Conflitti

Iraq: L'80% della popolazione appoggia la resistenza. Solo quel 5% che trae benefici dalla occupazione difende la Coalizione

Intervista con il giornalista statunitense indipendente Dahr Jamail
10 aprile 2005
Inge Van de Merlen
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: Solidaire


dahr jamail E' già il quarto viaggio, questo, che compie Dahr Jamail in Iraq, uno dei pochi giornalisti occidentali che scrive con totale indipendenza dei reportages sulla vita in Iraq durante l'occupazione militare.

"Gli Stati Uniti hanno perso tutto il loro credito" - afferma.

Mentre la maggior parte dei giornalisti occidentali sono "rintanati" con l'esercito d'occupazione, Dahr Jamail continua il suo lavoro di giornalista indipendente in Iraq. E' cresciuto a Houston, in Texas, dove ha studiato Comunicazione. I suoi viaggi in diversi paesi del terzo mondo e le conversazioni avute con un amico paralitico che ha assistito per un certo periodo hanno risvegliato la sua coscienza politica. Il furto della presidenza degli Stati Uniti alle elezioni del 2000 e la risposta militare seguita agli attentati dell'11 settembre dell'anno dopo lo hanno fatto decidere a mettersi in gioco. Ha quindi iniziato a lavorare come freelance per alcuni periodici, iniziando anche una collaborazione con il settimanale alternativo The New Standard di Anchorage, nell'Alaska.

Quando la redazione di questo giornale si trovò di fronte a dei limiti imposti dalle autorità statunitensi alla stampa, Dahr Jamail decise, nel novembre del 2003, di recarsi per la prima volta nell'Iraq occupato. Il suo obiettivo era quello di informare i lettori di ciò che realmente stava vivendo in quel momento il popolo iracheno.

Durante l'occupazione nordamericana si è recato per 7 mesi in Iraq. In che periodo, esattamente?

Il mio primo viaggio in Iraq risale al 24 novembre del 2003 e sono rimasto lì fino al 28 gennaio 2004. Successivamente, rimasi nel paese dal 4 di aprile fino al 27 giugno. L'ultima volta, durante il secondo assedio di Falluja, la mia permanenza durò dal 4 novembre al 12 dicembre.

Quando Baghdad fu occupata, nella primavera del 2003, i media occidentali mostrarono incessantemente le immagini degli iracheni che esultavano per la vittoria dell'esercito statunitense contro il regime di Saddam. Quale fu la sua impressione la prima volta che si recò in Iraq?

Si può dire che, già a novembre del 2003, la gente era molto disillusa perché non vedeva alcun effetto della ricostruzione. Da allora la maggior parte dei cittadini non credeva già più al fatto che gli statunitensi erano venuti ad aiutarli. La maggior parte dei sunniti era molto indignata per l'occupazione militare. I curdi, che erano in migliore relazioni con gli USA, hanno continuato a credere nella loro promessa d'indipendenza in un modo piuttosto apatico. Soltanto coloro che, in un modo o nell'altro, hanno tratto dei vantaggi dall'occupazione - al massimo, il 5 % della popolazione - hanno appoggiato le forze della Coalizione.

E come è cambiato l'atteggiamento del popolo iracheno rispetto all'occupazione militare?

Nella prima fase dell'invasione, le truppe della Coalizione avevano ancora l'appoggio di quelle persone che avevano mantenuto un atteggiamento ottimista durante il regime di Saddam. In genere, molti si sono sentiti sollevati quando il dittatore fu arrestato. Però le truppe avevano già commesso errori troppo gravi come quello di contare sull'appoggio della popolazione locale a lungo termine. Nell'aprile del 2004 feci un'intervista ad un combattente mujahedin, il quale in un primo momento si era rallegrato per la caduta di Saddam ed aveva anche ricevuto l'esercito statunitense a braccia aperte. Ma, tempo un mese, allorché si rese conto che erano morti molti iracheni, che molti di loro erano stati attaccati nelle proprie case e che c'erano state molte detenzioni inutili, il suo entusiasmo iniziale si raffreddò considerevolmente. Inoltre, non sembrava che la ricostruzione stesse avanzando e la maggior parte degli iracheni non aveva più un lavoro. La gente constatava che il governo statunitense non rispettava le sue promesse. Questo lo fece decidere a prendere le armi contro gli occupanti.

