di mafia, il racket, l’usura, il riciclaggio, il traffico di rifiuti, o persone sottoposte a misure di prevenzione patrimoniali o personali.
Abbiamo scelto di partire dal livello elettivo di amministrazioni che possono essere sciolte per infiltrazioni mafiose, impegnando i partiti a recuperare a pieno la loro responsabilità politica nelle scelte. Recuperando anche in questo una lezione profonda di Pio La Torre che era ben cosciente che la lotta alla mafia non si poteva vincere solo nelle aule di giustizia ma richiedeva un grande movimento di popolo che nascesse da una presa di coscienza della mafia come elemento di repressione e di regressione.
Con questo codice noi affidiamo ai partiti uno strumento per fare pulizia al loro interno, per attuare un percorso vero di riforma; la Commissione però si impegna anche a fare un monitoraggio del rispetto del codice per rendere tutto trasparente di fronte ai cittadini. Perché i cittadini sono vittime della mafia soprattutto nella sua capacità di inquinare la politica: con le gare al massimo ribasso che favoriscono imprese mafiose e servizi scadenti, con i traffici legati al ciclo del cemento con l’abusivismo edilizio e le spese fuori controllo, con i traffici di rifiuti che inquinano il territorio e ne compromettono lo sviluppo, con la privatizzazione di beni primari come l’acqua che possono aprire le porte a nuove forme di sfruttamento controllato dalle mafie.
In Sicilia questo si è visto fino in fondo con le vicende legate alla sanità, alla cattiva gestione di quella pubblica per favorire quella privata, come è avvenuto nel caso di Villa Santa Sofia e come sta emergendo nel processo che ha coinvolto anche i vertici delle istituzioni. Per questo il mio impegno istituzionale si affianca ad una attività continua in giro per l’Italia ad incontrare gli studenti, gli operatori culturali, i protagonisti delle lotte sociali per ridare pienamente alla lotta alla mafia una dimensione di massa ed una trama sociale che unisca tutte le istanze di ribellione alle ingiustizie. Questa è la lezione di Pio La Torre e l’insegnamento della strage di Portella. E non è un caso che in Calabria la ‘ndrangheta abbia scatenato la sua violenza contro le cooperative che gestiscono beni confiscati all’indomani della manifestazione che ha riunito a Polistena migliaia di cittadini per dire no alla mafia. A questo bisogna essere capaci di ribellarsi ogni giorno.