Conflitti

Iraq: il caos del checkpoint

I soldati americani sulla difficile realtà del presidio dei checkpoint nella guerriglia affermano: "Secondo la procedura se pensi che ci sia qualsiasi tipo di pericolo per te stesso o per la tua unità, hai tutto il diritto di aprire il fuoco."
14 marzo 2005
Joellen Perry
Fonte: Die Zeit - www.zeit.de

US checkpoint in Iraq Il riservista dell’esercito statunitense Paul Rieckhoff si è arruolato volontario per il servizio a Baghdad nel 2003 e ha prestato servizio in Iraq come Primo Luogotenente (capo plotone, 3° divisione Fanteria) da marzo del 2003 a marzo del 2004. Dopo il suo turno, Rieckhoff si è trasferito a New York City e ha fondato Operation Truth, un gruppo indipendente per i diritti dei soldati, che ha aspramente criticato l’amministrazione Bush per la cieca battaglia e i piani di ricostruzione – soprattutto una carenza di approvvigionamenti, unità blindate e personale – che fa riferimento a gravi minacce per la sicurezza dei soldati: "I militari stanno ancora cercando di recuperare ciò di cui hanno bisogno per portare avanti questa occupazione in maniera adeguata. I nostri soldati sono davvero impegnati al massimo." Mentre si trovava in Iraq, Rieckhoff afferma di aver presidiato "infiniti" checkpoint: "Li abbiamo presidiati di notte per metà anno".

Innumerevoli checkpoint di vario tipo – permanenti, temporanei o ad hoc – punteggiano il panorama iracheno, afferma Rieckhoff. “Si è parlato molto del fatto che gli iracheni non hanno molta confidenza con la procedura utilizzata ai checkpoint. Non penso che sia affatto vero. Oggi i checkpoint fanno parte dell’Iraq occupato. La maggior parte di quelli che hanno guidato per le strade dell’Iraq hanno familiarità con questa procedura.” Tuttavia, riconosce che le specifiche regole d’ingaggio non sono rese pubbliche e afferma "si tratta di sicurezza operativa. Equivale quasi a svelare i movimenti delle truppe o tattiche specifiche. Io non ti direi dove stanno i punti deboli sui nostri Humvee."

La maggior parte dei checkpoint è ben contrassegnata, sostiene Rieckhoff, da scritte in arabo e in inglese visibili e colorate sistemate 400 metri prima. Via via che le macchine si avvicinano, i segnali aumentano: “Si vedono coni color arancio e filo spinato prima di vedere anche i soldati,” afferma. Una volta che una macchina è avvistata dai soldati che si trovano ai checkpoint, le reclute seguono un protocollo standard di “escalation di violenza” che varia poco tra i diversi gruppi della coalizione presenti in Iraq. Per i soldati americani, l’addestramento ai checkpoint è una componente standard dell’addestramento dello schieramento basilare, "come sparare con una mitragliatrice o guidare un elicottero."

Idealmente, i soldati prima urlano ad alta voce degli avvertimenti verbali, poi usano i segnali a braccio. “Si può agitare in alto la mano o alzare il dito che sta per il segnale iracheno ‘aspetta’, cioè mettendo insieme le dita e girandole verso l’alto” continua Rieckhoff. “Genericamente i segnali funzionano. Siamo tutti istruiti su quale comunicazione funzionerà bene con gli iracheni. Non è come: ecco la prima persona che scappa dal checkpoint." Se i segnali a braccio non rallentano la macchina, i soldati usano i fari e in seguito sparano colpi di avvertimento utilizzando armi di piccolo calibro come le M16. Se tutto questo non funziona, i soldati sparano direttamente al veicolo. "Fermare il veicolo è la scelta disastrosa. E’ proprio l’ultima risorsa," sostiene Rieckhoff, sottolineando però che una volta che iniziano non possono tornare indietro. "Nel momento in cui la tua pistola spara, sei impegnato a fermare quel veicolo e a sparare finchè non si fermerà".

Il problema, afferma Rieckhoff, è che le situazioni ai checkpoint sono di rado ideali. “Esistono un milione e una di variabili.” Il terreno scosceso o collinare, le curve nella strada che rendono meno visibili i segnali di avvertimento, guidatori ubriachi o malati che sbandano in direzione del checkpoint, qualcuno che corre velocemente verso l’ospedale – tutto rende più difficile il lavoro dei soldati. I veicoli in movimento vanno veloce: osserva che una macchina che va a 30 miglia all’ora può essere definita dal checkpoint come "eccesso di velocità". "Se stanno a 200 metri dal checkpoint, e vanno a 30 miglia all’ora, vanno veloci." Idealmente, concorda, i soldati dovrebbero ripetere in sequela le fasi dell’avvertimento. "Ma se una macchina sta arrivando a 30 miglia all’ora, a che velocità puoi fare tutte queste cose?"

