Conflitti

Un incubo targato USA

1 aprile 2005
Di Hassan Nafaa
Fonte: Al-Ahram

paul wolfowitz Il presidente Bush nelle ultime due settimane ha preso due decisioni che a mio parere sono il coronamento del nuovo approccio dell’amministrazione nei confronti delle organizzazioni internazionali, e delle Nazioni Unite in particolare. La prima è la nomina di John Bolton, già sottosegretario di Stato per il controllo delle armi e della sicurezza nazionale, ad inviato permanente alle Nazioni Unite, nomina che allo stesso tempo permetterà a John Negroponte di diventare nuovo direttore nazionale dell’intelligence. La seconda decisione è stata invece la nomina del Primo Vice Segretario della Difesa Paul Wolfowitz a capo della World Bank, come successore di James Wolfensohn.

Oltre ad essere due falchi in un’amministrazione già dominata dai neoconservatori, Bolton e Wolfowitz hanno molte caratteristiche in comune. Entrambi hanno un profondo disprezzo per le organizzazioni internazionali. Tutti coloro che non sono sotto il controllo di Washington ad esempio, sono guardati da loro con sospetto, come se queste organizzazioni fossero votate per loro natura a minare la politica americana. Entrambi sono sostenitori leali e senza riserve di Israele. Bolton era membro del consiglio dell’Istituto Ebraico per gli Affari di Sicurezza Nazionale, e alcuni membri della famiglia di Wolfowitz, compresa sua sorella, vivono in Israele. Entrambi credono fermamente in un’incontestata supremazia globale americana, che considerano il presupposto per la pace e la sicurezza nazionale. Infine, entrambi hanno contribuito alla formulazione del “Nuovo Secolo Americano”, la relazione pubblicata nel 1997 che rappresenta una pietra miliare ed è il manuale politico e ideologico dell’attuale amministrazione.

La nomina di Wolfowitz da parte di Bush ha sbalordito il mondo intero, e soprattutto l’Europa, dove ha suscitato severe critiche. Dall’altra parte invece sorprende che la nomina di Bolton non sia stata salutata con reazioni arrabbiate dello stesso tenore, dato che tra i due quest’ultimo è il più esplicito, e proprio per questo riflette ancora più chiaramente l’atteggiamento attuale di Washington nei confronti delle Nazioni Unite. Forse il silenzio nei confronti di Bolton può essere attribuito al fatto che qualsiasi obiezione sarebbe stata tanto inutile quanto inappropriata: ogni governo infatti ha l’inalienabile diritto di nominare chiunque voglia come suo inviato alle Nazioni Unite. D’altronde, questo non vale per la nomina ad una importante carica internazionale che presumibilmente dovrebbe essere affidata a chi possa rappresentare il consenso di tutti i suoi partecipanti, che, nel caso della World Bank, sono ben 184 Stati. Ciò che rende la nomina di Wolfowitz più delicata è il fatto che gli Usa, che sono il maggiore contribuente del capitale della banca, controllano la fetta più ampia del potere dei voti (16%). Sebbene l’Europa controlli nel complesso una percentuale doppia, da sempre è invalsa l’abitudine di dividersi la presidenza delle due istituzioni finanziarie più potenti, per cui c’è sempre un europeo alla guida del Fondo Monetario Internazionale e un americano a capo della World Bank.

Anche da un punto di vista americano, Wolfowitz è ben lungi da essere la persona più adatta a guidare un’organizzazione finanziaria delle dimensioni della Banca Mondiale. Molto semplicemente, non ha esperienza nel campo dell’economia e della gestione finanziaria. Le sue credenziali accademiche provengono da un settore completamente diverso: ha infatti ottenuto un Dottorato in scienze politiche dall’Università di Chicago, poi ha insegnato scienze politiche e relazioni internazionali nelle prestigiose università di Yale e John Hopkins. Wolfowitz comunque si è creato una reputazione non tanto come ricercatore, quanto come ideologo della politica dei neoconservatori. E’ stato questo, insieme al suo attivismo politico a nome di Israele e al suo appassionato sostegno a favore di un crollo dei regimi in Iraq e Iran, che gli ha garantito le candidature per posti chiave del Dipartimento di Stato e della Difesa fin dagli inizi dell’ascesa della destra americana sotto Reagan.

