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      SanLibero in pillole

      • E' morto un prete

        27 gennaio 2008 - Riccardo Orioles

        E' morto un prete a Catania, che si chiamava padre Greco. Non è una notizia importante e fuori dal suo quartiere non l'ha saputo nessuno. Eppure, in giovinezza, era stato un uomo importante: uscito dal seminario (il migliore allievo) era “un giovane promettente” ed era rapidamente diventato coadiutore del vescovo. Io di carriere dei preti non me ne intendo ma dev'essere qualcosa del tipo segretario della Fgci, e poi segretario di federazione, comitato centrale, onorevole e infine, se tutto va bene, ministro. Comunque lui dopo un anno si ribellò. Che cazzo - disse a se stesso - io sono un prete. E il prete non sta in ufficio, sta fra la gente.

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        di Antonia Cosentino

        - A cosa si riferisce nel richiamare il caso-Catania? "Il "fatto-Catania" comprende un’ormai inveterata devianza di fondamentali istituzioni e, attorno ad essa, un silenzio di tomba. La devianza, processo che non si arresta, ed il silenzio, condizione della sua impunità e del suo perpetuarsi, sono elementi di un articolato insieme: di una totalità alla quale si inchina il potere centrale, qualunque schieramento lo detenga".

        - Quale funzione ha avuto ed ha il mondo dell’informazione nelle vicende che hanno investito Catania dall’assassinio di Giuseppe Fava ad oggi? "Nel sistema di potere che domina e sfrutta Catania, un posto eminente ha il controllo, totale, dei processi di diffusione della notizia. Tutti nelle stesse mani – mani di grande imprenditore – i media locali sono in grado di oscurare un fatto, di ingigantirne un altro, di determinare, nell’una direzione o nell’altra, i contenuti della coscienza collettiva. Non sono uno specchio della realtà oggettiva, ma la fabbrica di una realtà praticamente più vera (è un paradosso), perché vissuta come tale dalla cittadinanza. Il quotidiano e le emittenti televisive possono cancellare un accadimento, o impedirgli di emergere, o ingombrare la scena con un altro, più o meno inventato. Il monopolio è padrone oltre che della notizia, della comunicazione tra catanesi, che i media rendono impossibile non appena taluno voglia far giungere ai concittadini un appello, una proposta, un invito: se l’invito, la proposta, l’appello spiacciono ai grandi interessi che tengono il campo. I catanesi non possono parlarsi tra loro, a distanza, come ordinariamente avviene in tutte le città attraverso i giornali. Padroni della notizia, lo sono anche dell’immagine degli individui: possono cacciarli di scena assoggettandoli ad una specie di damnatio memoriae, o promuoverli all’esistenza sociale. In una parola, non riferiscono ma creano. Niente esiste che essi non vogliano; e qualunque cosa che vogliono assume per lettori e spettatori l’esistenza che oggettivamente non ha. Il monopolio è invincibile. Catania, fu detto, è un geroglifico maligno, che uccide chi gli si avvicina per leggerlo e offrirne la decifrazione al pubblico. Fava, che provò, ci perse la vita. Uomini di buona volontà che, anni addietro, tentarono di far nascere un foglio alternativo, si videro rifiutare dalle agenzie del ramo ogni attività di distribuzione, e qualche uomo politico richiamare a rafforzare il rifiuto. Per fare un esempio recente: la “cronaca” del convegno, promosso da Rifondazione Comunista, sul tema “Liberiamoci dalla mafia – Da Portella della Ginestra a Catania”, ha amputato dal novero dei relatori tre di costoro. Per i lettori, sia le cose che loro hanno detto, sia il fatto che abbiamo detto qualcosa, sono scomparsi. Lo stesso è avvenuto con il “Caso Catania”, aperto dalle mie dichiarazioni (7.12.2000) e da quelle del magistrato Marino (gennaio 2001) davanti alla Commissione Antimafia, ma subito proclamato chiuso, proprio mentre esso andava spalancandosi; o tramutato da una questione di calci che erano stati dati alla Giustizia, in una di calci da dare a un pallone. Ma nulla di ciò potrebbe esser fatto (e neanche sarebbe tentato) senza la connivenza dei media a diffusione nazionale: connivenza che può essere assicurata solo dalle élites partitiche locali, e dalle loro possenti proiezioni in campo nazionale. Esse sono concordi nel volere che i problemi veri di Catania restino fasciati di silenzio: ignoti ai catanesi, ignoti a tutti nel Paese. Possenti proiezioni, ho detto: alcuni anni addietro erano tenuti da catanesi, contemporaneamente, il Ministero degli Interni, la Presidenza della Commissione Giustizia della Camera, la Presidenza della Federazione Editori Giornali, la Presidenza dell’Ordine dei Giornalisti. Bisogna aggiungere che, come sempre, l’Associazione Nazionale Magistrati era presieduta da un magistrato di Catania, della cerchia egemone che detiene tutti i posti-guida della Procura della Repubblica".

        - Qual è il ruolo della magistratura nel caso-Catania? "Come in tutti i sistemi, nel sistema-Catania gli elementi che lo compongono (il monopolio dell’informazione, che è anche una grande impresa edile, con ingenti interessi nel tessuto del territorio urbano; le cerchie partitiche che, tutte insieme, hanno in mano l’avvenire comunale, qualunque spicchio dell’insieme vinca la competizione per il timone della nave: ma la rotta è sempre la stessa; e la magistratura requirente) si rafforzano vicendevolmente. Il ruolo dell’apparato giudiziario è essenziale, ma non lo è meno l’apporto che gli altri due elementi danno alla sopravvivenza del suo assetto presente, a dispetto di quanto emerso tra il dicembre del 2000 e questi ultimi mesi nel quadro-Catania".

        - E quello della cultura? "Quanto alla cultura, Catania non sarebbe com’è se i suoi chierici fossero diversi. Purtroppo nessuno di essi nega consenso al sistema. Per non fare più di un esempio, la storiografia locale sulla mafia in genere, non ha una parola per la mafia a Catania".

        - L’ex magistrato antimafia Di Lello sostiene che i magistrati esprimono le contraddizioni interne alla società... "Di Lello ha ragione; e forse non c’è situazione come quella di Catania che meglio ne confermi e illustri la tesi. Basti pensare ai rapporti tra magistratura e mafia di San Giovanni La Punta".

        - Perché ritiene necessario che a ricoprire il ruolo di Procuratore della Repubblica di Catania debba essere una figura esterna alla città? "Un Procuratore della Repubblica estraneo all’ambiente, e non ricattabile da nessuno, e non in bisogno di sostegno né dall’informazione, né dalla politica, perché immediatamente forte di un vasto consenso, distruggerebbe il sistema".

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