Citizen science

Open Data, citizen-science e ambientalismo

L'esempio di PeaceLink a Taranto e possibili campagne in Sicilia
Francesco Iannuzzelli12 giugno 2019
Fonte: Comitato No MUOS https://www.nomuos.info/

Intervento al convegno "La Sicilia fa la guerra: conflitti, immigrazione e devastazioni ambientali" organizzato da diverse realtà politiche catanesi interne al Movimento No Muos, e svoltosi il 12 Giugno 2019 presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Catania

Questo articolo riprende l’esperienza dell’Associazione PeaceLink, nata a Taranto nel 1991 e da quasi tre decenni attiva nel mondo dell’ambientalismo e pacifismo italiano, per esplorare come l’uso dei dati aperti e delle tecnologie informatiche moderne da parte di cittadini competenti possa rappresentare uno strumento non solo educativo ma anche straordinariamente efficace.

PeaceLink – Telematica per la pace

PeaceLink (in inglese “legami di pace”) nasce a Taranto nel 1991 come associazione di volontariato che pone al suo centro principi fondamentali come la solidarietà, la difesa dei diritti umani, l’educazione alla pace, l’antirazzismo, la difesa dall’ambiente, da promuovere e realizzare anche attraverso l’uso di reti telematiche. PeaceLink fu fondata nell’era antecedente alla diffusione di Internet e operava mediante reti telematiche preistoriche, come BBS e Fidonet, e ovviamente l’associazione ha adattato in seguito i propri strumenti tecnologici, cercando sempre di esplorare le frontiere digitali, di coinvolgere esperti volontari nei vari campi, e di produrre informazione e realizzare campagne sempre incentrate sugli obiettivi che si era prefissata.

Tra le numerose campagne si possono citare AfricaNews (creazione di una redazione di notizie dal continente africano), Kosovo (contro la guerra del 1991), Porti Nucleari (contro la presenza di naviglio a propulsione nucleare nei porti italiani), Bandiere di Pace (campagna socio-telematica di protesta contro la guerra in Iraq), G8 Genova (raccolta di documentazione sulle violenze perpetrate dalle polizia italiana), F-35 (contro la spesa folle relativa all’acquista dei cacciabombardieri statunitensi), Uranio Impoverito (contro l’uso di armi all’uranio nelle guerra in Bosnia, Kosovo e Iraq).

Di fronte all’evoluzione accelerata dell’uso di Internet negli ultimi 10 anni, siamo rimasti in parte affranti nel vedere come uno strumento in cui confidavamo per le sue potenzialità educative e comunicative sia stato piegato ad operazioni di manipolazione collettiva, creando forme di dipendenza e ignoranza che hanno avuto un impatto fortemente negativo sulla società italiana e mondiale.

Al tempo stesso continuiamo a ritenere i moderni strumenti tecnologici – appunto – degli strumenti, dal cui uso e diffusione non possiamo prescindere, tanto più visto che nel tempo abbiamo acquisito competenze e conoscenze critiche estremamente utili. Ci troviamo quindi ancor più motivati a non cessare di operare su questo fronte, ma anzi decisi a individuare le forme e gli spazi in cui un’azione inevitabilmente minoritaria possa essere efficace a magari anche dirompente.

In questo articolo vedremo come uno di questi spazi, l’analisi dei cosiddetti open-data, possa avere un valore significativo in campagne ambientaliste e antimilitariste.

Open data

Il concetto di dati aperti (open-data) nasce nel mondo accademico, ben prima dell'avvento di Internet, spinto dalla volontà di trasparenza e condivisione che i ricercatori volevano sia per quanto riguarda i dati utilizzati nelle loro ricerche che per quelli prodotti dalle stesse.

Dopo la diffusione delle reti telematiche sono stati i governi e la pubblica amministrazione ad adottare Internet per l'offerta di servizi ai cittadini, sebbene in maniera molto varia e incoerente, a causa della mancanza di accordi internazionali e della complessità del contesto, dove alle necessità di trasparenza si affiancano i vincoli della privacy e del copyright.

L'Italia ha recepito il concetto di dati aperti nel “Codice dell'amministrazione digitale” (D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82), in particolare nell'articolo 68. Tralasciando i dettagli tecnico-legali che regolamentano l'adozione dei dati aperti da parte dell'amministrazione pubblica italiana, vogliamo concentrarci sulle conseguenze di questo importante passo, in particolare su come, di fronte a una maggiore trasparenza accompagnata dalla disponibilità di dati grezzi aperti, si aprano delle nuove modalità di partecipazione da parte dei cittadini. Nel mondo della “cittadinanza digitale” i cittadini non sono solo controllori dell’attività dell’amministrazione, ma essi stessi potenziali attori in quanto in grado di elaborare, collegare, approfondire dati aperti e illustrare e denunciare ciò che deriva da questo lavoro.

