Sull’essere anziani in Iraq
Vecchi d’Italia, India, Pechino, Turchia, Israele, e altri posti
ancora, e di nuovo, come mi è già successo guardando delle immagini di bambini,
ho avvertito quella rara e misteriosa sensazione di appartenenza: non a un singolo
popolo, a una razza o stato, quanto piuttosto l’appartenenza a una grande famiglia,
sul volto della quale il tempo incide le proprie lettere. Osserva, quelle sono
le pagine del tempo e del destino, le lettere che siamo noi…………leggile.
David
Grossman
Il vecchio sciita (arabo musulmano seguace di Alì, il genero di Maometto) si accarezza la lunga barba bianca e liscia. E’ molto concentrato e quel suo gesto si ripete più volte, mentre appoggia con forza tutto un lato del suo corpo sul bastone. Poi, si accorge che lo stiamo osservando e, allora, ci guarda dritto negli occhi. Il suo sguardo è acuto come una puntura di spillo. Chi sei tu che mi scruti?
Perché mi fotografi? E da dove vieni, sembra domandarci.
La stessa domanda, per quanto paradossale, sorge anche in noi: chi sei, tu, anziano iracheno, da dove vieni e dove vai?
Quel vecchio incarna su di sé molto più che i segni di un’evidente maturità. E’ l’emblema in carne e ossa, per così dire, di una vera e propria antichità. In lui si fondono i segni di un tempo remoto e di un passato ancestrale, sumero, assiro, antico babilonese, culla delle sue origini e della terra che calcano passo dopo passo i suoi sandali.
Il cammino è ancora lungo, sembra interrogarsi l’iracheno, cosa vorranno da me quegli stranieri, cosa possono capire di me, di chi sono io? In effetti, ha ragione. Noi possiamo soltanto intuire quel poco che basta per afferrare al volo che la condizione degli anziani in Iraq è fragile, sebbene nella loro tradizionale famiglia allargata ci sia sempre posto per un vecchio parente, anche se ti venisse inaspettatamente a bussare all’uscio durante la notte. Ma i più recenti avvenimenti hanno messo a rischio un ruolo, quello degli anziani, che finora non era nemmeno in discussione.
I disordini e i terribili attentati che stanno sconvolgendo l’Iraq non si sono certamente placati, nonostante sia avvenuto il passaggio di consegne dei poteri dalle mani americane a quelle del governo provvisorio insediatosi a Baghdad con due giorni d‘anticipo sulla data che era stata fissata
(30 giugno 2004). E perché mai da quella data, fatidica finché si vuole, avrebbero dovuto trovare un
ordire, per cessare, le vecchie faide mai risolte e gli oscuri interessi che spingono all’azione i nuovi clan emergenti, come qualche ingenuo o poco onesto commentatore occidentale voleva farci credere? Le elezioni rimedieranno a tutto questo? Le elezioni sono una via, un buon mezzo per “contarsi”, ma non sono il fine di una ritrovata democrazia, se mai ci sia stata.
Nel frattempo, un altro anziano, questa volta un curdo, si accuccia sulla sponda di una fogna a cielo
aperto: si è fermato a contare i suoi dinar, appena ricevuti dopo ore di attesa nella calca della distribuzione degli aiuti umanitari. Oggi è una buona giornata: può finalmente procurarsi un po' di cibo fresco. Quanto può rappresentare, in termini di salute e benessere, un pasto con vivande fresche (carne di montone, peperoni verdi, spinaci, ceci e latte di capra) anziché stracotti di riso e kebab vecchi di una settimana e consumati finché non si esaurisce la piccola scorta? Possiamo immaginare, noi, una quotidianità di questo calibro, a 60 gradi di calore, con violente tempeste di sabbia e senza acqua potabile che sgorghi, come siamo abituati, dal rubinetto di casa?
Siamo andati alla ricerca dei vecchi in Iraq, da Bassora (a sud) al Kurdistan iracheno (a nord, fino al
confine con l’Iran). Abbiamo visto un paese dove la speranza di vita non supera i 61 anni d’età, ma dove già a 35 i segni dello stile di vita ti marcano di rughe tutto il volto. Abbiano raccolto storie stentate, frammenti di una memoria che ha visto tanti stranieri passare di qui, ma mai il ricordo di qualcuno che si interessasse davvero della loro condizione. E, allora, solo la diffidenza, per proteggersi da tutto e da tutti.
