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      • E' morto un prete

        27 gennaio 2008 - Riccardo Orioles

        E' morto un prete a Catania, che si chiamava padre Greco. Non è una notizia importante e fuori dal suo quartiere non l'ha saputo nessuno. Eppure, in giovinezza, era stato un uomo importante: uscito dal seminario (il migliore allievo) era “un giovane promettente” ed era rapidamente diventato coadiutore del vescovo. Io di carriere dei preti non me ne intendo ma dev'essere qualcosa del tipo segretario della Fgci, e poi segretario di federazione, comitato centrale, onorevole e infine, se tutto va bene, ministro. Comunque lui dopo un anno si ribellò. Che cazzo - disse a se stesso - io sono un prete. E il prete non sta in ufficio, sta fra la gente.

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        "Ci volete alla fame? E noi occupiamo!"

        "Ma la classe operaia esiste ancora?" si chiedono pensosamente politici e intervistatori. Noi non lo sappiamo: fatto sta che - ad esempio - a Catania centinaia di lavoratori, di aziende diverse, stanno occupando da quasi due mesi Provincia e Comune. Giornali e tv non li vedono: ma ci sono. Sono gli ex dipendenti della Conad, della Coem, della Cesame. La città intorno a loro, rincretinita dalla crisi e da Ciancio, tace. Ma loro gridano forte

        di Graziella Proto

        Le banche ci chiudono le porte in facciase non hai busta paga non sei nessuno”. “Abbiamo cercato di stare alla larga dagli usurai, ci facciamo prestare pochi soldi dai parenti, dagli amici, da persone insomma che si fidano di noi”. “E però, dopo sei mesi senza un centesimo cosa bisogna fare? Far morire di fame le famiglie senza tentare nulla?” dice Vincenzo Di Pasquale.. Gli operai occupanti sono un fiume in piena, vogliono parlare, raccontarsi... far sapere le difficoltà che incontrano ogni giorno, i debiti che avevano contratto per l’acquisto della casa, i conti con situazioni dolorose che incontrano strada facendo.

        “Una bella esperienza, - dice Fabio Privitera con ironia - fare un mutuo per comprare la casa, e dopo 4-5 mesi scoprire che non lo puoi più pagare. E meno male che il direttore della mia banca è stato comprensivo, gli ho spiegato la situazione e mi è venuto incontro, non so come avrei potuto fare con 700 euro al mese di stipendio e un mutuo di 500”. Fabio, molto riservato, vorrebbe non parlare della sua brutta storia, ma i colleghi lo spingono, dai racconta. Nel 2004 al suo figlioletto di quattro anni viene diagnosticato un tumore al fegato. Una tragedia durata diciotto mesi, oggi il bambino ha sei anni, è stato operato, sta bene. Patrizia, la sua collega, mentre lui racconta, piange silenziosamente, si commuove tutte le volte che Fabio parla del suo bambino. Sua moglie non lavora, i soldi, pochi, non arrivavano mai. Come hanno fatto? "Banche, genitori di ambedue, poi man mano che arrivavano i soldi si tamponava. A volte facevo qualche lavoretto... Gli altri quando vedono che sei in difficoltà ne approfittano. Venivo assunto come responsabile del supermercato ma in cambio di pochi soldi, tante ore di lavoro”. E cos’altro? Dai racconta, suggeriscono le colleghe, dillo che cosa ti facevano fare. “Pulire i cessi - aggiunge Fabio - Fanno così con tutti... E però, tuo figlio ti cerca qualcosa e tu non gliela puoi comprare... è triste, umiliante. E poi, il bambino in quelle condizioni... cerchi di non far mancare nulla, però manca sempre qualcosa...”. “Noi donne siamo più agguerrite dei nostri colleghi uomini, sappiamo cosa significa gestire una famiglia senza mezzi, senza soldi, nulla da cucinare. Senza un euro per le cose di ogni giorno”.

        Fra i lavoratori Conad che occupano l’aula consiliare della Provincia di Catania le donne sono numerose. Ironiche. Ottimiste. Vivono l’esperienza della occupazione in modo positivo. Non amano autocommiserarsi. Già la vita è così dura, spiegano a più voci.

        Simonetta ha il marito con una forma abbastanza grave di diabete, quindi che non lavora, due bambine con tutto quello che ne consegue in spese scolastiche, vestiario, ecc. Non ha più un parente, è totalmente sola e senza alcun aiuto. “Ho solo i miei i suoceri, sono pensionati, se e quando possono di loro spontanea volontà ci aiutano, io non chiedo nulla anche se le spese per mantenere le due bambine di otto e nove anni e le spese sanitarie sono tante”.