Per completare questo scenario, in cui il mondo accademico e quello amministrativo forniscono importanti informazioni come open-data, dobbiamo volgere lo sguardo anche al mondo delle aziende private, in particolare a quei fornitori di servizi su Internet, spesso statunitensi, che offrono accesso ai propri dati. Si pensi a Google e ai social network. La maggior parte di loro offre un API (Application Programming Interface – ovvero un’interfaccia di interrogazione aperta ai programmatori) che permette a chiunque con un minimo di conoscenze informatiche di accedere a informazioni utili. Non mancano gli abusi (come il caso di Cambridge Analytica e Facebook) ma di fronte a questo scenario abbiamo solo una possibilità: capirlo, approfondilo e usarlo per non esserne usati.

In particolare nel mondo privato, dove non esistono norme che regolamentino l’apertura dei propri dati e delle proprie interfacce , le barriere all’accesso sono spesso alte, sia in termini di competenze che di formalità burocratiche. Per esempio, dopo il caso di Cambridge Analytica Facebook ha regolamentato in maniera molto più rigorosa l’accesso alla propria API, e Twitter ha addirittura rimosso alcune funzionalità di diffusione automatica che erano state utilizzate dalla cosiddetta “Bestia” di Salvini. Inoltre spesso queste API, o questi dati aperti, sono nascoste in aree remote di Internet, poco o per niente documentate, basate su formati non standard e modalità di interrogazione non appropriate che non le rendono facilmente fruibili.

Citizen-science

Citizen-science Per quanto descritto sopra, dobbiamo fare tesoro delle competenze disponibili all’interno del vasto mondo del volontariato. Nasce quindi una nuova figura, quella del “cittadino competente” che utilizza e approfondisce le proprie conoscenze, le condivide e le scambia con altri cittadini, sotto la supervisione di esperti in grado di individuare eventuali errori. La citizen-science nasce anch’essa nel mondo accademico, dove ci si è spesso appoggiati a cittadini volonterosi nella realizzazione di ricerche che sarebbero state altrimenti impossibili, ad esempio per vincoli finanziari o di distribuzione territoriale.

Al tempo stesso, il coinvolgimento di cittadini in attività di ricerca svolge un ruolo educativo di straordinaria importanza. Le relazione tra scienza e cittadinanza acquisisce così nuove valenze, in quanto non solo i cittadini possono essere coinvolti nel produrre conoscenza scientifica affidabile, ma la scienza stessa si trova inevitabilmente a dover rispondere alle necessità e domande dei cittadini stessi e a dover parlare il loro linguaggio.

Dobbiamo altresì considerare come ricerche di questo tipo si posizionino in un’area grigia, a metà tra l’aspetto puramente educativo e quello rigorosamente scientifico, e che possono essere accusate di approssimazione e screditate se non svolte con estrema cura.

Per questo la collaborazione tra “citizen-scientists” non professionisti e ricercatori professionisti è fondamentale. Nelle sue campagna, PeaceLink si è sempre interfacciata con esperti i quali hanno convalidato e a volte anche rilanciato le denunce e le richieste dell’associazione.

Il punto è che questa collaborazione acquisisce molta più rilevanza nel momento in cui i cittadini hanno un maggiore accesso alle informazioni tramite i dati aperti. Si comincia quindi a delineare un modello di campaigning che parte dai dati aperti, per passare attraverso la loro analisi da parte di cittadini competenti coadiuvati da esperti, per arrivare alla comunicazione al grande pubblico di quanto scoperto in stretta collaborazione con i media.

Solidità e “notiziabilità” dei dati aperti

Un episodio recente che ha portato alla ribalta l’associazione PeaceLink è avvenuto quando il suo presidente – Alessandro Marescotti – ha incontrato l’allora ministro del lavoro Di Maio, inchiodandolo di fronte alla responsabilità di aver affermato che l’inquinamento a Taranto stava diminuendo, quando invece i dati mostravano esattamente l’opposto. Il ministro, in evidente difficoltà, è stato anche redarguito con una frase (“Ministro, mi guardi”) che è presto diventata virale.

Ma a parte la situazione in parte ironica – un insegnante che riprende un ministro come fosse uno scolaretto qualsiasi, palesemente imbarazzato e consapevole di non aver svolto il proprio compito – e in parte drammatica, se si pensa che si sta parlando della salute della popolazione di una città intera, occorre considerare il come si sia giunti a questa situazione, ovvero come un’associazione di cittadini volontari sia riuscita a inchiodare le istituzioni di fronte alle proprie responsabilità.

Vogliamo sottolineare due aspetti chiave in questo percorso: la solidità delle analisi svolte sui dati aperti, e la loro “notiziabilità”.

