Gorazdevac, limbo della storia tra inquietudine e memorie. Diario da un'enclave serba in Kossovo
Il mondo "aldilà" dell'enclave serba di Gorazdevac, in Kossovo. Storie al di fuori della Storia, a dimostrazione di cicli immutabili in cui le vittime diventano carnefici e poi ancora vittime, nell'insensatezza della guerra.
Sono arrivata qui in Kossovo appena due settimane fa, ma nell'enclave serba di Gorazdevac dove vivo il tempo è dilatato, i ritmi sono quelli stagionali e la percezione dei giorni che passano è assolutamente alterata. I momenti dell'ascolto nelle case del villaggio sono eterni. Tra tazze fumanti di caffè e bicchierini di liquore, suoni ancora poco familiari mi cullano. Sanno di quotidianità violata dal conflitto, di affetti spezzati, di emarginazione, di diffidenza.
Gli sguardi degli anziani di Gorazdevac sono i più eloquenti: hanno la profondità di chi ha visto tanto e l'impenetrabilità di chi ha avuto cura di depositare i ricordi più taglienti ben in fondo, perché siano materia fossile e non più fuoco vivo del presente. Hanno scattato tante foto certi occhi, ma la memoria le appanna e le sfuma e l'archivio delle immagini va aperto con cautela e anche con un po' di distacco. Sento che una narrazione asettica e ripetuta quasi a mo' di ritornello è la modalità più confortevole per affrontare certi argomenti.
Ho immagazzinato tante storie in questi giorni, forse anche un po' a modo mio per via dell'ostacolo linguistico. Ma un fattore mi colpisce più di altri perché è ricorrente nelle parole di tanti e rende i vissuti personali dei prismi inaccessibili. È il fattore della compresenza storica. Ciò di cui molti serbi parlano qui è un periodo indefinito, astorico in cui passato, presente e futuro convivono. È vero, il "prima della guerra" e il "dopo la guerra" sono espressioni frequenti, ma hanno più il valore di piani lessicali che di livelli temporali reali. La percezione storica degli abitanti dell'enclave passa attraverso un'illusione di continuità... continuità rispetto al passato in cui il Kossovo era parte integrante del territorio serbo... continuità rispetto ad un passato remoto in cui il Kossovo era nucleo fondante della nascente nazione serba. Qui al villaggio le foto di Milošević sono ancora in bella mostra accanto alle icone religiose. Non sono associazioni casuali, credo. Il soffocamento Un volontario di Operazione Colomba con un'anziana serba del villaggio di Gorazdevac,settembre 2004 - Operazione Colombadelle istanze etniche nella struttura statuale livellata e centralistica del periodo titino sembra avere in seguito scagliato le dinamiche politiche in una spirale di miti, vagheggiamenti e irrazionalità. Osservanza religiosa e culto della nazione viaggiano di pari passo nel tessuto di una storia idealizzata, esaltata negli ultimi anni in chiave nazionalistica, alimentata da fantasmi di passate grandezze e coraggiosa ribellione al giogo turco. Il "prima" e il "dopo la guerra" hanno senso rispetto al dolore e all'umiliazione, ma la coscienza storica tra quel "prima" e quel "dopo" sembra essere rimasta immutata.
Nel frattempo gli albanesi sono diventati maggioranza in Kossovo, ma per i serbi di Gorazdevac questa è una realtà fittizia a cui fingono di non credere fino in fondo e in cui si rifiutano di prendere parte. Il loro sguardo di minoranza ghettizzata è ancora rivolto a Belgrado e non alla municipalità di Peć/Peja con cui rimane peraltro molto difficile interagire, anche per vedersi garantito in chiave sostanziale il diritto fondamentale alla libertà di movimento.
L'enclave è innanzitutto spazio fisico delimitato da check point di militari a volte di cartapesta, che non hanno sempre garantito l'incolumità della gente che la abita. Ma ho l'impressione che ad un certo punto l'enclave diventi anche una forma mentis, uno stato dell'anima, una condizione accettata con fatica, ma allo stesso tempo orgogliosamente difesa come quanto di più intimamente serbo rimane ancora in Kossovo.la strada per Pristina dopo i bombardamenti della Nato
La città dista solo pochi chilometri, ma andare da Gorazdevac a Peć/Peja è un viaggio nella macchina del tempo. Atmosfera da crocevia tra occidente e oriente; ondate di ragazzi che si riversano nelle strade e nei locali il fine settimana; il richiamo cantilenante alla preghiera che dall'alto dei minareti invade le strade cinque volte al giorno; mercatini di chincaglierie dove lo spirito affaristico illirico fa capolino tra un banchetto e l'altro. Il vento del commercio levantino soffia in tutt'altra direzione rispetto alla sana e sanguigna cultura contadina dell'enclave che si nutre di cose semplici: un'economia chiusa familiare o solidaristica basata su allevamento e piccoli esercizi commerciali, riunioni tradizionali in onore del santo della casa (la slava), aneddoti che corrono veloci di bocca in bocca, urgenze pratiche rese più problematiche da una quotidianità enclavizzata.
I negoziati per lo status del Kossovo hanno preso avvio, ma qui nel villaggio la politica che si conosce e si pratica è quella dei rapporti interpersonali e degli equilibri familiari. L'universo delle trattative internazionali è lontano anni luce dal microcosmo del vissuto quotidiano e degli affetti. Qualcosa è nell'aria, ma si vive alla giornata, del particolare e delle sfumature dell'oggi. Le grandi decisioni sono sospese nel purgatorio della segregazione.
Ma basta uscire di poco fuori da Gorazdevac sulla strada per Peć/Peja, dove un cimitero albanese è accuratamente contrassegnato dalla bandiera con l'aquila di Skanderberg(1). E allora ti rendi conto che la storia del mondo fuori batte anche alla soglia dell'enclave, perché anche le ossa dei morti "altrui" che riposano servono a delimitare il territorio e perfino il colore dei fiori che li omaggiano non può costituire scelta casuale. C'è fango sufficiente per rendere impantanate e spesso impraticabili le strade del villaggio, ma non ce n'è abbastanza per rendere Gorazdevac invisibile agli occhi di chi negozierà il destino del Kossovo e dunque anche il destino della minoranza serba relegata in questo ghetto. La storia (quella attuale) tornerà a pulsare anche qui. Ma per ora vivere in un'enclave è un po' come sostare in una realtà fuori da quella reale. E quando la corrente elettrica salta (anche per diverse ore al giorno) e il buio scende sul villaggio, tutto perde i suoi contorni e diventa massa informe. E allora Gorazdevac potrebbe davvero non essere mai esistita o rappresentare una dimensione immaginaria o un mondo primitivo al confine del tempo, in cui sentimenti primordiali come la paura si toccano con mano e la memoria e le tradizioni sono la vera linfa del presente.
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