Le profonde spaccature dell'Iraq
Lo aveva intuito Enzo Baldoni, l’anno scorso, nel suo ultimo e fatale viaggio in Iraq: la divisione religiosa, tra sunniti e sciiti, è il punto su cui deve concentrarsi l’attenzione internazionale per capire il perché del dissesto irakeno. Per questo l’ultima iniziativa del free-lance assassinato nell’agosto del 2004 è significativa: Baldoni voleva andare a Najaf, città santa sciita, assediata dai marines, per osservare e conoscere le ragioni della fazione capeggiata dal leader Moqtada Al Saadr.
In questi giorni la cronaca ha portato sotto i riflettori la reale situazione dell’Iraq: una carneficina (quasi mille vittime, il maggior numero di morti dall’inizio della guerra nel 2003) rivelatrice del clima che regna a Baghdad e nelle province battute dalla guerriglia e dal terrorismo. Chi pensa al paese come ormai sulla strada della democratizzazione non tiene conto della realtà. L’Iraq creato a tavolino da Francia e Inghilterra, dopo la I guerra mondiale e il crollo dell’impero ottomano, non possiede una caratteristica essenziale: l’unità etnica.
Bush senior, nel primo conflitto irakeno, non spazzò via il regime di Saddam nel timore che il fragile paese si frantumasse compromettendo gli equilibri di tutta l’area del Golfo. Bush junior ha volutamente ignorato i consigli degli esperti che suggerivano di tenere in piedi almeno il vecchio apparato statale, epurandolo dei fedeli del dittatore. Il presidente ha dato retta ai falchi del Pentagono, rischiando così di mandare in pezzi una nazione privata della sua spina dorsale.
Ora si tenta di fronteggiare questa delicata situazione con il varo della nuova Costituzione, ma la strada è impervia. I sunniti non gradiscono che sciiti e curdi godano di larga autonomia nella nuova federazione statale. La preoccupazione è soprattutto dovuta al pericolo che il sopravvento della numerosa componente sciita possa portare il paese sotto la sfera di influenza del regime teocratico (anch’esso sciita) che regge il vicino Iran. Prospettiva inquietante soprattutto nell’ottica dei paesi mediorientali alleati con gli Usa, tra cui Arabia Saudita e Giordania.
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