In Nepal ancora guerra civile, ma il lavoro per le donne continua
Sono a Kathmandu da circa tre mesi. Oramai questa città è la mia seconda casa, negli ultimi 8 mesi i tre quarti del mio tempo li ho trascorsi qui. Cerco di tenermi informata su quello che succede nel paese ed essere gli occhi di chi è interessato al Progetto Sharma della Fondazione Pangea Onlus, ma ho grande difficoltà a spiegare quello che questo paese rappresenta. Stato piccolissimo amato dai trekkers che vivono la capitale tra un’escursione e l’altra rimanendo chiusi nella zona turistica piena di luci colorate e vetrine tanto lontane dalle nostre, ma con una varietà infinità di souvenir, il Nepal è ben diverso da quanto i turisti riescono a percepire.
Il Nepal non è fatto solo di montagne che rappresentano tra l’altro la zona meno popolata, il paese è abitato da gente la cui vita ruota intorno alla semestrale raccolta del riso e in cui tutti i bisogni elementari non vengono soddisfatti. Nella capitale fuori dalla zona turistica non mancano solo le luci colorate delle vetrine, ma mancano l’illuminazione pubblica, l’acqua, l’asfalto. I nepalesi sono abituati all’occidentale di passaggio e a fare per loro da attrazione turistica. Mi è capitato diverse volte di vedere occidentali fotografare mendicanti e bambini di strada come testimonianza per gli amici ed i parenti di una realtà così diversa, ma dopo il click entrare nel negozio più vicino e comprare regalini prima di tornare a casa. Il Nepal non si può riassumere in una cartolina con delle splendide montagne né con una descrizione delle numerose discriminazioni cui le donne sono soggette, della povertà, degli stenti di molti cittadini o con un elenco delle storie drammatiche che facilmente si conoscono. Conoscere il Nepal richiede tempo e ogni giorno ci sono cose nuove da imparare, cose sorprendenti e originali ai nostri occhi.
Gli stessi nepalesi in molti casi ignorano di essere vittima di soprusi e di non godere dei più elementari diritti: al cibo, all’istruzione, alla salute. Di un paese molto tradizionale come questo, in cui la divisione in caste diventa causa ed effetto di tutti i problemi e di tutti i bisogni, è molto difficile dare una descrizione. Secondo la religione induista quello che capita nella vita va vissuto come un caso e il destino non va in nessun modo modificato. Se sei figlio di lustrascarpe farai il lustrascarpe, se sei figlio di macellaio farai il macellaio e così per tutte le generazioni. Grazie alla reincarnazione si sale di livello da una casta all’altra fino alla più alta. L’inserimento di dinamiche più “attive” nel modo di vivere è molto difficile, ma non impossibile: come tutti gli esseri umani è innata anche qui una volontà di riscatto, una curiosità ed una dignità che nessuna religione e nessuna guerra civile possono sradicare.
Pur nelle classi più istruite, anche se parlare di classi qui è quanto meno una forzatura, resistono tendenze conservatrici molto forti. I matrimoni combinati tra appartenenti a persone della stessa casta perpetua un sistema gerarchico e le giovani generazioni non si sottraggono alla tradizione. Allo stesso tempo, però, la tecnologia e il confronto con l’occidente favoriscono una volontà di cambiamento: si crea così un equilibrio quasi precario tra il perpetuarsi dell’assetto della società secondo criteri atavici e lo slancio verso una maggiore dinamicità.
La capitale è caotica ed inquinata, mentre fuori dalla valle principale i militari ed i ribelli decidono a turno la sorte degli abitanti. La guerra civile, iniziata nel 1996, non sembra finire e anzi diventa sempre più cruenta. In questo periodo le scuole private sono sotto attacco, i maoisti le hanno chiuse o bombardate mentre in quelle pubbliche i ribelli fanno sovente incursione costringendo gli studenti ad ascoltare discorsi per la causa maoista: se l’esercito irrompe in quel momento gli studenti vengono incarcerati e accusati di complicità con i ribelli. Molte volte i maoisti entrano nelle case e prendono tutti i viveri che trovano, il giorno dopo arrivano i militari e arrestano quelle stesse persone accusandole di aver dato supporto ai ribelli. Il clima di terrore che riguarda tutto il paese rende ancora più difficile la vita degli abitanti che continuano a vivere come spettatori ciò che succede.
