Storie di ordinario Iraq
“Mi chiamo Assad, ho 16 anni e faccio il commesso nel negozio di mio padre. Sono iracheno, la mia famiglia vive da sempre nella provincia di Diyala, a nord-est di Baghdad.
Oggi a casa mia siamo in lutto, un mio parente ieri è morto per mano di un terrorista. L’attentato in realtà era diretto a suo padre, Ahmed al-Bakka, una persona importante, capo locale del Dawa, il partito del nostro nuovo primo ministro Al Jafaari. Ma lui è stato solo ferito, mentre sono morti il figlio e la guardia del corpo.
Questo pomeriggio ci sono i funerali: andremo tutti al cimitero sciita di Muqdadiyah, vicino Baquba.
Oggi io morirò, e con me la mia famiglia intera. Oggi morirò perchè un kamikaze si farà esplodere tra la folla nel cimitero, forse per vendicare altri morti”.
Assad non esiste, l’adolescente iracheno è un personaggio partorito dalla mia immaginazione avvilita dai telegiornali. Di Assad probabilmente ce ne sono in realtà più di uno.
Ieri per l’Iraq è stata solo l’ennesima carneficina: secondo l’ultimo bilancio sarebbero almeno 37 i morti e 42 i feriti. I giornali, che sono sempre molto prodighi di definizioni, hanno definito il 4 gennaio 2006 la giornata più sanguinosa dopo le elezioni parlamentari del 15 dicembre.
Quel giorno qualcuno ha gridato “Viva la democrazia!”, qualcun’altro ha sputato veleno su chi è stato ed è tuttora contro l’invasione occidentale dell’Iraq. In Italia i soliti noti hanno deriso i pacifisti, colpevoli di aver macchiato con le loro proteste la guerra giusta degli americani (alcune delle tante apologie della democrazia esportata sono nei link sottostanti). A questi signori sono i morti a dare risposta.
Gli unici a non avere risposta sono, ancora una volta, quegli iracheni che vogliono sapere perchè sono passati, con il consenso del mondo, da una dittatura sanguinaria ad una finta democrazia insanguinata.
Oggi le vittime della quotidianità irachena sono state circa 110 in tutto il paese. Allora, per la gioia dei media nostrani, è il 5 gennaio 2006 ad aggiudicarsi il trofeo della giornata più violenta dalle elezioni parlamentari.
Ma che governo è, mi chiedo, quello costruito sul rancore di un’etnia contro un’altra? Che governo è quello che al mattino non riesce a garantire ad un cittadino di arrivare vivo la sera?
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