Oggi, dopo più di 100.000 vittime irachene, dopo lo scandalo di Abu Ghraib e di due assalti molto sanguinosi che hanno avuto luogo a Falluja, la resistenza all'occupazione militare è diventato un fenomeno generalizzato. Quasi ogni iracheno ha un parente o un amico che è stato incarcerato o assassinato dall'esercito statunitense. Gli USA hanno già perso tutta la loro credibilità. Questo è il motivo per cui l'80% della popolazione irachena non tollera più l'occupazione.

Come avviene la comunicazione tra le truppe di occupazione, i suoi collaboratori e il popolo?

L'esercito americano comanda sia la Guardia Nazionale Irachena (GNI), sia la polizia locale. A volte l'esercito entra in un commissariato di polizia e dice: "Prendiamo il comando". E la polizia non può opporsi. Tutto ciò che può fare è sperare che gli statunitensi se ne vadano. Inoltre, i militari americani usano gli iracheni come scudi umani: a loro tocca il lavoro sporco nella maggior parte dei casi. Inoltre, le unità statunitensi non dispongono di abbastanza traduttori e questo rende la comunicazione con la GNI e la polizia più difficile.

Naturalmente, questo problema linguistico pesa anche nel rapporto con la popolazione. Evidentemente, gli americani che attaccano una casa nella quale ci sono dei civili iracheni non li capiscono e viceversa. Di conseguenza, se gli iracheni non eseguono esattamente gli ordini, molte volte i soldati interpretano questo come un atto di disobbedienza, che fa diventare i civili dei potenziali sospetti. Questo è il modo in cui sono stati uccisi o arrestati una grande quantità di civili innocenti. Non esiste il minimo contatto tra la popolazione e la maggior parte dei soldati americani. L'esercito ha tutto il potere nelle sue mani e bisogna andare a cercare molto lontano per trovare un po' di giustizia. Di fatto, comunque, più che l'esercito americano, la popolazione odia i membri della GNI e maggiormente la polizia,. Il motivo è che loro sono collaborazionisti: poiché tradiscono la loro gente, non possono sperare di essere rispettati. La maggior parte della popolazione li chiama, infatti, "ladri".

In che termini descriverebbe la catastrofe umanitaria che si sta svolgendo in Iraq?

Tranne che nel Kurdistan, il resto del paese non è altro che rovine e macerie. Tuttavia, il grado di distruzione differisce da un luogo ad un altro. La disoccupazione arriva al 70%. Gli approvigionamenti dei viveri non sono più efficaci. Se non ci fossero i rifornimenti di cibo, iniziati dai tempi delle sanzioni con il programma Oil For Food, un quinto della popolazione irachena sarebbe morta, semplicemente, di fame. Quasi tutto il giorno, la gente non dispone di elettricità né di riscaldamento. Malattie come l'influenza spagnola o la polmonite si sono diffuse enormemente. L'impresa statunitense Bechtel, che si aggiudicò l'appalto per la ricostruzione delle infrastrutture dell'acqua all'inizio della guerra, a malapena rispetta il suo contratto. Di conseguenza, molti iracheni hanno contratto colera, tifo, diarrea e calcoli renali.

Coloro che hanno sentito di Falluja non sanno assolutamente niente. Solo per fare un esempio, ci sono molte più ONG attive in Iraq. Ovunque si vedono rifugiati, il cui numero aumenta ad ogni offensiva dell'esercito statunitense.

