di Piero Cimaglia
Signora Maria, che fa’ segno? Maria fa segno di sì con la testa, saluta ed esce dalla salumeria con il suo sacchettino della spesa. Poco meno di 500 euro al mese di pensione bastano appena per sopravvivere alla meglio ed anche a pagare il conto, seppure con qualche settimana di ritardo. A Maria gli verrebbe un infarto se dovesse ricevere all’improvviso una richiesta di pagamento di un debito di un paio di migliaia di euro. Meglio che non glie lo diciamo, allora, che questo debito lei ce l’ha. Ogni catanese si porta sulle spalle una cambiale che è in media di circa 2.500 euro. Non lo sa lei come non lo sa suo figlio Andrea, unico che lavora in una famiglia di cinque persone e, dunque, con una cambiale di oltre 12.000 euro da onorare. La firma sulla cambiale l’hanno messa gli amministratori comunali. Basta fare una semplice operazione di aritmetica. È di poco più di 715 milioni di euro l’esposizione bancaria del Comune etneo. Calcolando che la città dovrebbe avere all’incirca 300.000 abitanti, il conto è presto fatto. Ogni bambino che nasce a Catania si trova già indebitato prima di essere deposto sulla culla.
Ci sono delle persone, degli esperti contabili, ragionieri o commercialisti che devono invece fare dei calcoli più complicati: devono controllare che la gestione delle finanze pubbliche sia corretta. Sono i revisori dei conti ed il Comune di Catania ne ha tre. Tra le pagine delle loro comunicazioni, inviate alla Corte dei Conti, viene fuori una realtà finanziaria definita “grave” anche da qualche delibera della stessa giunta Scapagnini. I revisori mettono in evidenza come dalla fine del 2002 ad oggi questa gravità sia diventata sempre più allarmante, vuoi per i tanti nuovi prestiti concessi dalle banche, vuoi per i debiti dell’Azienda Municipale Trasporti. Non si fa cenno ad incapacità gestionali o a spese folli, a ballerine brasiliane, a consulenze esagerate o a milioni da sborsare per un programma televisivo. I numeri scritti nelle relazioni descrivono però una tendenza all’indebitamento che, negli anni, è andato crescendo, accompagnata da un ritardo nei pagamenti.
La causa sono le casse comunali vuote, su cui fanno da padroni i creditori che, armati di decreti esecutivi, minacciano di rifarsi anche sul patrimonio immobiliare. Dai 480 milioni di euro del 2002 c’è stato, fino alla fine del 2006, un incremento di quasi un terzo dei debiti nei confronti delle banche.
La voce più consistente è quella dei mutui bancari, al secondo posto stanno le aperture di credito seguite, nell’ordine, dalle obbligazioni e dalle anticipazioni di cassa. Tutti sappiamo che cosa è un mutuo e le obbligazioni sono l’equivalente comunale dei BOT. Invece le aperture di credito e le anticipazioni di cassa si avvicinano a quella che per un comune cittadino è la “scopertura”: la banca ti permette di spendere più di quanto hai depositato nel tuo conto ma, chiaramente, ti fa pagare di più. Le aperture di credito, in particolare, sono una novità. Dal 2004 il Comune di Catania ha fatto la scelta di indebitarsi anche in questo modo e, per farlo ha dovuto dichiarare la propria disponibilità a vendere gli immobili di sua proprietà, che sono così diventati una garanzia della solvibilità dello stesso Comune. Nel 2005 questa nuova forma di indebitamento è subito aumentata di ben 15 volte.
Sono il 2003 ed il 2004 gli anni in cui cominciano i problemi seri per le casse comunali. Nel primo anno si registra un disavanzo di circa 40 milioni di euro mentre nel secondo vengono spesi altri 42 milioni di euro in più rispetto a quelli incassati nello stesso anno. “Una sovrastima delle entrate – scrivono i revisori dei conti - insieme al mantenimento della spesa nei limiti previsionali ha notevolmente appesantito i conti Comunali e quindi in maniera determinante ha contribuito all’aggravio della tensione finanziaria”. Sarebbe a dire che erano stati previsti incassi superiori a quelli che sarebbe stato giusto attendersi e che, mentre le entrate diminuivano, non si è pensato di ridurre le spese.
La signora Maria, se suo marito si fosse comportato allo stesso modo, gli avrebbe probabilmente rotto le corna. Una amministrazione comunale, dopo il primo anno, avrebbe dovuto correre ai ripari: ridurre le spese oppure aumentare le tasse. Ma le elezioni erano vicine e nessuno dei due provvedimenti avrebbe garantito la rielezione della maggioranza di centrodestra.
Quando una azienda non riesce a pagare sistematicamente i propri creditori va in fallimento. Un Comune invece va in “dissesto”. Se entro tre anni non si ripiana il disavanzo, arriva un commissario, si aumentano al massimo tasse e tariffe, si lasciano dietro la porta i creditori e la Corte dei Conti indaga per individuare le responsabilità. Non è detto che si debba andare a nuove elezioni, ma chi ha governato in questi anni farebbe meglio a non farsi vedere in pubblico per un bel pò di tempo, altrimenti Maria le corna, invece che al marito, li potrebbe rompere a loro. I tre anni sono passati e, negli ultimi due giorni del 2006, il Comune ha deciso di risanare tutto attraverso la vendita di alcuni immobili ad una propria società. Questa società, la “Catania Risorse srl”, doveva pagare 65 milioni allo stesso Comune entro sei mesi. Solo che nessuna banca è stata disposta a prestare questi soldi. Le banche interpellate hanno avuto paura di non avere restituiti i danari e di non potersi rivalere neanche sugli immobili. Infatti la regolarità della vendita è stata messa in discussione dalla Sovrintendenza ai beni culturali. È pendente un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale e la Corte dei Conti, così come la Procura della Repubblica, sta indagando. Il 29 giugno il termine del pagamento è stato spostato praticamente di altri sei mesi e alla stessa società sono stati destinati altri immobili. Il mutuo da richiedere ai banchieri è salito di un paio di centinaia di milioni di euro.
Anche questo debito, seppure intestato alla “Catania Risorse” peserà sulle spalle dei catanesi: visto che il Comune dovrà pagare comunque nuovi canoni d’affitto per degli immobili che non sono più di sua proprietà. Se i catanesi hanno buoni motivi per preoccuparsi, neanche gli amministratori comunali possono dormire sonni tranquilli: sedovessero risultare responsabili, dovrebbero sborsare cifre di molto superiori ai 2.500 euro a testa.