Il Libano, tra Washington e Damasco
Sotto la forte ed incombente pressione del governo americano, il presidente siriano, Bachar Al Assad, ha iniziato il ritiro delle truppe stanziate nel vicino Libano, considerato Paese "amico" e "fratello" dal regime di Damasco. Tuttavia come hanno riconosciuto numerosi osservatori ed analisti della regione, inclusi gli israeliani, nemici storici della Siria,il cammino verso una piena stabilizzazione del paese dei cedri non sarà così facile come predicono gli Stati Uniti e i loro partners europei, capitanati dalla Francia, che la considerano come l'unica via di uscita per risolvere una volta per tutte la questione libanese.
Nonostante l' "impegno" dei neoconsevatori che dominano la scena di Washington, le problematiche politiche di questa zona così complessa non possono essere risolte con la pressione di una possibile azione miltare, ma con la ricerca di soluzioni congiunte che richiedono un certo pragmatismo, conoscenza degli attori coinvolti e negoziati.
Nonostante si cerchi di dare una leggitimità internazionale alla soluzione con l'intervento delle Nazioni Unite, peraltro sempre più soggette agli interessi della grande superpotenza, tutto ciò non è ancora successo.
I siriani, che fino a qualche settimana fa erano rappresentati come i "salvatori" del Libano dai mezzi di comunicazione che ora li demonizzano, sanno bene che la sicurezza di questo Paese si regge su equilibri fragili, patti sottili e accordi non scritti che tutte le parti -minorie, forze politiche ed altri attori coinvolti- accettano per mantenere l'orientamento politico attuale che almeno garantisce la pace. Come tutti sanno, dopo il ritiro siriano le milizie palestinesi stanziate in suolo libanese ed il potente esercito di Hezbollah, con milizie cristiane e di altre tendenze, faranno sentire la loro voce e la loro forza con tutti i mezzi che hanno a disposizione.Ciò è sempre accaduto in Libano. Inoltre, come si è visto nelle proteste degli ultimi giorni, si deve considerare l'enorme appoggio che Damasco riceve da alcuni settori della società libanese.
La recente uccisione del dirigente libanese Rafia Hariri non ha solo favorito gli interessi strategici degli Stati Uniti nella zona ma, paradossalmente, ha indebolito la Siria , e questo fa pensare che se non ci saranno altre responsabilità nascoste dietro questo misterioso attentato che può contribuire a rendere ancora più tesa,se si può, l'atmosfera che già si vive in questa zona così sensibile del mondo dopo l'intervento americano in Iraq.
la Siria che, dopo il crollo del regime di Bagdad è rimasta isolata,
cerca di giocare al meglio le sue carte cercando di schivare il punto di vista degli Stati Uniti ed il loro principale alleato nella regione, Israele.
Come frutto di pressioni e minacce politico-militari, alcune sostenute anche dall' Europa, Damasco ha già annunciato che ritirerà tutte le truppe dal territorio libanese prima di aprile,per far sì che possano svolgersi le prossime elezioni nel paese vicino e per evitare le possibili e probabili interferenze già avvenute in precedenza.
Da parte sua Israele non nasconde che la ritirata siriana potrebbe facilitare le sue relazioni politiche ed economiche con Beirut, cosa poco credibile, considerando il numero crescente di nemici che conta lo Stato israeliano e le sue politiche nella regione nella società libanese.
La speranza di una riconciliazione tra i due paesi attualmente non sembra un orizzonte così vicino come alcuni a Tel Aviv o a Gerusalemme credono.
Non lasciamoci ingannare: la ritirata delle truppe siriane che sono stanziate sul suolo libanese dal 1976 e dal 1989 leggitimamente,non presuppongono necessariamente una pace definitiva, stabilità, integrità territoriale e sicurezza per un paese in crisi da quasi trent'anni.
La Siria, sotto la pressione statunitense,si ritira ma i problemi politici e costituzionali continuano ad esistere e sono ancora attivi gli attori politici, alcuni di loro anche armati, che hanno provocato la catastrofe della guerra civile.
Damasco ne è a conoscenza, pero forse Washington lo ignora deliberatamente per gettarci in una nuova spirale di guerra e instabilità che non porta democrazia e libertà. E si è visto i Iraq, per quanto alcuni continuino ad aggrapparsi agli scarsi risultati ottenuti.
Le conseguenze, che sono state catastrofiche, non possono servire agiustificare nuove e arrischiate "avventure" militari nella regione.
La cosa più triste di tutto ciò è che , come nelle crisi precedenti, l'Unione Europea rimane in silenzio, senza una politica chiara seguendo i piani di una grande potenza che molte volte si sbaglia. Una nuova crisi nella regione, avendo come scenario un Libano diviso, potrebbe portare a conseguenze fatali in tutto il Medio Oriente e nel Mediterraneo. Sembra che nessuno voglia valutare le conseguenze di ciò che potrebbe accadere nei prossimi mesi. Intanto il Libano continua ad essere situato, politicamente parlando, tra Washington e Damasco. Un dilemma difficile per un paese così piccolo e debole al tempo stesso. I prossimi mesi, come vedremo, saranno decisivi, non solo per il Libano ma per tutto il Medio Oriente.
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