Costruttori di un impero
Quasi ogni giorno, il The New York Times orgogliosamente pubblica i nomi degli Americani che sono stati uccisi in Iraq e in Afghanistan. Se di questi tempi le bare coperte con la bandiera Americana, dei soldati e dei Marine Americani uccisi, vengono fatte rimpatriare nel pieno della notte e allo stesso tempo si proibisce di scattare qualunque fotografia – per paura che la realtà dell’Iraq faccia arrabbiare gli Americani e i politici viventi – questo giornale compie un vero e proprio servizio pubblico ricordandoci della sofferenza che scaturisce da una guerra così inutile. Se aggiungete a tutto questo i civili Iracheni e quelli Afgani che sono stati feriti seriamente o uccisi – tutti fatti che vengono nascosti dai media mainstream – ne deriva una situazione che è davvero difficile da sopportare.
Sono ben troppi gli obbedienti cittadini Americani che si accontentano di esprimere i propri sentimenti con vaghi adesivi ‘sostieni le nostre truppe’ e continuare – nella famosa frase di Neil Postman – ‘a dilettare se stessi fino alla morte’, insensibili alle miserie del campo di battaglia. Un saldo flusso di manipolazione della pubblica opinione da parte del governo tuttavia confonde i patriottici Americani, che sono giustamente orgogliosi della nostra nazione e delle sue numerose libertà. È poi davvero così sorprendente che rispondano in tale maniera ad una serie infinita di ‘crisi’ fasulle vista la totale mancanza di notizie pesanti nella maggior parte dei media? E che consegnino i propri figli alle fantasie di Washington fatte di grandeur imperiale e di conflitti infiniti? C’è qualcuno che è in grado di dirmi il nome di un prominente membro della nostra folla pro-war chiusa nel convento di Washington che oggi ha un figlio o un nipote che presta servizio in Iraq e in Afghanistan? O chiedere perché ci sia solamente un membro del Congresso che ha un figlio impegnato là?
Mi sono dimenticato la fonte ma ricordo di aver letto un breve articolo su una madre nello stato di New York che piangeva la morte del proprio figlio, soldato in Iraq. “Ma qual è la ragione di tutto questo – chiede - ? È per il petrolio? Non so per quale ragione si stia combattendo questa guerra. Non vogliamo che nessun altro muoia in questa guerra inutile e stupida.”
Ma continueranno a morire fintanto che la dottrina della guerra preventiva minaccia l’Iran, la Siria, la Corea del Nord, il Venezuela, Cuba, e presto o tardi la Cina e chiunque altro osi mettersi sulla strada dell’impero. La diplomazia, le negoziazioni, il compromesso sono scartate a favore di un saldo flusso di minacce e di notizie preconfezionate. Ma, arguiscono i nostri potenti, ben finanziati, teoretici e totalmente inetti neo conservatori, il tutto viene fatto in nome della democrazia e della libertà, un giudizio che non ha alcun senso (adesso non è più per le Armi di Distruzione di Massa) e che viene ripetuto senza fine dai nostri ‘opinion makers’, i quali prima dell’invasione del 2003 in maniera schiacciante e senza porre alcuna domanda accettarono l’argomento che Saddam Hussein possedeva Armi di Distruzione di Massa e che in qualche maniera era coinvolto con l’11 di Settembre. Ma invece, la democrazia ha ben poco o niente a che fare con l’Iraq, il Medio Oriente e l’Asia Centrale. Invece, pensate al petrolio, al controllo delle risorse naturali, e all’espansione imperiale.
