di Rocco Rossitto
Gian dall’espressione buffa e profonda, capelli ricci, baffi e occhiali rotondi. Per anni ha fatto il ferroviere, poi in giro per l’Europa ha fatto concerti e riscosso successo. Ed ecco il suo nuovo album, ispirato e delicato, che ha per titolo Da questa parte del mare. “Da questa parte del mare stanno quelli come me, sta il privilegio di non dover partire, per loro ho scritto".L’immagine è quella della emigrazione e su questa ci spiega che “noi siamo nipoti di gente che è partita. Due generazioni soltanto e abbiamo dimenticato cosa vuol dire essere a casa d’altri a spalar carbone. Ho scritto per me, per impedirmi l’indifferenza”. Ho visto, nel 92, due africani buttati da un peschereccio su un gommone attraccato vicino a riva. Uno di loro è morto sulla spiaggia".
C’è un brano in cui canta “e sono venuto qui tornando sul passo/sono venuto qui a ritrovar l’incanto”. Nella sua vita, spiega, “il viaggio è stato prima completamente immaginario, sono stato a lungo un «viaggiatore immobile», adesso viaggio molto per la musica e torno sempre volentieri perché ho un posto dove mi aspettano e dove ho radici profonde. Ma in quella canzone chi torna sui suoi passi è qualcuno che cerca di ritrovare lo sguardo di una sconosciuta compagna di traversata. Gli occhi che gli hanno dato il coraggio di sopportarne il «delirio freddo».Da “viaggiatore immobile” però, Gian Maria Testa è passato, per felice necessità, a girare in Europa per la musica e dunque il suo punto di vista verso l’Italia ha mutato angolatura, anche in questi anni: “L’Italia è un paese amato per la sua bellezza, un paese desiderato. Ho conosciuto persone che senza avere alcun contatto diretto con l’Italia studiano la lingua italiana per il puro piacere di impararla.
Certo che il berlusconismo non ha fatto una grande pubblicità agli italiani. In molti mi hanno chiesto: ma come avete fatto?".E’ quando gli si chiede, a conclusione di questa chiacchierata chi o che cosa ha influenzato il Gian Maria musicista, risponde pacatamente: “Siamo più o meno il risultato di ciò che abbiamo amato, letto, ascoltato. Tutto il nostro prima sta, digerito, in quello che amiamo, scriviamo, cantiamo adesso. Mi sono reso conto che nelle canzoni si poteva dire tutto ascoltando De Andrè quando avevo 14 anni. Lui mi ha fatto scoprire Cohen e Brassens. Tutti quelli che hanno scritto canzoni per dire una qualche verità, anche piccola, hanno attratto la mia attenzione e continuano a farlo.”