Scoop "alla" mano o scoop "in" mano?
"Il cinico non è adatto a questo mestiere" trattato il 10 giugno al Forum sulla cronaca del Giornalisti del Piemonte. Un plauso a Moraglio, cronista del Sole 24ore. Ha avuto il merito di entrare in un argomento estremamente delicato prendendo spunto dal grande Kapuscinski, cronista e scrittore polacco, maestro nell'identificare il nus del giornalismo.
Ryszard Kapuscinski ci ricorda, a ragione, che sono necessari scetticismo, realismo, prudenza, altrimenti non si potrebbe fare giornalismo, ma aggiunge "...improntato a una scelta etica molto forte: quella del sacrificio, del rischio, dell'esperienza diretta, della relazione con gli altri e della condivisione.." E ancora “...e che richiede persone che lo conducano in maniera intelligente, realistica... [il giornalista] dovrebbe smettere di vendere informazione. Un mestiere, una missione in cui non si smette mai di imparare.."
Il pensiero di Kapuscinski è un pensiero forte, frutto di esperienze storiche sulla propria pelle, ma anche di intense riflessioni, di sofferenze, del sentirsi veramente indigeno tra gli indigeni e stare bene, del non avere paure personali che ti fanno sentire solo, ma condividere le paure degli altri, dell’avere il coraggio nell’esperienza diretta, sempre e solo propria, mai di rimbalzo...
Il giornalista, non può essere o, peggio, apparire, protagonista presuntuoso di un evento, un intuito, un fatto, una presa di “potere istituzionale”. Semmai un’importante spalla ambiziosa, questo si. Il suo compito (la sua missione, così definita dal reporter polacco) è il saper tradurre -per facilitare-, esternare -per mettere al corrente-, raccontare -per indurre all'attenzione-, vivificare -per coinvolgere-, anche mediare, quando è indispensabile al raggiungimento dell’obiettivo.
Solo così può trasmettere, materializzare, il bisogno "vitale" di chi pretende Informazione. Questi deve essere messo nella condizione, grazie al giornalista, di poter decidere, di poter scegliere da che parte stare. Non è compito del giornalista, mai e poi mai, manovrarlo verso una scelta da lui, premeditatamente, stabilita.
Mi sia consentita questa premessa all'unico scopo di trattare un "caso" che ha provocato la mia sensibilità, quella di giornalista troppo romantica, ma che, se non altro, sostenitrice del pensiero di Kapuscinski, non vuole chiamarsi cinica.
Giorgio Bocca, giornalista piemontese, "il contadino che c'è dentro di me", il coraggioso, lo spurio da qualunque compromesso, insomma il mio Giorgio Bocca nel quale ho sempre trovato uno tra i più assoluti rappresentanti del pensiero di Kapuscinski, in un recente pezzo pubblicato sul n. 897 de "Il venerdì di Repubblica" ha commentato ciò che lui (peraltro solo lui) definisce "lo scoop dell'anno": il reportage di RaiNews24 realizzato da Sigfrido Ranucci andato in onda il 13 maggio scorso: “In nome del petrolio”. Il servizio ha dimostrato che l'Italia è lì per "proteggere" pozzi petroliferi per un affare di circa 300 miliardi di dollari, roba che risale alla fine degli anni 90, su proposta di Saddam all'ENI, omologata dall'analisi di Giuseppe Cassano, consulente del Ministero e docente di statistica economica dell'Università di Teramo, incaricato di stimare i possibili guadagni di un intervento italiano in Iraq, nella fattispecie Nassirya. Giorgio Bocca "bacchetta": "Che scoop è?... Ma che rivelazioni sono mai queste? La stampa mondiale è stata larghissima di informazioni sul fatto che quella guerra puzzava fortissimamente di petrolio e che gli amici di Saddam prendevano delle bustarellone grazie all'operazione oil for food..." Alla luce dei fatti, documentati dalla Rai satellitare, appare dunque che l'Italia con il suo "prendi due, paghi uno", sia in Iraq per ripristinare pace e tutela archeologica (antica Babilonia), ma questa nobiltà d’animo pare che sia subordinata, molto subordinata, al fattore petrolifero, all'eldorado che annovererebbe l'Italia tra i primi quattro a usufruir dell'oro nero. La "luce dei fatti" ad oggi, con dispendio di tempo ed energia, con mirata oculatezza, etica ed estetica, atta a evitare proprio lo "scoop banale", l'ha fornita a quanto pare solo Rainews24 e bene ha fatto il suo direttore Roberto Morrione a rispondere al bacchettante Giorgio Bocca. La sua risposta, (n.899 de " Il Venerdì di Repubblica", come lettore di Bocca fin dal 63 e non già come collega), è stata chiarificatrice e, tornando a Kapuscinski, diretta, non per interposta persona. Morrione, infatti, fa notare a Bocca che un conto è scrivere per intuito, ben diverso è scrivere per "umana testimonianza" Diciannove militari, oltre a tutti coloro che indirettamente c'hanno lasciato la pelle, hanno dimostrato, grazie alle documentazioni di Rainews24 (le sole prodotte) che noi siamo laggiù non già per "la democrazia e la libertà" (forse anche) ma per business planetari (U.S.A. docet). A conferma di quanto detto ci preme sottolineare che decine di testate, centinaia in Web, hanno riportato l'oggetto dell'inchiesta (esclusi i tg Rai 1 Rai 2 e Mediaset. Televideo si è poi distinto per aver fornito una specie di smentita a notizia... mai data).
L'A7(Omnibus week-end del 4 giugno scorso) ha addirittura intervistato l'inviato Ranucci per approfondire il tema. Tutti "dormienti"? (Giorgio Bocca, infatti, nel pezzo si domandava se dormisse o fosse desto...)
L'arrogarci la pretesa di stabilire cosa sia uno scoop, una notizia sensazionale, non spetta all'intuito, ma alla capacità di dimostrare cosa raccontiamo. L'importante è che raccontiamo come è. Chi ci legge è l'unico che può arrogarsi il diritto di mollare o continuare a crederci. Ma molto dipende da ciò che sappiamo dimostrar loro con fatti non con ...intuiti.
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