Conflitti

Vindravan, aspettando di essere salvate

Dall'India la 1° lettera del diario di viaggio di Simona Lanzoni, responsabile Progetti
19 aprile 2005
Aldo Daghetta (Responsabile Comunicazione Fondazione Pangea Onlus)
Fonte: Fondazione Pangea Onlus

Vindravan - India del Nord, 19 Aprile 2005. Vindravan, meta del viaggio di oggi, la città dove secondo la leggenda Krishna amoreggiava con le Gopi rubando loro i vestiti mentre si bagnavano nel fiume. Oggi a Vindravan vige la legge del contrappasso e invece che a flirtare le donne vengono a morire.
Vindravan, una delle tre città sacre dell’Induismo insieme a Varanasi e Puri, è meta di pellegrinaggio e di morte, è il luogo prediletto dalle vedove per trascorrere la loro intera esistenza in attesa di morire o di essere salvate, a seconda dei punti di vista. Chi muore in una delle città sacre, infatti, esce per sempre dal circolo delle reincarnazioni e raggiungendo quello che per noi è paragonabile ad uno stato di santità.
Partiamo da Delhi, ci vogliono quasi 3 ore di macchina per arrivare: Prabha Devi, una professoressa universitaria lettrice e docente di sanscrito che ci accompagna ci dice che la strada, un tempo polverosa e piena di buche, da pochi anni è stata completamente asfaltata. Cumuli di grano sono sparsi nei che fiancheggiano la strada: è il tempo della raccolta. Prabha Devi, una donna molto interessante e colta, fa parte dell’associazione indiana Guild of Service, che lavora a favore delle donne di Vindravan. Prima di arrivare nella città santa ci fermiamo a vedere un appezzamento di terreno dove stanno costruendo un centro per accogliere oltre cinquecento donne….Alla fine arriviamo, siamo nelle ore più calde di una giornata premonsonica e i 40 gradi si fanno sentire.
Si racconta che a Vindravan vi siano oltre 4000 templi dedicati a Krisna e ad altre divinità. Su una stima di circa 55mila abitanti, oltre 10mila sono vedove. La cittadina è abitata per la maggior parte dalla casta dei bramini, equivalenti ai nostri preti e commercianti che vivono dell’economia che la città santa crea. Non a caso una delle cose che mi impressiona girando per la città è il vedere una quantità esagerata di nuovi edifici, appartamenti che stonano molto con la povertà delle persone e la mancanza di una reale economia che non sia legata ai riti religiosi.
Entrati nella città Prabha Devi ci avverte: «non guardate le scimmie negli occhi altrimenti vedranno la vostra paura e verranno da voi, non mettetevi gli occhiali da sole, adorano rubarli e metterseli!». A Vindravan, come del resto in tutta l’India, gli animali che in Europa troviamo spesso negli zoo rinchiusi nelle gabbie sono liberi, come i pappagalli verdi che svolazzano tra i rami degli alberi, gli elefanti che bloccano nel traffico di Delhi, le scimmie che rubano il cibo appena possono, i pavoni nei parchi e cani randagi che dormono lungo la strada mentre le vacche sacre ed i pericolosi tori mangiano le foglie degli alberi negli spartitraffico.
Ogni mattino molto presto e ad ogni calar del sole, a Vindravan si possono sentire i Bhajans, canti di devozione che le donne inneggiano negli Ashram, i templi. È il loro dovere: ogni tanto ricevono qualche rupia e una ciotola di riso come ricompensa. Le seguo al calar del sole, indossano tutte sari bianchi, sono le vedove bianche. Escono da ogni parte della città, dalle loro residenze, luoghi spesso malsani, umidi e senza alcun minimo servizio necessario, a volte devono pagare affitti esorbitanti, per le più fortunate provvedono istituzioni caritatevoli o filantropiche. Le più giovani, spesso per guadagnare qualcosa di più si prestano anche al mercato della prostituzione. Eccole, a centinaia, silenziose, bianche e malconce. Krishna forse non avrebbe rubato loro i vestiti vedendole bagnarsi nel fiume….
Arriviamo in un Ashram, le donne iniziano a cantare dietro le sbarre di ferro coperte dalle reti antizanzare. Nei loro occhi non c’è più né presente né passato, solo infinita tristezza, con uno sguardo perso nella rassegnazione che ha volte ho trovato nei visi delle donne afgane.
Non ho voglia di fotografarle, è quasi una questione di rispetto, mi scende solo un grande silenzio interno.
Ma chi sono queste donne, che cosa fanno qui? L’essere vedova in India è un problema di genere come del resto anche in altri paesi, perchè gli uomini hanno la “proprietà” di se stessi e della propria persona, mentre le donne sono consegnate al momento del matrimonio alla famiglia del marito e quando lui viene a mancare la famiglia di lui spesso preferisce allontanare la vedova. È uno status che genera vergogna, c’è la credenza che chi perde il marito è perché non ne ha avuto cura e viene allontanata dalla vita sociale, dalle celebrazioni, dalle feste, come se sia una persona che porta sfortuna. La moglie viene cacciata anche per questioni di eredità, per lasciare le proprietà all’interno della famiglia del marito; una vedova che non ha alcun lavoro è solo un enorme peso economico all’interno della famiglia che la prende in carico.
