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      SanLibero in pillole

      • E' morto un prete

        27 gennaio 2008 - Riccardo Orioles

        E' morto un prete a Catania, che si chiamava padre Greco. Non è una notizia importante e fuori dal suo quartiere non l'ha saputo nessuno. Eppure, in giovinezza, era stato un uomo importante: uscito dal seminario (il migliore allievo) era “un giovane promettente” ed era rapidamente diventato coadiutore del vescovo. Io di carriere dei preti non me ne intendo ma dev'essere qualcosa del tipo segretario della Fgci, e poi segretario di federazione, comitato centrale, onorevole e infine, se tutto va bene, ministro. Comunque lui dopo un anno si ribellò. Che cazzo - disse a se stesso - io sono un prete. E il prete non sta in ufficio, sta fra la gente.

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        Tutti al lido degli scecchi

        Il nuovo piano regolatore del porto getta cemento e butta fuori i pescatori. Ci vogliono spostare tutti a sud, dove una volta si lavavano i cavalli...". Almeno cento barche da pesca sono già state demolite: il mestiere, che già prima era difficile, è diventato impossibile, non rende più. Al posto della vecchia Catania marinara e barocca, tonnellate e tonnellate di cemento: e non bastano ancora. "Ai miei tempi, il mare arrivava qui...". Ma chi li ascolta più, i vecchi catanesi di quando questa città respirava?

        di Giuseppe Scatà

        “Al lido degli scecchi”, dice Pippo, e sbuffa in una risata. In un mano ha un chinotto e nell’altra una sigaretta. Fa il pescatore. È un pescespataro: “Noi non contiamo più niente. Ci vogliono spostare tutti a sud, fuori, al lido degli scecchi. Dove una volta si lavavano i cavalli”, e qui giù con un’altra risata e un colpo di tosse. Sono al club dei pescatori della Civita. Molti bighellonano stanchi, assetati, altri si rifugiano nei videogiochi. Un ragazzo con gli occhiali si avvicina a Pippo e gli chiede di un lavoro da fare in barca l’indomani, “No, la porto in demolizione, non ne voglio sapere più niente. Già hanno demolito in cento”. Quando aveva sei anni seguì il padre a Torino, alla Fiat, poi non ce la fece più, gli mancava il mare, e scappò su un treno che scendeva giù. Molto giù. Cominciò a lavorare con lo zio a quattordici anni.

        Al porto c’erano quattro ingressi, uno proprio sotto al club. Si andava a fare il bagno e a pescare. Poi hanno cementato tutto: “Se potessi tornare indietro, non metterei piede nemmeno alla playa. Manco ciauro di mare. E’ una vita troppo dura, tutto il giorno sotto pressione, la fatica, la pura del mare, una caffè e una sigaretta dietro l’altra, m’hanno pure tolto tre centimetri di polmone, e per che cosa? Per trenta euro al giorno?”. Butta giù sorsate di chinotto e s’accende una Lucky Strike. “E mettersi in ginocchio per un posto in cantiere? Ormai noi non contiamo più niente. Gli yacht sono i nuovi padroni. I cantieri prima chiedevano 400.000 lire per cinque giorni. Ti lavavi bene la tua barca e riprendevi a pescare. Ora chiedono 800 euro, e chi ce li ha ‘sti soddi? E poi non c’è nemmeno il posto. Tutti yacht”.

        Quelli che una recente pubblicazione, Il filo d’Arianna, (Giuseppe Maimone Editore) chiama piroscafi, come riportato sul sito del comune di Catania: “Dalle statistiche annuali pubblicate dal Ministero della Marina si rileva il sempre crescente aumento degli arrivi di piroscafi e velieri nel Porto di Catania… Il Porto di Catania sta vivendo un momento di grande espansione”.

        Un signore anziano è seduto all’angolo, proprio davanti agli archi. Ai suoi tempi qui arrivava il mare. Si chiama Carmelo. Faceva il marinaio. Andava a prendere grano in Argentina, Stati Uniti e Canada, faceva innamorare le ragazze texane e stanava dal vano motori le ragazze russe di Odessa che si nascondevano per scappare via e farsi una nuova vita con lui. “A Odessa ci andavamo per caricare binari e ruote di treno. Viaggi lunghi. Ma quando scendevamo a terra ci scialavamo. Le russe erano le più belle. La nave era di uno che viveva qua” e mi indica un palazzina lì dietro. “Il mare arrivava fino a qui una volta” e con un piede pesta il marciapiede. “Io quando ero ragazzino buttavo un cartone che faceva il lippo e prendevo i pesci. Un po’ più a destra c’era una signora che vendeva minnulata e fichi, e qui era tutto pieno di barche a vela. Poi arrivarono le bombe. E gli americani tupparono l’acqua con i pezzi dei palazzi abbattuti”.