        “Come si vive? - fa dal fondo della sala Piero che alza la voce per fasi sentire - Di elemosine, elemosine civilizzate, perché non ti metti dietro la porta di una chiesa, col piattino, però il senso è uguale. Elemosine ci-vi-li-zza-te scandisce, le hanno inventate i politici, tutti quelli che ci amministrano".

        “A quarantasnove anni deve mantenermi mia figlia?“ dice Nuccia, la più anziana del gruppo, il marito pensionato perché inabile al lavoro. Ha una figlia di vent’anni anni che ha un lavoro part-time, a scadenza. Un salario di 500 euro, può badare a se stessa: la benzina, le calze, qualche cosina per lei. “Ci aiuta, ma trovo terribile tutto ciò. Lo trovo vergognoso, io ancora ce la faccio a lavorare. Eppure ho attacchi di panico, quando le finirà questo lavoro dovrò darle aiuto io”. “Troppo umiliante - spiega Patrizia mentre racconta che arriva alle 7 del mattino e sta nell’aula consiliare della Provincia fino alle 21. “Non ho figli, quindi cerco di andare incontro a coloro che hanno problemi di famiglia. “Comunque - aggiunge - non è che per me sia più facile. Sono vedova e sola, da parecchi anni abito con mia madre e viviamo con la sua pensione di poco meno di 700 euro. Alla mia età chiedo alla mamma i soldi per le sigarette, le calze o la benzina. “Fino a quando pensiamo di rimanere qua dentro? Fino a quando non ci prospetteranno una soluzione, qualcosa di concreto” - rispondono in coro.

        “Sai qual è la beffa? - dice Alessandro che fino a quel momento non era intervenuto - quando passo davanti al supermercato dove io lavoravo e vedo che ci lavorano gli altri. Ci passo tutti giorni perché è vicino casa mia”.

        “Insomma dopo tutto questo tempo e tutte queste umiliazioni, vorrei tornare a casa e dire a mia moglie che ho un lavoro anch’io” conclude Pippo D’Arrigo che, qualche giorno addietro per conto di tutti era intervenuto al congresso regionale deil Pdci, con Orazio Licandro ed aveva emozionato tutta l’assembslea. Rita è la più giovane, abita con i genitori e ha un nipote a carico. Gli ha fatto da mamma, adesso il ragazzo ha 20 anni, è disoccupato. Non ama parlare, preferisce ascoltare. “Mi ascolti - si intromette Marcellino che è quello che raccoglie e conserva tutti i documenti - l’azienda era protetta dalla legge Prodi, non si potevano cedere le licenze, invece l’assessore Rosano prima e Rotella dopo, hanno permesso non solo la cessione delle filiali alla concorrenza ma anche le attrezzature”.

        Alessandra ex impiegata della Conad era andata a pranzare, al ritorno aveva avuto difficoltà a rientrare e raggiungerci. Al telefono ci racconta che all’ingresso ci sono problemi con i lavoratori della Cesame e che un gruppo di poliziotti sbarra il passo a tutti. Dopo pochi secondi la vediamo arrivare trionfante: “Come ho fatto? Ho alzato la voce, gli ho detto sono andata a mangiare, devo rientrare, chiami il suo superiore, e sono entrata”. Basterebbe questo per capire la personalità di Alessandra, che, dai suoi colleghi è tenuta in grande considerazioni, perché ha avuto delle opportunità lavorative, ma ha preferiti restare con i suoi compagni di vita e di lotta. “Rischio - dice sorridendo - ma non potevo andarmene proprio ora”. Nel frattempo i lavoratori della ex Cesame all’ingresso del palazzo della Prefettura sede dell’amministrazione provinciale, cercano di superare il blocco della polizia per raggiungere i colleghi della Conad e continuare la lotta insieme.

        Precedentemente avevano occupato la stessa sala per quindici giorni, poi, dietro un accordo di massima, con le autorità, se ne erano andati. Quel giorno dopo una focosa assemblea avevano deciso di ritornare. Non ci sono riusciti. "La chiamano mobilità, che vuol dire che sei licenziato - spiega Rosario della COEM - perché rari sono i casi, almeno qui in Sicilia, in cui poi torni nel tuo posto di lavoro". "Da oltre otto mesi non vediamo il becco d’un quattrino - spiegano a più voci - da anni ci costringono ad andare avanti con problemi di lavoro che non dipendono da noi...". Senza che nessuno si preoccupi del fatto che devono sbarcare il lunario e onorare i debiti che sono costretti a fare ogni giorno per sopravvivere.