A volte, se la donna è adulta, i figli stessi non vogliono occuparsi delle madri perché il coniuge non vuole, particolarmente se sono di una casta bassa e devono lavorare tutto il giorno per sopravvivere e non hanno tempo di badarvi ne vogliono avere una bocca in più da sfamare. «Una donna vedova è un rischio per le altre donne sposate all’interno di una famiglia allargata, in quanto sono donne che ancora hanno attive tutte le loro facoltà sessuali - mi spiega Prabha Devi sospirando - infatti, quando nacque la tradizione, in passato, era compito della famiglia allargata tenere la vedova con se, quindi per paura di creare gelosie e competizione facevano rasare completamente il capo delle vedove e poi le si faceva vestire di bianco, dandole veramente poco da mangiare, per renderle brutte e non seducenti, perché gli uomini così non venissero attirati da loro e alla fine le vedove si allontanavano proprio per non sentirsi umiliate».
«E se la donna è giovane e ha figli» domando sconcertata «Sono tenuti dalla famiglia, se maschietti è ancora meglio, altrimenti vanno via con la madre e peregrinano a Vindravan» mi risponde Prabha Devi aggiungendo che invece se un uomo rimane vedovo può fare quello chef vuole.
Vindravan è oggi la soluzione moderna alla tradizione del Sati, costume oggi fuori legge che vedeva le vedove doversi dar fuoco insieme al marito al momento del funerale che prevede la cremazione, secondo il rito induista. Oggi non ci si brucia più, ma ci si lascia morire. Vi sono 33 milioni di vedove in India, di cui il 54% sono sopra i 60 anni, quindi produttivamente parlando incapaci di prendersi cura di se stesse e il 12% ha tra i 35 e i 39 anni di età. L’area di provenienza per l’80% delle donne che ora risiedono a Vindravan è dalla provincia di Bengal, il 20 % dall’ Uttar Pradesh, Orissa e dai villaggi limitrofi a Vindravan stessa: arrivano, quindi, dalle province dell’India orientale che sono tra le più povere al mondo. Ultimamente, però, arrivano anche donne che hanno subito umiliazioni e abusi: partono perché non sopportano più il trattamento che viene loro riservato. Le donne decidono di partire quando sentono di essere di troppo, a volte ancora prima di essere cacciate. Preferiscono venire a salvarsi a Vindravan.
Prabha Devi mi porta al centro di Guild of Service, una casa di accoglienza per le donne, sono 100 e sono tra le più povere e anziane di Vindravan: ce ne sono anche una decina di giovani tra cui una mamma con due bambini. Qualcuna di loro racconta la sua storia, la più anziana dice di essere qui da oltre cinquanta anni, aveva venti anni quando è rimasta vedova. La differenza di età, specialmente nelle aree rurali, tra marito e moglie è, infatti, molto alta. A un certo punto arriva “la guida”come dicono loro: è una donna che si è autoeletta leader e portavoce al loro interno e si comporta di conseguenza. Infatti arriva e si siede con noi al tavolo. «Guarda - mi fa notare Prabha Devi - osserva il linguaggio del corpo, sicuramente era una donna abituata al comando, forse era di casta alta, qui moltissime donne sono di casta bramina, sono donne che generalmente non hanno mai lavorato, hanno perso l’eredità perché è stata presa dai familiari del marito e vengono poi abbandonate». Le donne che sono nel centro sono libere di muoversi e hanno la possibilità di fare anche piccoli lavori, ma è intenzione di Guild of Service aprire una casa per le vedove giovani e creare un centro di formazione ed educazione per cercare di restituire una vita a chi vuole riprendersela. Sono otto anni che il centro esiste, all’inizio hanno chiesto alle donne di non tagliarsi i capelli e hanno regalato loro sari colorati, non è stato facile farsi accettare dalla comunità religiosa che ha criticato fortemente questa scelta dicendo che l’organizzazione voleva deviare le tradizioni religiose, ma alla fine l’ultima parola è stata delle donne.
«La loro reazione nel ricevere i sari colorati era divertita - ricorda Prabha Devi - ci dicevano e si mettevano a ridere, perché le donne quando divengono vedove e partono per Vindravan sono private di tutti i loro preziosi. Abbiamo cercato di metterle in contatto con i loro cari e spesso non è stato possibile, non ne vogliono sapere, abbiamo fatto le procedure per far ricevere la pensione di cui hanno diritto, abbiamo aperto loro un conto bancario dove depositano le loro rupie e la loro pensione: i soldi vengono spesso lasciati in eredità ai loro cari, malgrado il grande rifiuto che hanno subito con l’abbandono».
Forse è per questo che con le preghiere si rivolgono ad un Dio che non potrà comunque rifiutarle.

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