di Graziella Proto
“Pigghiai pi fissa a tutti, io volevo quel terreno per costruirci sopra il mio primo centro sociale, i mafiosi del tempo, erano contrari, ma non pensavano che una donna, una giovane donna, potesse tenergli testa, si sono disorientati - Apertamente non ho mai fatto la lotta ai mafiosi della zona, ma qualche dispiacere glielo ho dato - racconta divertita”. “La mafia non ti uccide perché sei una donna - mi diceva spesso mia madre - e forse aveva ragione. Allora questo codice era in uso - aggiunge”. Oppure non la uccidevano perché era la figlia di un ex uomo d’onore? “Forse ma non ne sono tanto sicura, mio padre aveva smesso ancora giovane, e non ha più ripreso per amore di mia madre, da prima che io nascessi... l’ho scoperto quando avevo venticinque anni... è stato terribile”. “Mi dicono che ho ottantasette anni, ma il mio cuore ne ha venti” dice sorridendo e portandosi le mani al petto e ripetendo che fino a due anni addietro guidava la macchina, poi un brutto incidente e da allora rimane a casa accudita amorevolmente da Loredana, una giovane rumena che rimane stupita ogni qualvolta un giornalista si reca da Maria per scoprire le cose e le cause della sua vita.
Maestra elementare nel Belice, da sempre si è dedicata totalmente ai bambini bisognosi, bistrattati, emarginati, violentati. Le vittime delle violenze. Per fare questo ha realizzato una dozzina di case di accoglienza, qualche centro sociale dove, bambini diversi potessero giocare insieme. Fino quando non ha avuto un posto suo, li portava al Baglio, uno spiazzo su cui si affacciavano le finestre della zia Sofia, una vecchia signora dal brutto carattere che si divertiva, ogni qualvolta che il pallone arrivava alle sue finestre, a tagliarlo con un grosso coltello. Maria non si disperava, correva a comprarne un altro”. “Una volta mi sono resa conto che in un anno ne ho comprati cinquanta”
Dopo dieci anni di insegnamento nelle scuole elementari dal 47 al 58, maturò l’idea del villaggio del fanciullo con scuole artigianali ed oratorio, iniziò quindi a progettare e a raccogliere fondi. Ad appoggiare questa suo sogno un amico, Pasquale Almerico, in quel periodo sindaco del paese, nonché dirigente della refezione scolastica e dirigente di partito, che le aveva promesso tutto il suo sostegno, “ero molto amica di Pasquale Almerico. Gli hanno sparato 105 colpi di mitra.
Ho sentito gli spari, sono corsa a soccorrerlo, gli ho preso le mani fra le mie mentre lo sistemavano dentro un’auto, resta con me gli ho detto non te ne andare, non lasciarmi... Lo ha fatto uccidere Vanni Sacco, suo cugino, lui si era rifiutato di dargli la tessera della democrazia cristiana. Era una persona onesta... l’altro un mafioso”. E mentre racconta, si commuove. Piange. Qualsiasi cosa racconti la coinvolge ancora emotivamente e così passa dal pianto alla risata a seconda degli episodi, che sono tantissimi. Fa citazioni colte. Dal 59 cominciò a progettare i centri sociali e conseguentemente iniziò a raccogliere fondi per l’acquisto del terreno; “senza il terreno non era possibile ottenere i finanziamenti per i cantieri - lavoro da parte dell’assessorato al lavoro - vedo cento cantieri lavoro. Alle sette del mattino ero sul posto, compravo il legno, io stessa iniziavo il lavoro”. I soldi non bastavano mai, e il suo stipendio scompariva nel giro di qualche ora, decide di andare in America a cercare fondi per costruire scuole e centri per i suoi bambini.
Il ventuno luglio del 61 da sola partì per l’America e ritornò dopo un anno e mezzo, nel dicembre del 62. Girò un sacco di città, conobbe tantissima gente, raccolse quindici milioni... “I miei compaesani scrissero delle bellissime lettere ai loro parenti e fui accolta come una regina. Alcuni mi chiedevano addirittura l’autografo. Appena arrivai fu fatta una grande festa con Frank Laine il quale mi diede il suo programma per girare insieme a lui. Alla fine con lui feci solo due serate di cui una a S. Francisco”.