La solidità di un approccio basato sui dati aperti deriva dal fatto che questi dati sono forniti proprio dall’amministrazione pubblica, o da istituzioni super-partes. Ovvero non ci si sta inventando niente e quindi non si può essere accusati di manipolazione o incompetenza, si sta solo elaborando e presentando in maniera leggibile quello che è già pubblico, e la cui attendibilità non può essere messa in discussione, anche perché convalidata da esperti nel campo. Le istituzioni non possono smentire sé stesse. Abbiamo già accennato a come sia necessaria una fase di elaborazione dei dati che debba essere rigorosamente accurata, ma che è alla portata di molti, occorrono solo alcune competenze statistiche e informatiche mediamente avanzate.

Il passo seguente, che vogliamo sottolineare in questa sezione, è quello di trasformare queste informazioni in notizie, rendendole fruibili alla stampa e al pubblico mediante essa. La cosiddetta “notiziabilità” è la presentazione non riduttiva, ma sintetica di quanto di rilevante è emerso dalla suddetta elaborazione. Non è solo un sommario, è un sommario eclatante, solido, nuovo, e pronto all’uso, di fronte a cui il giornalista non può esimersi dal fare da cassa di risonanza.
Potremmo quindi riassumere il percorso tipico di una campagna basata su dati aperti in queste fasi (tra parentesi alcuni termini tecnici):

  • individuazione dei dati (open-data) e delle interfacce (API) da interrogare
  • acquisizione dei dati (querying / scraping) e loro eventuale trattamento (tidying) per rimuovere dati spuri e per renderli meglio processabili
  • analisi (data mining, machine learning)
  • estrazione di informazione rilevante
  • validazione tramite esperti
  • preparazione di infografiche riassuntive (data visualisation)
  • comunicazione alla stampa

Campagna ILVA

Vediamo ora alcuni esempi di applicazione di questa metodologia nell’ambito della campagna portata avanti da PeaceLink nel corso degli ultimi 15 anni a Taranto, dove la presenza del colosso siderurgico dell’ILVA ha causato un enorme danno all’ambiente e alla salute della popolazione, volutamente ignorato e sottovalutato dalla maggior parte degli imprenditori, politici, amministratori, sindacalisti ed esperti coinvolti.

2005 – La diossina

Si comincia proprio dalla scoperta di un registro pubblico, allora noto come EPER (European Pollutant Emission Register) ed oggi rinominato E-PRTR, che riporta i dati relativi all’inquinamento da diossina a livello europeo. Nascosto nel sito dell’agenzia europea per l'ambiente, contiene al suo interno (pag. 107) un’informazione sconvolgente: l’Ilva di Taranto è da sola responsabile per l’8.8% dell’inquinamento da diossina in Europa. Non ci si può neanche nascondere dietro la barriera linguistica, gli stessi dati sono riportati in Italia nell’Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti (INES).

Questi dati vengono presentati in una tavola rotonda organizzata dalle associazioni ambientaliste tarantine presso la Facoltà di Ingegneria di Taranto, denunciando come manchi del tutto un sistema di monitoraggio della diossina.

Il risultato è che, di fronte all’evidenza, nel 2007 l’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) Puglia comincia finalmente il monitoraggio del camino 312 dell’Ilva, quello principalmente imputato per l’emissione di diossina.

2008 - Il pecorino

Un principio fondamentale nel monitoraggio ambientale è quello di non concentrarsi solo sui dati fisici / chimici grezzi, ma di andare a vedere come l’inquinamento si propaghi nell’ambiente e nella catena alimentare. Occorre quindi individuare animali e piante che svolgano il compito di bioindicatori in grado di fornire indicazioni rilevanti per la popolazione che vive nel medesimo territorio.

Il formaggio fatto analizzare da PeaceLink. Superati i limiti di legge per diossina e PCB

Di fronte alla sordità delle istituzioni a operare questo tipo di monitoraggio, non restò altro che autofinanziarsi per svolgere un’analisi indipendente di formaggio pecorino, acquisito da un pastore il cui bestiame pascolava nei dintorni dell’Ilva, e farla eseguire dal laboratorio INCA di Lecce.

In questo caso non siamo di fronte a dati aperti, i dati ce li siamo dovuti andare a cercare con un monitoraggio indipendente, assistito da esperti nel campo delle diossine. E abbiamo ovviamente rilasciato i dati del nostro monitoraggio in formato aperto.

I risultanti furono allarmanti: la somma di diossine e di PCB (policlorobifenili) superava di 3 volte i limiti di legge, e fu presentato di conseguenza un esposto alla Procura della Repubblica di Taranto. Questa denuncia rappresenta un passo fondamentale nella lotta contro l’Ilva, perché proprio da quel pecorino è cominciata l’inchiesta della magistratura.

2011 - IPA

misurazioni ipa, ecochem pas 2000

L’idea del monitoraggio autonomo ci porta a un passo ulteriore, ovvero l’acquisto, grazie a una donazione, di un analizzatore portatile di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), l’Ecochem Pas 2000. Si tratta del medesimo strumento utilizzato dall’ARPA ma con una caratteristica fondamentale: l’essere portatile, e quindi il poter effettuare analisi a campione in varie località.

