Conflitti

Gli Iracheni Si Sono Pronunciati, Ma Non All'Unisono

La forte affluenza alle elezioni parlamentari della scorsa settimana in Iraq può essere stata la dimostrazione civica che il Presidente degli Stati Uniti George W. Bush avesse bisogno di riacquistare la fiducia presso un popolo estenuato che l'avventura di Washington nel paese potesse non rivelarsi un disastro dopo tutto
4 gennaio 2006
Jim Lobe
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: IPS

Ma una settimana dopo che un 70 precento documentato dei 15 milioni di
iracheni aventi diritto al voto si è affollato alle urne, gli effettivi
risulatati - e il ruolo che essi giocheranno nei giorni a venire - può non
essere rassicurante.

Stando alle relazioni preliminari, ne viene fuori che le speranze
dell'amministrazione in un governo liberale, le cui parti costituenti sono
sufficientemente deboli da costringersi a compromessi che prevengano il
disintegro dell'Iraq ma fuori dalla loro portata, potrebbero diventare più
difficili di quello che si credeva.

A dire il vero, le forze centrifughe dell'identità etnica e religiosa
possono effettivamente esseresi rafforzate come conseguenza delle elezioni,
come molti critici dell'amministrazione avevano previsto, particolarmente
dopo che l'adozione del plebiscito di Ottobre di una costituzione
provvisoria ha trasferito i luoghi del potere dal governo centrale alle
regioni.

"La cosa spiacevole è che il punto d'incontro dell'identita degli Iracheni è
stato davvero perso," ha detto Rend Al-Rahim, capo della Fondazione
Dell'Iraq qui. "Gli Iracheni stanno ancora votando per i loro rancori;
stanno votando il loro vittimismo."

Mentre gli sforzi di Washington di convincere la popolazione Sunnita a
partecipare al "processo politico" sembrano aver avuto successo, sembra
altamente improbabile che i Sunniti ottengano abbastanza seggi da esercitare
una maggiore influenza in qualsiasi nuovo governo.

La loro frustrazione, già evidenziata dalle furiose accuse di brogli
elettorali a Baghdad e dalle minacce di boicottare il nuovo parlamento, può
accrescere il loro risentimento e quindi alimentare le proteste, secondo
quanto dicono gli esperti qui.

"C'è un tale accanimento e diffidenza tra la comunità araba Sunnita che
l'accettazione (dei risultati elettorali) da parte di alcuni leader
diminuirebbe la loro credibilità e, in alcuni casi, potrebbe mettere questi
leader cooperativi in un serio pericolo di uccisione," ha detto al San
Francisco Chronicle Wayne White, un analista dirigente in pensione del
Dipartimento di Stato dell'Istituto per il Medio Oriente.

Nel complesso è stata scoraggiante per Washington l'inaspettatmente scarsa
presenza di partiti laici, in particolare della Lista Nazionale Irachena
(LNI), giudato dall'ex Primo Ministro Ayad Allawi, che l'amministrazione
sperava sarebbe emerso con abbastanza forza da diventare indispensabile
nella formazione di un nuovo governo.

Con un connotazione nazionale, contro una faziosa o etnica, un LNI forte al
governo avrebbe esercitato un'influenza coesiva sull'intero paese.

Stando alle ultime notizie, tuttavia, l'LNI ha ricevuto solo l' 8% circa dei
voti a livello nazionale. Questa è stata un'ulteriore delusione per
Washington, la quale sperava che il palese corteggiamento di Allawi nei
confronti degli elettori Sunniti avrebbe consolidato le forze laiche della
nazione e fatto da contrappeso alla coalizione Sciita governante, l'Alleanza
degli Iracheni Uniti (AIU).

Ancora un altro partito laico, la Conferenza Nazionale Irachena (CNI)
dell'ex pupillo del Pantagono e dei neo-conservatori, nonché Vice-Premier
Ahimad Chalabi, ha ottenuto meno dello 0,5% dei voti che, se si dovesse
confermare, gli negherebbe una qualsiasi rappresentanza in parlamento.