Senza contare che per i soldati – che solitamente stanno in mezzo alla strada e allo scoperto – la paura più grande è costituita da un’autobomba (il cui uso aumenta costantemente), e la priorità è salvarsi. “La priorità è sempre l’autodifesa. Qualsiasi coalizione di soldati avrà sempre il diritto di difendersi. E ultimamente, è capitato ad un soldato molto giovane di prendere la decisione. Hanno tantissime responsabilità e questa situazione (quella della Sgrena) svela molte cose sulle difficoltà nell’affrontare l’insurrezione e questa situazione poco chiara a cui i soldati della coalizione, e anche gli iracheni, devono far fronte ogni giorno. Qui non siamo a Falluja, dove non ci sono più i civili e si combatte solo contro il nemico. Questa è una guerriglia. Ogni giorno, si cerca di lottare con chi rappresenta il nemico e con chi non lo rappresenta, se qualcuno sta correndo con una mela o con una granata in mano, se un cronista sta tenendo una videocamera o un RPG. E’ ovvio che nessuno vuole uccidere i civili. Ma è la natura di questo tipo di guerra e di questa occupazione che porta questi soldati a infierire velocemente su questo tipo di violenza. E’ senza dubbio orribile, ma queste truppe sono obbligate a prendere una decisione in una frazione di secondo. "Sono tutti nemici? Purtroppo si. Devi guardare ogni individuo come un possibile nemico. E’ la triste realtà. Puoi partire dal presupposto di considerarli tutti nemici e sperare che non lo siano – ma se parti considerandoli tutti amici e aspetti finché non ti dimostrino il contrario, finirai ammazzato."

Yevgeny Ulitsky caporale di riserva della marina, 23 anni, è rimasto in Iraq da marzo ad agosto 2003 quando i checkpoint "erano quasi una routine giornaliera." E’ schietto riguardo la procedura: "Secondo la procedura, se pensi che ci sia pericolo per te o per la tua unità, hai tutto il diritto di aprire il fuoco." I segnali a braccio e i fari sono comuni segnali di avvertimento, concorda – in realtà, i soldati che abiurano questo tipo di segnali sono soggetti al processo, e Ulitsky afferma semplicemente "non può accadere" che i soldati saltino la prassi dei segnali iniziali – ma altri elementi della procedura sono soggetti ai capricci dei comandanti. "Alcune unità sostengono che tu dovresti sparare dei colpi di avvertimento," afferma Ulitsky, "ma alla mia unità è stato chiaramente detto di non sparare alcun colpo di avvertimento. Questa era la decisione del comandante. La politica, ammette prontamente, non è una buona politica. Ma considerando tutta l’attività di rivolta in Iraq, e tutte le auto bomba che passano, non riesco a trovarne una migliore."

Sulla situazione della Sgrena in particolare, Rieckhoff afferma "non c’è assolutamente da meravigliarsi che sia accaduto tutto ciò. L’unica cosa sorprendente è chi c’era dentro la macchina. Perchè i checkpoint sono una situazione incredibilmente stressante e confusa, e pericolosi per tutti."La comunicazione tra gli ufficiali e gli uomini sul campo non è particolarmente buona, afferma. Solo perché il Pentagono sapeva (chi c’era nella macchina) non vuol dire che il soldato diciannovenne sul campo lo sapesse. Non sempre l’informazione trapela fino al livello più basso." Rieckhoff critica la suggestione della Sgrena sul fatto che l’obiettivo fosse lei. "La Sgrena sta dando talmente tanto credito alle nostre agenzie d’intelligence più di quanto meritano. Questo fa capire quanto conosca poco delle operazioni militari. Questi ragazzi non facevano parte di operazioni speciali – erano probabilmente un gruppo di autisti di camion assegnati a quel checkpoint, spaventati a morte, che non volevano farsi saltare in aria, con le condizioni di servizio triplicate." Rieckhoff asserisce anche che l’incidente è avvenuto con un grado di precisione che travisa le accuse dell’assassinio premeditato: "Il motivo per cui le persone nella macchina non sono tutte morte è che i soldati al checkpoint non stavano cercando di ucciderli. Volevano fermare la macchina – ecco perchè si sono concentrati sul blocco motore. Se volevano uccidere lei e tutti gli altri che erano nel veicolo, sono sicuro che sarebbero tutti morti."

Sia Rieckhoff che Ulitsky ricordano gli incidenti ai checkpoint in cui i soldati sparano su civili innocenti. L’unità di Rieckhoff ha sparato ad un iracheno ubriaco che sbandava in direzione di un checkpoint; quella di Ulitsky ad una macchina i cui freni, per una terribile e fatale coincidenza, non funzionarono proprio prima del checkpoint. "Nella macchina c’erano tre persone, e il ragazzo che si è salvato ha perso il padre e il fratello. Non avevano fatto nulla di male." Anche se non dispiaciuto per l’iracheno ubriaco - "Se vive in una zona di guerra, probabilmente non è una buona idea guidare ubriaco" - Rieckhoff osserva che le procedure dei checkpoint, e la natura della guerriglia, pesano moltissimo su tutti. "E’ un fardello tremendo che i soldati sopporteranno per il resto della loro vita. Uno su cinque torna a casa con forti disturbi post-traumatici, perché devono avere a che fare con merda come questa. Non può esserci una guerriglia e non avere morti tra i civili. Sarei felice se fosse così, purtroppo è inevitabile, è la natura di questo tipo di combattimento e la gente dovrebbe cercar di capire e non giudicare col senno del poi i soldati sul campo tanto quanto i comandanti o le politiche che li mettono in quella situazione in prima linea."
die Zeit 10/03/05

Note: Traduzione di Floriana Figura per www.peacelink.it
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