Ci sono due modelli di potere mafioso, uno è quello giapponese - le yakuza - e l’altro quello colombiano. Le yakuza sono delle aziende come tutte le altre, reclutano il personale con regolari inserzioni sui quotidiani e sono abbastanza benviste dalle autorità. Ammazzano raramente (ma in modo atroce), possiedono la loro fetta di Giappone, hanno un’alta opinione di se stesse: si considerano discendenti diretti dei samurai e hanno un sacco di tradizioni (un po’ kitsch, veramente) che fanno la loro figura nei film e sui giornali. Portano rigorosamente la cravatta.
Niente di ciò in Colombia, dove alcuni boss si vantano di essere ancora analfabeti. Si ammazza per tutto e per niente, in una società violentissima (mafia o non mafia); nelle annate tranquille c’è "solo" qualche centinaio di omicidi. Tanto sono elitarie le yakuza, tanto sono "popolari" i colombiani: il boss più famoso, Pablo Escobar, si vantava di dar lavoro a tutti i compaesani e quando morì ammazzato ci furono processioni e cordoglio dappertutto (a proposito: come si chiama il più famoso boss giapponese? Non lo so. E’ indicativo).
Sia in Colombia che in Giappone la mafia ("cartelos" o yakuza, è lo stesso) è parte imprescindibile del potere. In Colombia comanda in alcune zone, apertamente e totalmente, lasciando per le vie i cadaveri degli eventuali rappresentanti cocciuti dello Stato. In Giappone comanda di meno, e con più discrezione, ma dappertutto. In entrambi i paesi, non se ne potrebbe più - tranne rivoluzioni - fare a meno: una classe dirigente totalmente non-mafiosa là non è mai stata vista da nessun cittadino vivente.Parliamo di paesi esotici, naturalmente: così, tanto per passare il tempo. Un paese dove fra i maggiori banchieri ci sono affiliati mafiosi (tipo Calvi o Sindona, per esempio) da noi non s’è mai visto. Un paese dove alcune provincie sono apertamente governate dai clan (la locride o il casertano, per esempio), da noi nemmeno ce l’immaginiamo.
E allora? Niente: continuiamo a fare questo lavoro, per quel poco che vale, sperando nei ragazzi che conosciamo.Le cose che succedono - cose belle, vogliamo dire - non sono poche; in Calabria, a Palermo, i ragazzi non solo fanno antimafia ma la fanno anche in maniera sempre più seria e sempre più "sociale". A Catania, l’altra settimana, c’è stata la prima riunione operativa (in un povero centro popolare di quartiere) dei gruppi giovanili antimafiosi. Ne abbiamo fatta di strada, dai tempi di Falcone. Ma l’abbiamo fatta soltanto noi (noi "giovani", noi "giacobini", insomma noi senzapotere), non l’ha fatta affatto il complesso della politica e dell’intellettualità nazionale. Sensi di colpa ogni tanto, davanti a qualche evento drammatico o a qualche figura umana che proprio non si può ignorare, Ma analisi del paese, determinazione, volontà non retorica di cambiare, nisba.
In questo siamo proprio Giappone.Da questo modesto giornale potete imparare delle cose interessantissime sulla classe dirigente di questo paese. Non tanto dagli articoli che scriviamo (che già, di questo tipo, sono rari), quanto dalle pagine di pubblicità. A pagina ventotto trovate la pubblicità della famosa ditta di produzioni siciliane (compare in tutti i giornali, no?), trovate cioè la sua assenza: perchè gli imprenditori nostrani, sui giornali così, non hanno mai messo manco un’inserzione. A pagina trenta la pubblicità istituzionale del grosso ente pubblico (che ora è "di sinistra"); trovate cioè di non trovarla; e dire che sui giornali non-antimafiosi c’è. Curioso...