        A questo punto tu guardi la strada, la vedi piena di macchine e motorini, e pensi che sotto tutte quelle ruote c’è il famoso barocco catanese... “Poi costruirono il muro e il cancello e la dogana, e arrivarono le barche a motore”, “Allora ce ne andammo ad Ognina a fare il bagno. A piedi”, dice la sorella, Pina, “Una bella passeggiata”. Tino, il figlio di Carmelo, è un conzaro da trent’anni, ci spiega tutti i tipi di pesca e ci racconta della guerra intramontabile tra conzari, strascicara, bulistricari, cianciali e cannizzari: “Ognuno cerca di sopravvivere, ma siamo sempre l’uno contro l’altro. E la Finanza e i Carabinieri approfittano. Fanno verbali a destra e manca, ma favoriscono sempre la pesca grossa: strascicara, pescespatari, alongari. Io do a te e tu dai a me. Verbali grossi, che vanno nel penale, tempo un giorno e ti ritrovi con la fedina penale sporca… La pesca a strascico distrugge tutto, è proibita da Capo Santa Croce a Capo Passero. Eppure non gli fanno niente. Quelli, quando vedono la Finanza partire dalla banchina, telefonano alla barca. Ci hanno le sentinelle, ma quando li beccano non gli sequestrano niente. Solo un verbale. O manco quello”. Francesco non pesca più, ma lo becchiamo in una piccola mansarda che snoda una lenza tutta arrotolata: “Troppe regole. E poi prima andavamo a fare il bagno, era tutto aperto, dopo hanno fatto quattro entrate, ora ce ne sono solo due. Dalla parte del mercato del pesce, lì dove hanno chiuso, i pescatori ci hanno fatto due buchi. E certo. Che devono fare tutto il giro?”.

        Nel frattempo, mentre noi parliamo, in consiglio comunale discutono il nuovo piano regolatore del porto. Vogliono gettare migliaia di metri cubi di cemento per fare nuovi edifici, centri commerciali e palazzi alti dai 12 ai 20 metri. Non si vedrebbe più il mare. E si vuole pure creare un nuovo porto turistico a Sud, sul torrente Acquicella (in barba alle normative che ne impediscono la costruzione), così da aumentare i piroscafi e i velieri. Un’interrogazione presentata dal senatore Santo Liotta chiede a parlamento un’ispezione su quello che la commissione antimafia ha già chiamato il Porto delle nebbie.

        Lì, dietro la nebbia, infatti, sta accadendo da anni qualcosa di strano. Le concessioni per le aree del nuovo porto turistico furono respinte nel 2001 da quella Conferenza dei Servizi (cui parteciparono Regione, Provincia, Comune, Autorità Portuale, Genio Civile, Vigli del Fuoco, Sovrintendenza…) che viene sempre convocata per legge prima della discussione di un nuovo piano regolatore del porto. I progetti presentati dalle varie società interessate al porto turistico erano difformi dal Piano regolatore generale. La soluzione del comune è stata sagace: la conferenza dei servizi non è stata riconvocata, il nuovo Piano regolatore prevede il nuovo porto turistico secondo le linee dei progetti presentati nel 2001, prima respinti ma ora automaticamente in gioco e fattibili. Nuovi piroscafi si avvicinano già all’orizzonte. E i pescatori, pescatori da sempre e per generazioni?: “M’è finita con le cozze sotto lo scafo, per non pulirlo. Certo, quelli fanno banchine, club, a 7.000-10.000 euro a posto barca, poi gli danno il cantiere, e a noi ci danno il lido degli scecchi. E stiamo facendo tutti la fame”. Qui Pippo allarga le braccia, e sorride. La bottiglietta di chinotto è finita. Se l’è scolata tutta.

        “Noi non contiamo più niente. E ancora aspettiamo i soldi del fermo biologico di due anni. Ma io al prossimo vado in mare. Mica posso stare così”. Poi guarda verso gli archi. All’angolo c’è ancora Carmelo, il vecchio marinaio, imbambolato verso il muro del porto, “Ci vogliono mandare al lido degli scecchi. E’ tutta gente di fuori. Da quindici anni. Ci fanno la guerra. Yacht, yacht, yacht…”.

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