Gli IPA sono una famiglia di inquinanti cancerogeni, di cui il più noto è il benzo(a)pirene, emessi da processi industriali, fonderie, impianti di lavorazione del carbone e del petrolio, inceneritori, ma anche veicoli, incendi, combustioni in agricoltura, fumo di tabacco, e vulcani. Il poter disporre di un analizzatore portatile ha permesso a PeaceLink di andare a effettuare misurazioni accurate in prossimità della loro fonte (l’Ilva), ad esempio nel quartiere Tamburi, e confrontarle con quelle fornite dalle stazioni fisse dell’ARPA, mettendo ulteriormente pressione sulle istituzioni affinché rilasciassero dati puntuali e aggiornati.

Un esperimento casuale: l’abitacolo delle automobili

Idrocarburi Policiclici Aromatici dentro e fuori dall'abitacolo dell'auto

A volte lo scoperte più eclatanti avvengono in maniera casuale. È così successo che, lasciando l’analizzatore di IPA acceso per errore durante un tragitto in macchina, venisse registrato un picco significativo, visibile nel grafico a fianco. Insospettiti da queste rilevazione, abbiamo ripetuto l’esperimento con diverse automobili, riscontrando sempre valori ben oltre la norma. Sembrerebbe quindi che proprio l’abitacolo delle automobili, descritto nelle pubblicità come un ambiente confortevole e moderno, sia invece un posto da evitare il più possibile. Tanto per fare un paragone, in termini di IPA cancerogeni, 10 minuti in automobile equivalgono a una sigaretta ben fumata. E la presenza di inquinanti aumenta del 400% con il riscaldamento acceso.

Occorrerebbero evidentemente molte più risorse, misurazioni e competenze per montare una campagna contro l’industria automobilistica. Bisogna inoltre evidenziare che mancano studi in materia, a parte un articolo scientifico pubblicato nel 2005 su Nature, riguardo l’esposizione di bambini durante il tragitto sul bus scolastico. Per il momento, ci siamo limitati a pubblicare quanto abbiamo riscontrato in maniera totalmente casuale.

2015 - Wind days

I fattori meteorologici esercitano un’influenza significativa sulla propagazione degli inquinanti, e questo aspetto era ben noto all’interno dell’Ilva, dove venivano applicate delle misure specifiche, come bagnare i cumuli di polveri industriali all’aperto, onde evitare che il vento le diffondesse all’interno dell’industria, esponendo i lavoratori a sostanze tossiche. Il problema è che i medesimi venti da Nord-Ovest, con velocità superiore ai 10m/s, trasportavano le polveri dai parchi minerali scoperti al vicino quartiere Tamburi.

Wind day a Taranto

In questo caso siamo di fronte a un caso esemplare non tanto di dati, ma di pura e semplice informazione disponibile e applicata solo al processo produttivo all’interno dell’azienda privata, ma non diffusa al di fuori, sebbene la popolazione che vive nei dintorni dell’industria sia esposta in misura equivalente. È stato necessario denunciare questa circostanza ed effettuare pressioni a livello politico locale per ottenere che venisse riconosciuta la pericolosità di questa situazione e far sì che l’ARPA pubblicasse dei preavvisi rispetto ai Wind Days sul proprio sito, in modo da informare la popolazione su quando chiudere le finestre e, per i soggetti più vulnerabili, evitare di scure di casa o svolgere attività fisica.

Non mancano, in questo caso, i paralleli con altri ambiti, come quello militare, dove informazioni relative al rischio ambientale vengono diffuse solo all’interno degli addetti alla struttura militare e non al di fuori, nonostante il rischio riguardi anche la popolazione civile residente nelle vicinanze. Si pensi ad esempio alla sosta di sottomarini a propulsione nei porti civili italiani, circostanza in cui le autorità preposte si rifiutano di fornire in maniera trasparente dati e informazioni.

2019 - Analisi dei dati sull’inquinamento

Sebbene l’ARPA pubblichi i dati delle proprie centraline, non viene fornito nessuno strumento per la loro analisi, visualizzazione e comparazione. Simo quindi di fronte al tipico scenario di dati aperti ma inutilizzabili. Il mondo è però andato avanti, esistono piattaforme e soluzioni software per l’automazione e l’analisi dei dati, e proprio dalla collaborazione con una di queste piattaforme (Omniscope di Visokio) è nato il portale sull’aria di Taranto, fruibile all’indirizzo https://peacelink.it/ariataranto

In pratica i dati dell’ARPA vengono prima acquisiti (scraping), ripuliti e memorizzati, in modo da poterli utilizzare anche in caso che il sito dell’ARPA cessi di funzionare. In seguito, tramite la piattaforma di Business Intelligence, è possibile creare delle visualizzazioni specifiche per inquinante, per zona e per periodo, ed effettuare delle comparazioni. È stato proprio questo strumento che ha inchiodato l’Arcelor Mittal e il ministro Di Maio, quando sostenevano di aver ridotto le emissioni.
Siamo di fronte a un processo di democratizzazione dei dati ambientali, effettuato da cittadini competenti in collaborazione con esperti, in questo caso appartenenti al mondo delle aziende informatiche private, che rendono fruibili i dati aperti. Un compito che, è bene ricordarlo, dovrebbe essere svolto dalla pubblica amministrazione stessa.