Qual è l'immagine che ha della resistenza?

Come ho detto prima, l'80% della popolazione la appoggia. Può essere un appoggio morale o un aiuto pratico, di denaro, cibo o alloggio. Il nucleo iniziale della resistenza si costituì attorno ad ex - membri dell'esercito iracheno, il quale fu sciolto da Bremer. Oggi, invece, sempre di più, la resistenza si avvale di persone che vogliono vendicarsi per la morte dei loro familiari ad opera degli americani. Quindi, si riconoscono diversi gruppi all'interno della resistenza. La maggior parte di loro sono sunniti, ma anche gli sciiti si sono ribellati come, ad esempio, a Najaf, Sadr City e Karbala. Sunniti e sciiti non combattono insieme, ma, se necessario, si aiutano a vicenda. Quando, nell'aprile del 2004, l'esercito occupante assediò Najaf, i partigiani sunniti rifornirono di armi e addestrarono quelli sciiti.

Per giunta, il fatto che gli americani abbiano rinunciato a difendere le frontiere, ha aperto il paese a molti combattenti stranieri. Tuttavia, non sono riuscito a parlare con nessun membro del gruppo di Al-Zarqawi. E' possibile che neanche esista, dato che non ci sono prove che attestino le accuse contro di lui e le informazioni a suo riguardo sono molto contraddittorie. Di tutti i combattenti che ho incontrato, nessuno mi ha detto di avere qualcosa a che fare con i sanguinosi attentati delle auto - bombe. Uno di loro mi ha detto che, dovendo far saltare in aria una macchina, i gruppi agiscono sempre di mattina presto, per limitare al massimo le vittime civili. Quindi, gli attentati sanguinosi di cui parlano tanto i media, sono opera di gruppi terroristi.

Il fatto che, sia la resistenza irachena che i gruppi terroristici abbiano come obbiettivo gli USA, li fa confondere ai nostri occhi. Ma, senza dubbio, utilizzano strategie diverse: la resistenza conduce azioni di guerriglia ed ha obiettivi militari, mentre i terroristi fanno molte vittime civili con le auto - bombe. Le decapitazioni orribili e i sequestri sono nella stessa logica. Nel caso dei sequestri, c'è da chiedersi a chi giovano. Sequestrare persone che aiutano la popolazione farebbe perdere l'appoggio locale alla resistenza. Gli unici che ne traggono vantaggio sono gli occupanti, che hanno modo di giustificare la loro presenza in Iraq.

Come crede che stia cambiando la vita quotidiana degli iracheni?

Si prevede sempre peggio. Mi sembra impossibile qualsiasi miglioramento, con la presenza americana. La vita peggiora, giorno dopo giorno: la violenza aumenta, la disoccupazione continua a crescere, le infrastrutture sono distrutte. La vita, per gli iracheni, è sofferenza, insicurezza e caos. Non vedo come la situazione possa cambiare, rimanendo l'esercito statunitense nel paese.

C'è qualcosa che i cittadini belgi possono fare per aiutare gli iracheni?

Certo! In primo luogo, tutti gli aiuti finanziari e medici che arrivano nel paese attraverso le ONG sono ben accetti. E' importante che le poche ONG ancora presenti sul territorio si mantengano attive. Invece, un aiuto diretto agli iracheni sarebbe quello di non appoggiare l'impero statunitense: boicottarne i prodotti e, cosa più importante, obbligare i governi europei ad adottare un punto di vista netto e preciso contro la politica americana in Iraq.

Note: Tradotto dallo spagnolo da Roberta Casillo per www.peacelink.it
Il testo e' liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte, l'autore e la traduttrice


Tradotto per lo spagnolo Rebelión da Beatriz Morales Bastos

Sito dell'autore - http://www.dahrjamailiraq.com

Sulla Bechtel in Iraq - http://www.citizen.org/documents/bechteliniraq.pdf

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