La vergogna di Srebrenica
Non è soltanto un giorno di lutto quello per i più di ottomila musulmani bosniaci, di età compresa tra quattordici e novant’anni, uccisi a Srebrenica. Il cordoglio continuerà nei giorni a venire, e non solo a Srebrenica, in Bosnia e in Erzegovina.
Non solo in ogni parte della ex Jugoslavia dove esiste oramai una presa di coscienza del male che ha colpito il Paese. E che esiste anche altrove. Il mondo occidentale, che ha pianto giustamente l’11 settembre del 2001 i più di duemila morti delle Torri Gemelle, non si rendeva conto che a Srebrenica le vittime erano state almeno tre o quattro volte di più: fino all’ultima prova visiva - i filmati del martirio - non si aveva nella percezione e nella memoria il significato di quell’evento. Sebrenica ci invita, dunque, a pensare a noi stessi e a giudicarci. A riflettere sui musulmani massacrati vicino alla piccola città bosniaca, così come riflettiamo per le vittime innocenti di Londra. Ancora non sono state aperte tutte le fosse comuni, dovevano essere almeno sessanta. Tanti cadaveri, di cui restano soltanto i nomi nei registri degli scomparsi, non sono stati ancora trovati. Attenderanno chissà quanto quella decente sepoltura che merita l’essere umano. Attorno a una immensa camera ardente, con numerosi feretri avvolti nel drappo verde, piangono madri, sorelle, figlie, amanti. Si sono raccolti più di cinquantamila bosniaci e non solo musulmani. Ci sono anche personalità pubbliche, venute non solo dalla ex Jugoslavia. Mi chiedo quante di loro provino vergogna per quanto è accaduto l’11 luglio del 1995. Questo evento ha incontestabilmente un significato europeo. Per varie ragioni. Nel momento in cui il genocidio genocidiale fu realizzato, si trovavano in questa zona proclamata «protetta» dall’Onu, le truppe olandesi con il generale francese Janvier: avevano anche a disposizione aerei, capaci di fermare i soldati dei boia chiamati Mladic e Karadzic. Queste «forze di pacificazione» non si sono mosse per la pace. L’Europa e l’Onu condividono una parte di responsabilità per l’ecatombe. Ma l’errore era stato commesso già prima. I musulmani bosniaci, slavi tardivamente islamizzati, sono stati forse i più laici musulmani del mondo. Un grande scrittore della loro nazione, Mehmed Mesa Selimovic, scrisse in un grande libro intitolato «Il derviscio e la morte», tradotto in quasi tutte le lingue europee: «Siamo stati troppo pochi per diventare un lago, e troppi per essere inghiottiti dalla terra». I nazionalisti serbi in Bosnia e i nazionalisti croati in Erzegovina li volevano far inghiottire tutti dalla loro terra natia. L’Europa ha ascoltato con complicità la propaganda tendenziosa dei seguaci di Slobodan Milosevic e di Franjo Tudjman che presentava gli islamici bosniaci come una «piattaforma» o un cuneo attraverso cui l’Islam penetra in Europa. E non li considerava per quello che erano: l’Islam europeo, forse il più moderato del mondo, un vero modello che poteva essere utilmente contrapposto ai veri fondamentalismi islamici, il modello dell’Islam europeo. Ora, feriti a morte e raccolti intorno ai feretri dei loro fratelli, hanno forse perduto una parte della loro laicità. A chi la colpa? Non solo ai criminali Mladic e Karadzic invano ricercati dal Tribunale Internazionale dell’Aja, protetti e nascosti dai loro connazionali nazionalisti. L’Europa, in questo momento confusa e con l’animo occupato dalle sue emergenze, dovrebbe comunque pensarci. E dovrebbero pensarci anche le Chiese, l’ortodossa e la cattolica, che nei confronti del «prossimo», non hanno dimostrato nell’ultima guerra balcanica un atteggiamento degno della fede cristiana. La memoria impedirà, chissà per quanto tempo, di ritrovare in Bosnia la vera pace delle anime. I Balcani continueranno a essere una polveriera, dimenticando di essere stati un tempo la culla della cultura europea.
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