La democrazia non si sviluppa dall’oggi al domani ma richiede invece una passata esperienza, un’ampia e intraprendente classe media e una tradizione di correttezza nei confronti delle minoranze e dei poveri. Richiede un rispetto e una tolleranza di base fra persone con background differenti. Richiede un governo centrale che non è onnipotente e permette agli individui la libertà di prosperare. Non è solamente associata con le elezioni visto poi che così tanti delinquenti vengono ‘eletti’. Richiede un costante rispetto per leggi che siano ragionevoli e giuste. Richiede il diffuso sentire fra la gente che, nonostante le differenze, ‘ci siamo dentro tutti insieme’. Inoltre, è difficile immaginare una democrazia genuina imposta dall’esercito Statunitense che improvvisamente prende vita in Medio Oriente. È una regione dove lo storico sostegno fornito dagli Stati Uniti a dittature e a governi autoritari non ha mai permesso di piantare i semi di una società democratica.
Politiche alternative e portatrici di pace sono raramente promosse con lo stesso vigore di quelle che invece optano per la guerra. Considerate per esempio l’Iran. Minacce da Washington portano solo minacce da Tehran. Negoziazioni genuine sono sempre possibili e a disposizione ci sono molti compromessi, ma chi nel cerchio strettamente chiuso di consiglieri politici e ideologici dell’amministrazione gioca il ruolo del dissenziente di casa? Ci sono forse un George Ball o un J. Kenneth Galbraith là fuori? Inoltre, il New York Times recentemente ha riportato che un gruppo di esperti ‘bipartisan’, nominato dal Presidente, ha concluso che ‘l’intelligence Americana in Iran non è sufficientemente adeguata per permettere di emettere dei forti giudizi sui programmi per le armi dell’Iran.” Che cosa ci dice questo sulle asserzioni Statunitensi (che generalmente non vengono sfidate da parte dei media mainstream) che una Bomba Iraniana sarebbe in fase di preparazione? È possibile che questo sia semplicemente un altro schema fraudolento sulle Armi di Distruzione di Massa?
Nel suo illuminante saggio sui ‘Pentagon Papers’ nella corrente ‘New York Review of Books’, Anthony Lewis cita la descrizione che venne fornita dall’ex scolaro della RAND Corporation - http://www.rand.org - Melvin Gurtov su quello con cui i ‘Pentagon Papers’ avevano realmente a che fare.
‘Il punto cruciale di questi documenti’ conclude Gurtov (in ‘John Prados and Margaret Pratt Porter, eds., Inside the Pentagon Papers’ - University Press of Kansas, 2005 - http://www.nybooks.com/articles/17890 - link alla recensione in inglese di questo libro per chiarire la questione di cui si sta qui parlando – N.d.T.), ‘è ciò che rivelano sulla doppiezza dei leader Statunitensi, che mentirono consistentemente alla gente Americana, al Congresso, e alla stampa su molti aspetti della guerra negli anni di Kennedy e Johnson. I Presidenti e i loro consiglieri per la sicurezza nazionale sapevano che la guerra la si sarebbe perduta…” Potranno un giorno gli storici raggiungere la stessa conclusione sulla decisione Cheney - Bush di invadere l’Iraq e di espandere la Pax Americana in tutto il mondo quando i loro documenti e i loro archivi verranno finalmente aperti al pubblico?
Alla fine, se tuttavia un’altra nazione dovrà essere invasa in nome della ‘democrazia’ e della ‘libertà’, allora riluttanti e non ispirati coscritti potrebbero dover sostituire gli svuotati ed esausti volontari della guerra in Iraq, facendo ancora una volta gonfiare la lista dei caduti. Niente di tutto ciò sembra preoccupare il bellicoso partito di Washington il cui unico prurito è quello di dominare il Golfo Persico e l’Asia Centrale. La coscrizione, i sogni imperiali e la guerra vanno sempre a braccetto.
Imperialisti pro-war quali Theodore Roosevelt e Rudyard Kipling cambiarono opinione quando i loro figli vennero uccisi nella Prima Guerra Mondiale. Afflitto, TR morì prematuramente, mentre Kipling poté solo calmare il proprio dolore e il proprio senso di colpa componendo il suo devastante distico:
Se qualcuno chiede perché siamo morti
Ditegli, perché i nostri padri mentirono.
Tradotto da Melektro per www.peacelink.it
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