A Baghdad si muore anche di paura
Era da tempo che l'Iraq non occupava il primo posto in un telegiornale nostrano. Oggi non ci sono i soliti 10 o 20 morti quotidiani, quelli che ormai non fanno più notizia. Oggi i morti sono quasi 1000, se siamo fortunati e il conteggio si ferma.
La carneficina si è consumata in un giorno di festa per gli sciiti. Circa un milione di fedeli si erano radunati presso la moschea al-Kadhimiyah di Baghdad per la cerimonia di commemorazione del martirio del settimo imam, Moussa al-Kadhim. Improvvisamente sono stati esplosi contro la folla alcuni colpi di mortaio che hanno causato sette morti e soprattutto diffuso il panico. Contemporaneamente tra i pellegrini si è diffusa la voce che ci fosse un kamikaze pronto a farsi esplodere. A quel punto la tragedia: la calca impaurita ha cercato una via di fuga verso un vicino ponte sul fiume Tigri. La struttura non ha retto al peso di tutte quelle persone, ed ha ceduto, facendo così precipitare i pellegrini nel fiume. Centinaia di questi, inoltre, soprattutto tra i più deboli, donne e bambini, erano già morti schiacciati dalla folla in fuga.
Ora ad orrore si aggiunge altro orrore: gli ospedali di Baghdad non sono in grado di fronteggiare all'emergenza, i cadaveri si accumulano nei corridoi e i feriti non possono essere curati.
Per quella che è stata definita come la più grande strage in Iraq dallo scoppio della guerra, il primo ministro iracheno Ibrahim Jaafari ha decretato tre giorni di lutto nazionale.
Il luogo della tragedia, ora che la folla non c'è più, appare come un grande cimitero di scarpe, oggetti personali e brandelli umani. Un cimitero provocato dal terrore psicologico in cui ormai l'Iraq è precipitato.
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