“In America - inizia a raccontare divertita - la famiglia Giordella, mi regalò un terreno su cui costruire la scuola elementare. Al ritorno in paese però ebbi la sorpresa di trovare il terreno occupato da un contadino che ne rivendicava l’uso capione, anzi, quando vide che ero ben determinata decise di spianarlo e costruirvi in quattro e quattr’otto, un casolare. Cosa fare? Se ci fosse riuscito, chissà quanti anni avremmo dovuto aspettare, e invece non potevamo permettercelo Assieme ai ragazzini, ogni mattina ci presentavamo sul posto e mentre il tizio spianava, in fretta e furia perché le ore per l’intervento dell’avvocato di parte erano contate, pregavamo, Signore fai rompere il cingolato finché la maestra fa intervenire l’avvocato, ripetevano i ragazzini ad alta voce, Signore fa romper il cingolato finché la maestra fa intervenire l’avvocato... Una litania infinita e monotona. Nel frattempo il vecchio cingolato andava su e giù spianando via via il pezzo di terreno. Signore... ripetevano i ragazzi mentre guardavano attoniti il guidatore visibilmente infastidito, scocciato. Signore fa rompere il cingolato... tru tru tru e il cingolato si ruppe. Urrà urlarono i ragazzini e la scuola si fece proprio lì”. Maria è molto divertita e compiaciuta nel raccontare questo episodio. Le bravate che faceva assieme ai suoi giovani e piccoli allievi, oppure le smargiassate che alcuni di loro facevano all’insaputa di lei, la maestra. Anche se non condivideva, non ha mai giudicato, “io volevo semplicemente dargli una possibilità diversa dal destino che li aspettava. La mafia era lì, li aspettava per piccoli lavori. Non volevo correggerli, desideravo che avessero da mangiare, che potessero studiare, che sapessero che c’era una alternativa...” Lei stessa ha avuto difficoltà a studiare, perché, “Mio padre contadino, non aveva i soldi per farmi studiare fuori paese, ho studiato per corrispondenza, mandavo i compiti a Roma; al diploma presentai uno studio sul metodo preventivo di Don Bosco, ogni scippatore poteva diventare un grande lavoratore. Perché non potevo farlo qui in Sicilia, a Camporeale? Un centro in quegli anni, ad altissima concentrazione mafiosa”.
Anche suo padre era stato un mafioso, un picciotto agli ordini di Nino Saladino, lontano parente della famiglia paterna. “Lo zio Nino faceva tremare di paura, eppure, - scoppia a ridere - era piccoletto di statura, una volta mentre era inseguito dai carabinieri, non sapendo dove nascondersi si nascose sotto la gonna di una vecchia che stava in piedi davanti casa sua. L’ha scampata, perché i carabinieri non hanno pensato di cercarlo sotto la gonna – conclude con una risata”. Mi guarda ed aggiunge smettendo di ridere “non è una leggenda è un fatto vero. Ogni volta che lo zio Nino Saladino usciva dal carcere - continua - mio padre organizzava i picciotti, e quando il boss si affacciava dal portone per salire sulla carrozza che lo aspettava, tutti in coro urlavano viva lo zio Nino, Viva lo zio Nino... e lo zio Nino, saliva sulla carrozza e andava via assieme alle autorità. Poi, mio padre cambiò - sottolinea ancora una volta - diventò una altra persona, è stato tanti anni in America, ha lavorato sodo. Ritornò in Italia nel 1906, e sposò una donna onestissima, colta, di famiglia perbene caduta in disgrazia”. Sua madre è stata sua consigliera ed amministratrice al centesimo. Ha seguito Maria fino alla morte. Lei ne è orgogliosa.
Maria era bella, giovane, spigliata, ma almeno una tentazione l’avrà avuta? “Una sola, e mi ha fatto passare una notte terribile. A San Diego, avevo conosciuto un uomo bellissimo. Mi avrebbe dovuto aiutare a raccogliere fondi. Lo trovai che giocava a carte, era un grande giocatore e l’indomani mi avrebbe presentato ad un ricchissimo italo americano. L’hotel era splendido, tutto rosso dalle tende alle tovaglie da tavola, faceva da contrasto all’azzurro intenso dell’oceano Pacifico che dalle terrazze sembrava ai nostri piedi. Lui continuava a giocava a carte. Me ne sono innamorata subito. Mi turbava molto. Giunta a casa, per tutta la notte non riuscii a prendere sonno, mi feci continuamente tazze di camomilla, l’indomani andai a confessarmi per il turbamento vissuto. Il prete non mi capiva e così mi confessai in latino. Poi andai all’appuntamento e gli dissi grazie ma devo partire immediatamente non posso venire con te dall’italoamericano generoso".