2019 - 600 bambini nati con malformazioni congenite

Il rapporto Sentieri è un importante resoconto epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento. La pubblicazione del quinto rapporto era inizialmente prevista per il 21 maggio 2019, ma fu posticipata per cause ignote al 4 Luglio 2019. Su insistenza da parte di PeaceLink il rapporto fu finalmente pubblicato il 5 Giugno.
Al suo interno, un’informazione sconvolgente: dal 2002 al 2015 erano nati a Taranto 600 bambini con malformazioni congenite. Al di là dell’aspetto quantitativo, dal punto di vista epidemiologico si tratta di un incremento significativo, il 9% in più rispetto ai casi attesi in base al tasso regionale.

Questa informazione, sepolta dentro un rapporto scientifico che le istituzioni snobbavano al punto da rinviarne al presentazione, poteva diventare notizia solo se qualcuno la estraeva e la rendeva tale, inserendola in un contesto di allarme dovuto al permanente inquinamento industriale.

Future campagne

Come visto nei casi brevemente elencati qui sopra, siamo di fronte a scenari molto diversi: a volte l’informazione esiste ma non viene diffusa alla popolazione, o non viene identificata e trasformata in notizia, altre volte i dati ci sono ma devono essere resi fruibili, e a volte invece bisogna dotarsi degli strumenti e dei fondi per svolgere analisi indipendenti.

Tutti questi casi sono comunque accomunati da alcune caratteristiche:

  • l’attenzione costante da parte dei cittadini
  • la consapevolezza dell’importanza dei dati, solidi, documentati e verificati
  • la continua ricerca delle loro fonti, anche oltre le barriere linguistiche
  • la determinazione ad accrescere le proprie conoscenze nei relativi ambiti scientifici
  • il fare rete con gli esperti
  • il saper comunicare in un linguaggio semplice e accessibile quanto scoperto

Continuando con questa metodologia, abbiamo individuato alcune campagne che riteniamo possano essere importanti per il futuro e che non si applicano solo al caso particolare di Taranto.

Un metodo purtroppo semplicissimo è quello di conteggiare i morti e analizzare eventuali variazioni nel territorio urbano e nel tempo. Sebbene sia semplice, sono molte poche le città che hanno attuato un Osservatorio Mortalità e reso disponibile i propri dati, inclusivi di cause di morte e di dati anagrafici. Nei pochi casi in cui ciò è stato possibile (Taranto, Genova, Napoli) è emersa una allarmante correlazione tra presenza di industrie e incremento di mortalità. Può sembrare ovvio, ma solo con dei dati inconfutabili alla mano si può coinvolgere la popolazione in una campagna che chieda attenzione al tema dell'inquinamento ambientale.

Un altro aspetto che richiederebbe una migliore apertura e fruibilità è quello relativo ai controlli periodici fatti attraverso le AIA (Autorizzazioni Integrate Ambientali), che oggigiorno vengono rese disponibili solo in formato PDF e che quindi risultano difficili da elaborare.

Infine, un progetto e cui teniamo in maniera particolare, perché unisce educazione, citizen-science e monitoraggio ambientale, è quello della costruzione in proprio di centraline per il monitoraggio dell’aria, che raccolgano e rendano disponibili dati relativi a PM 2.5, PM10 e altri indicatori. Il costo di questi sensori è ormai alla portata di tutti, e con poche decine di euro si possono costruire delle centraline e installarle nelle case dei cittadini, arrivando a una presenza capillare e distribuita. La tecnologia è basata sula piattaforma aperta Arduino e su software libero. Pur con tutti i limiti relativi all’utilizzo di sensori economici, il semplice aspetto educativo di formazione all’importanza del controllo della qualità dell’aria è di per sé sufficiente a rendere questa iniziativa importante per le scuole e le comunità locali. Luftdaten è forse la più nota rete di centraline low-cost di monitoraggio dell'aria, nata a Stoccarda e ora replicata in numerose città europee. Un'iniziativa simile è in corso di preparazione anche a Taranto mentre il medesimo approccio è stato usato per la rete "Che Aria Tira?", nata nella provincia di Firenze.