Naturalmente si potrebbe obiettare che dopo quasi 30 anni di cariche pubbliche Wolfowitz abbia accumulato almeno una certa esperienza utile in campo amministrativo.

Sfortunatamente non è detto che sia questo il caso, dato che la maggior parte delle cariche da lui ricoperte erano per lo più di consulenza e richiedevano poco quanto ad abilità amministrative e organizzative. E comunque, i suoi consigli su questioni politiche hanno portato al disastro. Wolfowitz era uno dei più determinati propugnatori delle affermazioni secondo cui Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa sufficienti a distruggere il mondo intero. Lui non è stato solamente uno degli architetti della guerra contro l’Iraq, è stato il più zelante di tutti, ma anche il meno preoccupato delle conseguenze. E’ lui che ha insistito ripetutamente sul fatto che 10.000 truppe sarebbero state sufficienti agli Usa per entrare in Iraq e rovesciare Saddam, e sul fatto che lo sforzo complessivo per questa guerra, compresa la ricostruzione, non sarebbe costato più di 65-95 miliardi di dollari. Come sappiamo, da allora si è scoperto che in Iraq non c’erano armi di distruzione di massa; oggi, due anni dopo l’invasione, ci sono 170.000 truppe sul territorio Iracheno e altre 30.000 circa in Kuwait e in Qatar; infine i costi di questa guerra finora ammontano già a 250-350 miliardi di dollari circa. E ora, una persona la cui capacità di giudizio si è tristemente rivelata così poco attendibile, diventerà il presidente della Banca Mondiale.

Ma la capacità di dare giudizi chiari, o l’esperienza amministrativa o altri “dettagli” simili evidentemente non erano tra i criteri primari di Bush nel decidere la sua nomina. Wolfowitz piuttosto è un mentore dell’ideologia dell’amministrazione Bush, e la sua ideologia è che il secolo attuale appartiene all’America, e che l’America deve essere preparata ad usare ogni mezzo, non importa quanto etico, per mantenerla. Ecco una definizione di leadership che gli è stata attribuita: “La leadership è qualcosa di diverso rispetto alla capacità di dare consigli o prendere posizione. Più di ogni altra cosa significa capacità di proteggere e avere cura dei propri amici, punire e scoraggiare i propri nemici, e far sì che chiunque si sia rifiutato di collaborare rimpianga il giorno in cui fece quell’errore”. Questa frase da sola dovrebbe bastare a darci un’idea piuttosto precisa dei progetti di Wolfowitz per la gestione della Banca Mondiale, egli intende trasformarla nel braccio potente della politica di offesa di Washington: una banca americana che distribuisca generosi prestiti agli amici dell’America, negandoli ai suoi nemici, che si assicura che tutti i non-allineati agli interessi americani, abbiano a pentirsi del giorno in cui hanno detto “no” al nuovo dominatore del mondo.

Per quanto questa visione possa essere terrificante, per molti Wolfowitz è solo un agnellino se paragonato a Bolton, l’uomo che avremo il piacere di veder presiedere il Consiglio di Sicurezza per qualche anno. Bolton si è laureato a Yale, ed è il brillante avvocato per eccellenza, un uomo così abituato a convincere gli altri che ciò che è giusto è sbagliato e viceversa che, se per caso le porte delle cariche pubbliche non si fossero aperte, ce lo immagineremmo perfettamente a suo agio nel ruolo di padrino della mafia.