        "Con i protocolli di intesa stipulati in Prefettura relativi alle aziende in crisi era pensato che, in caso di assunzione da parte della Multiservizi di Catania, bisognava utilizzare gli elenchi di lavoratori in mobilità o in attesa di mobilità - ci spiega Giuseppe Giuffrida ex lavoratore della Coem. Però c’è da dire – aggiunge - che furbescamente nell’accordo è stata inserita una parolina, “compatibilmente” è bastato quel semplice vocabolo per fregare i lavoratori in mobilità. E siccome in quasi tre anni, ad oggi, non hanno assunto nessuno di noi, il dubbio fortissimo che quella parolina sia stata messa lì apposta per fregarci, è forte”. "Ma noi continuiamo a ribadire il nostro diritto, altrimenti che protocollo di intesa è? C’è pure una delibera provinciale!”.

        Giuseppe Giuffrida, in mobilità da un anno, quattro figli, percepisce 800 euro che fra pochissimo tempo diventeranno 600. E’ più fortunato del collega Rosario Troina, che assieme ad altri venti ancora non ha nemmeno il sussidio della mobilità perché provengono da una altra realtà, la ELMEC. Tempi tecnici si dice, intanto sono senza un soldo da quasi un anno.

        “Per un giorno di lavoro sono arrivato ad accettare 20 euro” - racconta molto imbarazzato Antonio, due figli piccolissimi di sei e otto anni. Come altri, periodicamente,si adopera per portare a casa almeno un pasto, ma anche tanta amarezza, rabbia ed umiliazioni nel cuore... Non è un crumiro, i suoi compagni non lo pensano certo, aveva bisogno di quei pochi soldi. E’ ancora in attesa di entrare in mobilità. Detto in parole povere, non vede il becco di un centesimo da oltre otto mesi. Si aspetta la pratica da Palermo. Non sappiamo se i suoi due bambini sono d’accordo.

        “Forse siamo stati usati a scopo elettorale - dice amareggiato Giuseppe Coffa - perché quando è stato firmato il protocollo di intesa nell’arco di alcuni mesi ci sono state sia le elezioni comunali che le provinciali”. Giuseppe Coffa, monoreddito (come tutti gli altri suoi colleghi) ha due figli di cui uno studente universitario, che vedendo le difficoltà del padre vorrebbe abbandonare.

        “Comunque - aggiunge Giuseppe Giuffrida – nel tempo hanno fatto di tutto per far vedere che l’azienda era in crisi, per accedere alla cassa integrazione e alla mobilità. Noi non glielo abbiamo permesso... Avevano esternalizzato tutto a discapito nostro e noi eravamo subalterni ad altri …volevano traghettare in una altra società la Coem Power...”. “E’ stato fatto un fallimento pilotato” dicono più voci. “Centodiociotto operai dell’azienda Elmec – dice il senatore Santo Liotta, del Prc - sono dallo scorso marzo in cassa integrazione per il fallimento dell’azienda. Gli ex operai chiedono il riavvio della produzione e la verifica della disponibilità di committenza dell’Enel o di altri imprenditori... Sulla Elmec Spa si addensa l’ombra della possibile bancarotta fraudolenta per cui è stata avanzata richiesta di salvataggio all’Ufficio Imprese in Crisi del Ministero dello Sviluppo Economico”.

        Quella della Coem sicuramente è una storia molto complessa ed ingarbugliata all’interno della quale si sono alternati tanti personaggi. Fra questi, alcuni imprenditori in buona fede, altri con scopi ed obiettivi discutibili. Un certo Maglia per esempio, un oscuro imprenditore che fino a poco tempo fa era ricercato a vista da un gruppo esasperato di suoi ex lavoratori a cui non dava lo stipendio da parecchi mesi. “Maglia Giovanni raccontano alternandosi gli operai occupanti gli uffici della task force del Comune - era, il proprietario della Elmec una gemella della Coem, al giudice che gestiva la nostra situazione, ha offerto una somma maggiore a quella di Tornatore, un imprenditore che stava cercando di pianificare i problemi nostri e dell’azienda, e si è aggiudicato l’affitto del ramo. Su questa persona – aggiungono - le tre confederazioni sindacali avevano dato parere negativo, però il magistrato ha accettato. Magliaaveva già una procedura di mobilità per 28 dipendenti”. “Come mai – chiede Giuseppe Coffa – una persona come questa che ha distrutto due aziende è ancora libero? Come mai non s’indaga?”.

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