Quel che ne consegue, secondo molti analisti, compreso l'amabsciatore
americano a Baghdad, Zalmay Khalilzad, è che la maggior parte degli iracheni
giovedì scorso ha votato seguendo linee etniche o religiose.

"Sembra che la gente abbia preferito votare in base alle loro identità
etnche e religiose," ha detto giovedì, aggiungendo, "ma affinché l'Iraq
abbia successo ci dev'essere una cooperazione che vada aldilà delle etnie e
delle fazioni."

L'insuccesso delle votazioni suggerisce che sarà difficle accordarsi. Il
partito Sciita AIU sembra compatto nel volersi accapparare poco meno della
metà dei 275 seggi in parlamento e, con l'aggiunta delle liste associate
all'Alleanza, superare il 50% necessario per formare un suo governo.

Sono richiesti comunque i due terzi dei voti per eleggere un presidente,
cosicché l'Alleanza, che comprende il Consiglio Supremo della Rivoluzione
Islamica in Iraq (SCIRI), il Partito Dawa del Primo Ministro Ibrahim
Al-Jafari, e i seguaci di Muqtada Al-Sadr, avrà messo in piedi almeno una
coalizione o partito di maggioranza.

Come ha già fatto dopo le elezioni dello scorso gennaio, così potrebbe
benissimo fare l'AIU con i due principali partiti Curdi, che insieme
controlleranno poco più del 20% dei seggi.

In quanto coalizione apertamente islamica, potrebbe anche tentare di fare il
filo al partito sunnita Fronte della Concordia Nazionale, un partito
fondamentalista che, con dispiacere da parte dei dirigenti politici degli
USA, ha capeggiato le liste sunnite.

In effetti, aldilà della natura etnica e religiosa del voto, una delle
maggiori rivelazioni delle elezioni è il chiaro trionfo dei partiti
fondamentalisti islamici - sia sciiti che sunniti, sottolineando sia il
grado sia la direzione della trasformazione che la società irachena ha
subito dall'invasione degli Stati Uniti.

"Non vogliamo ancora ammettere cosa sta succedendo - l'islamizzazione
dell'Iraq, " ha fatto notare Marina Ottway, specialista in democrazia alla
Fondazione dell'Università di Carnegie per la Pace Internazionale.

Allo stesso tempo, il partito sunnita Fronte del Consenso Iracheno, che
include il FCN, ci si aspetta che rivendicherà vigorosamente gli stessi
seggi in parlamento di quelli dei curdi. Questo gli da una voce di gran
lunga più firte di quella che ha nell'attuale parlamento, ma una
rappresentanza ancora troppo ristretta perché alla sua voce sia data
importanza, vista soprattutto la scarsa visibiltà di Allawi.

Ciò che ha convinto la popolazione sunnita a partecipare alle elezioni, di
certo, è stata la promessa di una maggiore influenza in parlamento stando
all'accordo stipulato da Khalizad, giusto prima del plebiscito
costituzionale di ottobre per iniziare un processo tramite cui la
costituzione transitoria avrebbe potuto essere riveduta nei 4 messi a
venire.

Di grande importanza per i sunniti sono gli emendamenti che rafforzano i
poteri del governo centrale nei confronti della regione dei curdi a nord e
la proposta di una regione di nove province a sud di Baghdad a dominazione
sciita, oltre ad assicurare che le entrate del petrolio siano equamente
condivise da tutte le regioni dell'Iraq.

"Questo sarà il punto cruciale per i Sunniti," secondo Rahim, che si diceva
pessimista sulla posiibiltà che i curdi e gli sciiti avrebbero assecondato
le richieste dei sunniti ad elezioni finite. Ha anche detto che la capacità
di Washington di condizionare le posizioni di tutti e tre i gruppi sarebbe
dimunuita anziché aumentata.

"E' molto improbabile che il processo di revisione della costituzione
porterà ad una costituzione radicalmente diversa da quella che abbiamo
adeeso," ha affermato Ottway.

Note: traduzione di Agelo Ilardi per www.peacelink.it
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