Bolton ha costruito la sua reputazione sulla sua abilità nell’aiutare i candidati neoconservatori alle elezioni a sfuggire le leggi che proibiscono i contributi illeciti per la campagna elettorale. In seguito è stato la punta di diamante nella lotta dei neoconservatori per eliminare i liberali dal Dipartimento di Giustizia.

Bolton non è solo un’altra figura di rilievo a Washington che fa marcia indietro rispetto alle organizzazioni internazionali che richiedono un consenso pluripartitico, egli è uno dei più espliciti nel mostrare il suo disprezzo per il diritto internazionale. In un articolo apparso nel 1997 sul Wall Street Journal, considerava i trattati internazionali e le convenzioni come aventi valore di legge solo finché potevano essere usati per scopi domestici all’interno degli Stati Uniti. A livello internazionale però, essi non sarebbero niente più che l’espressione di accordi politici e, in quanto tali, nella sua opinione, gli Stati Uniti non dovrebbero considerare le convenzioni da loro stessi firmate come obblighi di legge ma piuttosto come espedienti politici di cui ci si può liberare o meno a seconda delle circostanze. Non ci si deve meravigliare dunque che Bolton abbia usato la sua influenza alla Casa Bianca per spingere gli Usa talora a divincolarsi dagli impegni internazionali presi con trattati da essi stessi firmati, talaltra a rifiutarsi di ratificare trattati che aveva firmato o a evitare di partecipare alla stesura di trattati necessari alla comunità internazionale per regolare le relazioni tra i suoi membri.

Ricordiamo che John Bolton, è stato anche uno dei più veementi oppositori alla firma da parte degli Usa dello Statuto di Roma, che sanciva la Corte Criminale Internazionale, da lui ridicolizzato come il “prodotto di un romanticismo appannato”. In altre parole, gli autori di quella convenzione non solo erano un po’ naif, ma soprattutto pericolosamente fuori strada. Chiunque ragioni in questo modo deve covare un profondo sdegno per i sistemi oggi esistenti che regolano le relazioni internazionali, perciò è assolutamente naturale per una persona del genere considerare le Nazioni Unite un’organizzazione stupida e inutile. Bolton ha dichiarato: “Se la Segreteria delle Nazioni Unite perdesse 10 piani del suo edificio di New York, questo non avrebbe alcuna conseguenza”. Questo comunque non gli ha impedito di lodare le organizzazioni multilaterali guidate dagli Stati Uniti. E’ un grande sostenitore di idee quali la “coalizione della volontà”, naturalmente a condizione che il timone sia in mano a Washington.

Vale anche la pena di ricordare che Bolton ha fondato una ONG chiamata La Società Federalista, il cui risultato più significativo è stato il Monitoraggio delle ONG, un programma istituito con lo scopo di monitorare ONG internazionali le cui attività possono essere bollate come anti-americane.

Che cosa dobbiamo aspettarci da una persona del genere quando occuperà la poltrona americana nel Consiglio di Sicurezza? Senza dubbio Bush lo ha voluto dentro per bacchettare chiunque abbia il coraggio di ricordare all’America il diritto internazionale, e per far arrivare in patria il messaggio che il diritto americano è la sola legge delle nazioni civili e la sola legge che tutti gli altri devono rispettare e cui devono obbedire. Ma soprattutto il suo compito è di garantire che chiunque sia fuori dai limiti imposti dalla politica americana non solo debba vedersela con l’ira di Washington ma anche con la furia del Consiglio di Sicurezza, che diventerà uno dei principali strumenti di repressione nelle mani di Condoleezza Rice fino al 2008.

Da quando persone come Bolton siedono alle Nazioni Unite e Wolfowitz presiede la Banca Mondiale, possiamo esser certi che “il progetto del nuovo secolo americano” ha ormai ampiamente superato la fase di pianificazione.

Sarà meglio prepararci, perché l’incubo è appena cominciato.

Note: Hassan Hafaa è professore di scienze politiche all’Università del Cairo.

Tradotto da Paola Merciai per www.peacelink.it
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