Possibili campagne in Sicilia

Le proposte appena elencate sono applicabili anche in Sicilia. Ad esempio il sottoscritto - durante il suo breve periodo di permanenza a Siracusa - ha attivato una centralina indipendente agganciata a Luftdaten. Le rilevazioni hanno mostrato una buona qualità dell'aria tranne alcuni episodi notturni, con dei picchi misteriosi di PM 2.5 e PM 10 non riconducibili ad alcuna attività locale, e probabilmente legati al vicino polo industriale di Priolo e alla direzione dei venti, che necessiterebbero di un approfondimento. Basterebbero una serie di centraline installate nei dintorni del polo industriale per iniziare un'attività di monitoraggio trasparente da parte della popolazione.

SIN e indagini epidemiologiche

Come note in Sicilia ci sono quattro SIN (Siti di Interesse Nazionale), ovvero aree contaminate molto estese classificate come pericolose dallo Stato e che necessitano di interventi di bonifica. Sono Biancavilla (CT), Gela (CL), Milazzo (ME) e Priolo (SR).

Lo studio Sentieri, citato in precedenza per il caso dei 600 nati con malformazioni congenite a Taranto, fornisce delle indicazioni molto accurate anche riguardo a questi SIN, concentrandosi in particolare sulla SMR (Standardized Mortality Rate), un parametro significativo in epidemiologia in quanto rappresenta la deviazione nel tasso di mortalità tra quanto atteso, in base a medie statistiche regionali o nazionali, e quanto invece viene osservato.
Nell'ultimo rapporto Sentieri viene evidenziato un eccesso di morti per tumore molto probabilmente correlati all'esposizione a fattori inquinanti in prossimità dei SIN. Ad esempio la tabella seguente mostra le deviazioni più significative della SMR a Gela e Priolo.

SIN Causa di morte SMR uomini SMR donne
Gela Tumori dello stomaco 146 129
Tumori del colon retto 125 118
Tumori dei polmoni 114 110
Priolo Mesotelioma 337 292
Malattie respiratorie acute 136 101
Tumori dei polmoni 97 113

Per capire i dati presentati nella tabella occorre considerare che il valore atteso, in base alla media regionale, avrebbe dovuto essere di 100. Quindi ad esempio una SMR di 146 per gli uomini deceduti per tumori dello stomaco a Gela rappresenta un incremento del 46% rispetto alla media attesa.

Balza all'occhio il valore estremamente fuori norma dei morti per mesotelioma a Priolo, una triste ed palese eredità della presenza dell'industria dell'amianto. In questo caso il rapporto Sentieri evidenzia un'anomalia, ovvero come i morti per mesotelioma a Priolo non appartengano alle categorie professionali tipicamente colpite dalle conseguenze dell'esposizione all'amianto, come gli ex-lavoratori dell'Eternit o di aziende collegate, o i loro familiari, o altri addetti ai lavori con amianto. Siamo invece di fronte a gente comune, il che farebbe presupporre una contaminazione ambientale, dovuta possibilmente a discariche abusive. Gli epidemiologi dello Studio Sentieri non si sbilanciano, in quanto i casi non sono statisticamente sufficienti a dimostrare questa correlazione, ma basterebbe un'indagine un po' più approfondita per andare a individuare responsabilità ma soprattutto situazioni ancora esistenti di esposizione all'amianto.

Cosa fa ARPA Sicilia

La relazione tra ARPA Puglia e PeaceLink è stata a volte burrascosa e a volte collaborativa. Se da un lato vi sono state negligenze e mancanze, spesso dovute alla semplice mancanza di fondi e di competenze, dall'altra c'è stata la possibilità di instaurare un dialogo e non è un caso se oggi ARPA Puglia, nella sua pagina relativa al monitoraggio dell'aria a Taranto, rimanda alla piattaforma di PeaceLink per l'analisi e visualizzazione dei dati.

Un percorso simile va necessariamente avviato anche in Sicilia, dove i dati aperti resi disponibili dall'ARPA sono resi disponibili in forma grezza e non permettono delle elaborazioni, visualizzazioni e comparazioni avanzate. Il rapporto sulla qualità dell'aria pubblicato nel 2019 si basa su dati del 2017. Non è molto utile dire ai cittadini che sono stati esposti a un qualche inquinante due anni dopo. Oggigiorno è più che lecito pretendere che questo venga comunicato in tempo reale e che l'automazione nell'elaborazione dei dati ne permetta l'immediata diffusione.

Come abbiamo visto per il caso di Taranto, occorre che siano i cittadini stessi a fare da sprone, mostrando come tutto questo sia necessario e fattibile.

Fornitori del Pentagono e legami con l’economia siciliana

La Sicilia è purtroppo anche terra di militarizzazione, per via della sua posizione geografica e degli accordi stipulati tra lo Stato italiano e gli Stati Uniti. Un aspetto che viene spesso sottolineato per giustificare la presenza di basi militari è quello che siano utili all'economia locale. Peccato che quando si va ad analizzare i contratti relativi alle basi militari si scopre tutt'altro.

Un enorme lavoro di analisi è stato svolto anni fa dal Center for Public Integrity e pubblicato in due corposi rapporti, "Outsourcing the Pentagon" (2004) e "Windfalls of War" (2011), tutti basati sugli open-data disponibili sui siti del Federal Procurement Data System, e in particolare USA Spending.