Il re ha sospeso lo stato di emergenza a inizio maggio e gli ispettori per i diritti umani dell’ONU hanno fatto il loro ingresso nel paese. Nel frattempo nella capitale è in corso una propaganda serrata per una fantomatica democrazia in cui il rispetto dei diritti umani è la base e la lotta alla corruzione l’amalgama che legittima il governo. Per la lotta alla corruzione le organizzazioni internazionali sono diventate in qualche modo i capri espiatori della corrotta burocrazia e il re ha deciso che i militari verificheranno in modo capillare le attività delle organizzazioni stesse.
Sui giornali c’è sempre in seconda pagina un riquadro che rende onore alla libertà di stampa, peccato, però, che molti giornalisti siano in carcere dal 1 febbraio, giorno dell’assunzione dei pieni poteri da parte del sovrano. I quotidiani hanno in totale quattro pagine, di cui due di spettacoli americani ed indiani ed uno di calcio italiano e inglese. Un giorno un ragazzino a casa ha visto un quotidiano italiano e mi ha detto “l’Italia deve essere un paese interessantissimo, il giornale è così grande, devono succedere tante cose!”. Non ho avuto il coraggio di spiegare che in realtà le cose scritte su quel giornale non erano minimamente paragonabili alla gravità della situazione nepalese.
Finito ufficialmente lo stato di emergenza, la propaganda politica martella tutti con messaggi che rimandano alla pace e alla democrazia, ma io nella vita quotidiana stento a vederne dimostrazione. Di fatto, la situazione rimane nelle mani dei militari e del re, non è dato sapere come sta andando la guerra civile, quanti distretti sono in mano ai ribelli e quanti all’esercito. Sui giornali si parla sempre di scontri, ma quotidianamente si ha uno sbilanciamento delle perdite: in genere secondo le cronache le perdite tra i maoisti sono più del doppio delle perdite tra i militari. Chi viene dai villaggi racconta di gente che non ha più casa, di famiglie decimate e di un dato sconcertante: nessun abitante è rimasto immune alle conseguenze della guerra civile.
Tre rappresentanti da ognuno dei quattro distretti beneficiari (Dang, Jhapa, Sindupalchowk e Panchtar) sono a Kathmandu da una settimana per seguire i training in Gender and Development, Counselling e microcredit. Il primo corso, conclusosi domenica scorsa, è stato seguito da tre rappresentanti per ogni distretto mentre per gli altri due le partecipanti si sono divise in due gruppi. Il primo giorno di training sono arrivate tutte a bordo di un minibus armate di penna e quaderno con un entusiasmo negli occhi che non avevo mai visto in nessuno prima d’ora. Il contatto quotidiano con loro è per me un arricchimento continuo: l’ascoltare delle loro attività, dei loro gruppi e delle difficoltà che incontrano ogni giorno e nonostante tutto continuano ad andare avanti, non può che far accrescere la mia ammirazione nei loro confronti. Mi rendo conto che in molti casi rimango incantata ad ascoltarle!
Imparo da loro come si sono organizzate fino ad ora, impegnandosi al meglio volontariamente, senza limiti di tempo, per accrescere la consapevolezza di genere loro e della comunità in cui vivono aiutando donne vittime di violenza domestica, ripudiate dai loro mariti, accusate di stregoneria perché rimaste vedove. Senza strumenti e conoscenze specifiche, ma supportate da un volontà ferrea sono riuscite a fare accettare alle rispettive comunità le loro attività e anzi a diventare un punto di riferimento e di ascolto per chi ha bisogno di aiuto.
Nel corso di Gender and Development hanno incontrato un avvocato che ha descritto loro le diverse leggi discriminatorie esistenti in Nepal, docenti di sociologia che hanno spiegato loro in cosa consistono le discriminazioni di genere e tutti hanno fornito loro gli strumenti cognitivi necessari per vivere diversamente rispetto ad un sistema decisamente non equilibrato e a favore degli uomini.
Il corso di microfinanza è un corso informale in cui Simona Lanzoni, Responsabile Progetti di Pangea, ha preparato per loro un questionario dettagliato sulle attività che i loro gruppi svolgono attualmente utilizzando le basi del microcredito. È un modo non solo per conoscerci meglio e per far in modo che anche tra di loro si condividano tecniche ed esperienze, ma anche un modo per preparare insieme la seconda fase del progetto, quella dove il microcredito sarà protagonista.
La volontà e l’entusiasmo di tutte le donne non può che farmi credere che il Progetto Sharma sarà realmente efficace.
Fondazione Pangea Onlus
Via Cusani, 10 – 20121 Milano
tel. 02 733 202 – fax 02 36561754
www.pangeaonlus.org
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