Cosa significa diventar vecchi in Iraq? Come vivono gli anziani soli? Perché rimangono nascosti in quei dedali di case ammassate l'una sull'altra e perché hanno paura persino di andare a procurarsi un po' di cibo? E' facile essere anziani in Iraq? Chi ti aiuta se hai perso tutto, persino il bene più prezioso: cioè, la famiglia allargata?
Gli ospizi in Iraq esistono, ma pochi sanno davvero cosa succeda al loro interno. Possiamo banalmente immaginare che la qualità di giacigli, indumenti e alimentazione, per non parlare delle cure, non sia comparabile ai nostri standard. Vi sono ospizi a Baghdad, Mosul, Karbala, Ad Diwaniya e Bassora. Le condizioni di questi edifici sono pietose: servizi igienici praticamente inesistenti, scarichi di acque nere che si mescolano a quelle cosiddette “bianche”, cucine che sembrano l’antro di Mangiafuoco. E poi non c’è personale specializzato per assistere i ricoverati, non esiste un presidio medico. Nemmeno una lavatrice. Odori intensi che impregnano un silenzio che sembra spettrale. Poi cala il buio, inutile cercare di accendere la luce: non c’è.
Il problema degli anziani soli, tuttavia, sembra meno urgente, a detta degli operatori internazionali, ma
secondo noi è solo meno visibile e “pubblicizzato”. Mentre per le donne e i bambini bisognosi di cure
sono stati bene o male allestiti pronti soccorsi da campo e sono stati riorganizzati gli ospedali preesistenti, tutti affollati fino allo spasimo perlopiù di pazienti giovani, le persone anziane tendono a
non mettere piede fuori casa, sia perché troppo malati per farcela, sia perché “non usa”. Non avere
più una famiglia equivale a essere condannato a morte: nessuno a cui chiedere aiuto, nessuno che
possa portarti dei rifornimenti di acqua, medicine e viveri, che possa lavarti le piaghe o possa prendersi cura di te.
Non è questione di scarsa solidarietà, qui è questione di vita o di morte. Non si possono dare giudizi
morali su un paese in cui le condizioni umanitarie sono state stravolte prima dalla ferocia di un regime repressivo, da guerre interne, immiserimento, da deportazioni e altre oscenità, poi dall’embargo e adesso da una guerra di liberazione da Saddam che ha allargato, però, a macchia d’olio la guerriglia, suscitando anche una guerra civile fra tribù religiose e i loro seguaci, per il potere
e per chi se ne approfitta.
I vecchi soli rimangono abbandonati a se stessi, ma non ne vedrete uno solo che chieda l’elemosina.
Salvo alcuni interventi internazionali di ristrutturazione degli ospizi per recuperare un minimo di vivibilità al loro interno, le campagne per la raccolta di fondi a favore degli anziani sono meno “producenti” verso l’opinione pubblica e i media, rispetto a quelle a favore dei bambini. Così, per questo tipo di aiuti, in Iraq si sono raggiunte risorse per non più di tre o quattromila anziani, e forse altri 500 o 600 casi individuati al di fuori degli ospizi.
Gli ospizi, o i tuguri dove si rintanano nel silenzio gli anziani rimasti soli, rappresentano delle zone grige del diritto umanitario. Molto difficili da individuare e classificare, poche le risorse disponibili, gli interventi arrivano quando per quei vecchi, probabilmente, “non c’era più niente da fare”.
IRAQ – Dati reperibili
di D.B.
Popolazione (2001): 23.600.000 (si stima che nel 2050 saliranno a 57.900.000)
Media fra sessi: 103 uomini ogni 100 donne
Speranza di vita: 60,7 anni (maschi: 61, femmine: 64)
Età media della popolazione: 18,7
Crescita annua della popolazione: +3%
Figli per donna: 5
Mortalità infantile: 125 su 1.000
Mortalità alla nascita: 83,3 ogni 1.000 nati vivi
Medici: 51 ogni 100.000 abitanti
Qualità della vita in città: al 3° posto della classifica mondiale, troviamo Baghdad fra le città
peggiori in cui vivere (la classifica è basata su 39 fattori che vanno dalla sicurezza personale alla
stabilità politica)
Pil al 2001: 27,9 mld di $ - Pil procapite al 2001: 1.180 $ per PPP (parità di potere d’acquisto)
Produzione di petrolio: fra i primi 15 maggiori paesi produttori l’iraq si colloca al 7° posto, con una
media di 2.414 migliaia di barili/g
Alfabetizzazione: 39,3%
Spese militari al 2001: 9,3% del pil
Forze armate al 2001: 424.000 unità (più 650.000 riservisti)
(fonte: Il mondo in cifre, © 2003, The Economist; per l’Italia: © 2003, Internazionale)
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