I risultati di questa indagine mostrano come si sia di fronte a una privatizzazione crescente del mondo militare, a una scarsa competitività (il 60% dei contratti viene assegnato senza bando), a un evidente conflitto di interessi tra controllori della spesa pubblica che lavorano al tempo stesso come consulenti delle aziende dell'industria militari, a uno spreco di soldi enorme (contratti a rimborso costi e non a costo fisso), e anche alla presenza di evasione fiscale.

Tutto questo negli Stati Uniti. E in Italia?

Un'indagine altrettanto approfondita e basata sulle medesime fonti di dati aperti fu svolta nel 2011 da PeaceLink, arrivando a conclusioni similmente deprimenti. L'economia indotta dalla militarizzazione è fallace, fragile, esposta a corruzione e sfugge al controllo delle istituzioni competenti. Crea dipendenza economica per servizi di basso livello, con nessuna ricaduta tecnologia o industriale sul territorio. Come anti-militaristi lo sospettavamo già, ma è un altro discorso poterlo dimostrare dati alla mano.

E in Sicilia, quali sono le aziende coinvolte nei contratti stipulati con le basi militari presenti sul territorio? Questa domanda meriterebbe una risposta approfondita e un articolo altrettanto corposo. Ci limitiamo ad elencare, per dare un esempio, i 10 più importanti fornitori per la base di Sigonella dal 2002 al 2019, per numero di contratti.

Nome azienda Numero di contratti
Telecom Italia Spa 852
A.T.I. Team Bos Sigonella 642
Ricoh Point Spa 457
Geodis Wilson Italia Spa 389
Rem Italia Srl 355
New Laundry Di Cianciulli Vittoria 294
La Nuova Meccanica Navale Srl 273
Officine Meccaniche Navali Carrino Giovanni Figli Snc 258
Zep Italia Srl 243
Grieco Pasquale 178

Fornitori italiani della base di Sigonella

Per ottenere questi risultati, occorre registrarsi su https://www.fpds.gov/ e usare la seguente query: 
sigonella  VENDOR_ADDRESS_COUNTRY_NAME:"italy"

Occorrerebbe ovviamente fare un lavoro approfondito, non solo quantitativo per numero di contratti ma per valore dei contratti stessi, e soprattutto andare a vedere di quali servizi / prodotti vengono forniti. Pur restando a disposizione per fornire un estratto aggiornato e localizzato per la Sicilia del lavoro che è già stato svolto da PeaceLink a livello nazionale, concentriamoci solo su un particolare caso, quello dei cosiddette PFAS.

Impatto ambientale della militarizzazione

L'acronimo PFAS (Perfluorinated Alkylated Substances) identifica una famiglia di sostanze chimiche , tra cui l'acido perfluoroottanoico (PFOA) e l'acido perfluoroottansolfonico (PFOS). Si tratta di composti chimici fluorurati di origine sintetica e sono catalogati come inquinanti persistenti, estremamente pericolosi se diffusi nell'ambiente.

È stato usato per decenni dall'Air Force statunitense come schiuma di estintori, non tanto per i casi di incendio (episodi relativamente rari) ma in particolare per le esercitazioni anti-incendio che vengono svolte con regolarità nelle basi militari, e dopo le quali le schiume venivano semplicemente rilasciate nell'ambiente, nonostante la loro pericolosità fosse nota da tempo ed esistessero delle norme relative al loro smaltimento.

Nel 2018 l'Union of Concerned Scientists ha pubblicato un rapporto sulla contaminazione da PFAS nei siti militari negli Stati Uniti. I risultati lasciano basiti, in quanto siamo di fronte a una contaminazione su grandissima scala: le acque sotterranee e potabili di 131 basi militari su 132 sono state trovate contaminate da PFAS. Il 90% delle basi monitorate ha mostrato livelli di PFAS dieci volte superiori alla soglia ammessa. In tutto si parla di 1500 falde acquifere contaminate e 110 milioni di persone esposte.

In Italia? Se ne è parlato in Veneto, dove una sessantina di comuni sono stati contaminati da alcune industrie, e dove si sta ancora cercando di valutare l'impatto. Nel 2013 uno studio del CNR ha riscontrato elevate concentrazioni tra Padova Vicenza e Verona, e concentrazioni elevate sono state trovate anche nel sangue della popolazione. La situazione è molto grave, si pensi che la Regione Veneto ha dovuto dichiarare lo stato di emergenza.

A nessuno però è ancora venuto in mente di porsi delle domande sull'inquinamento fa PFAS prodotto dalle base militari presenti sul territorio italiano, sulla falsariga della campagna nata negli Stati Uniti.

Anche in questo caso ci vengono in aiuto i dati aperti, proprio quelli dei contratti stipulati dal Pentagono con fornitori italiani. E scopriamo che fino al 2011 le taniche dell'AFFF della base di Sigonella sono state puntualmente riempite, e l'ammontare dei contratti (intorno ai 60mila dollari) indicano che si trattava di un quantitativo notevole.

ID Data Fornitore Ammontare Dettaglio
0165 30/12/2011 JV DERICHEBOURG-COFATHEC-SEBCO-COPEL $ 57396 AFFF inspection and report
0211 31/12/2010 A.T.I. Team Bos Sigonella $ 63500 Refill AFFF tanks building 426
0212 31/12/2010 A.T.I. Team Bos Sigonella $ 60920 Refill AFFF tanks building 426
0208 30/11/2010 A.T.I. Team Bos Sigonella $ 51303 Replace AFFF in B633
0024 13/3/2009 Gemmo SPA $ 25611 AFFF foam spill clean up building 426

In questo caso occorre andare su https://www.usaspending.gov e cercare i contratti con parola chiave AFFF (Aqueous film forming foam, ovvero la schiuma degli estintori) e localizzazione "Italy"

Contratti relativi a AFFF (Aqueous film forming foam) in Italia

Sono solo degli indizi, ma la fonte è ovviamente indiscutibile, e quindi sarebbe più che lecito richiedere un'analisi delle falde acquifere in prossimità della base militare, accompagnata da un resoconto epidemiologico sulle cause di morte dei cittadini residenti in zona.

Conclusioni

Per esigenze di brevità si è presentata una panoramica sintetica e superficiale di alcune campagne, che invece traggono la loro forza dall'essere attentamente pianificate e svolte. L'obiettivo principale quello di comunicare l'importanza dell'evoluzione che stiamo vivendo in questo periodo, sia rispetto alla disponibilità di dati e informazioni in formato digitale, che rispetto agli strumenti per analizzarli e visualizzarli. Dobbiamo unire competenze informatiche, scientifiche, comunicative, e anche semplicemente fare rete e documentarci perché di fronte all'abdicare da parte delle istituzioni preposte allo svolgere monitoraggio ambientale in situazioni critiche relative alla presenza di industrie e di basi militari, solo i cittadini possono, con le loro competenze e la loro volontà, resistere, denunciare e cambiare la realtà che li circonda.

Risorse

Per chi fosse interessato ad approfondire l'argomento degli open data e del loro uso, si segnalano alcune importanti iniziative in Italia e nel mondo.

La fondazione Openpolis raccoglie dati, in particolare relativi alla pubblica amministrazione, l'economia, i territori e le comunità locali, e pubblica regolarmente approfondimenti e inchieste a riguardo. Si consiglia di visitare il sito https://www.openpolis.it e di iscriversi alla loro newsletter.

Dataninja è un'azienda italiana che offre servizi di consulenza su dati aperti, analisi e visualizzazione dei dati. Offrono anche una serie di percorsi formativi sull'argomento, indirizzati sia ad aziende che a singoli. Distribuiscono una newsletter molto interessante https://www.dataninja.it/newsletter/it/ e si consiglia anche di seguirli nel relativo gruppo Facebook https://www.facebook.com/groups/dataninja/

Un'ottima introduzione al mondo del data journalism e della visualizzazione dei dati è il corso gratuito "Data Journalism and Visualization with Free Tools", disponibile in inglese, spagnolo e portoghese sul sito del Knight Center for Jornalism in the Americas https://journalismcourses.org/DATA0819.html. Il corso esplora l'uso di strumenti gratuiti per l'acquisizione, elaborazione e visualizzazione di dati, ed è particolarmente pensato per i giornalisti, senza richiedere competenze tecniche avanzate in materia informatica. I due istruttori, Alberto Cairo e Simon Rogers, sono due riferimenti molto importanti nel mondo del data journalism.

L'Istat (Istituto Nazionale di Statistica) offre un'interfaccia web per interrogare il proprio archivio su http://dati.istat.it/. Si tratta di una risorsa fondamentale per chiunque sia interessato agli aspetti demografici del nostro paese.

A livello europeo, l'Eurostat raccoglie i dati di tutti i paesi membri dell'unione e li rende disponibili su https://ec.europa.eu/eurostat/

Il M.I.T. (Massachusetts Institute of Technology) raccoglie una serie di links utili per chi è interessato a dati aperti nelle scienze sociali a questo indirizzo: https://libguides.mit.edu/socscidata  Un'iniziativa simile viene svolta dall'università di Harward sul sito https://dataverse.harvard.edu/, con particolare attenzione ai dati prodotti dai ricercatori.

Per dati demografici ed economici globali si consiglia il sito della World Bank dedicato agli open datahttps://data.worldbank.org/

Infine, gli stessi fornitori di servizi nel cloud come Amazon e Google ospitano registri di open data sulle loro piattaforme. https://aws.amazon.com/opendata/public-datasets/ per AWS e https://www.google.co.uk/publicdata/directory per Google

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