Conflitti

Diario da Beirut n 14

22 settembre 2005
Marco Pasquini

Rulli di tamburi e soffi di cornamuse battono i passi decisi dei
manifesanti; oggi la memoria chiede attenzione, si fa sentire con forza
negli sguardi fieri e franchi di chi ha subito e ne chiede resoconto. Qui
si celebra assenza: dei propri figli, fliglie, mogli e mariti, padri e
madri assassinati da una violenza che non ha fatto distinzioni. I parenti
delle vittime e la società civile pretendono giustizia per i mandanti
della strage.
Sabra e Chatila settembre 1982, E' una ferita aperta. 23 anni sono passati
dall'orrenda vendetta; E' il 16 settembre 2005 e a Chatila gli abitanti del
campo scendono in strada e manifestano il loro sdegno. Delegazioni di
rappresentanza internazionale presenziano alla commemorazione.
Due le manifestazioni, confluite entrambe nella fossa comune delle vittime
di quello scempio, asilo forzato di corpi violati.
La prima E' partita da Chatila, ha attraversato una parte del campo, ha
sfilato lungo il confine sud. Rumorosa E' entrata nel piazzale, ha
calpestato quella terra che chiede di non essere dimenticata.
L'altro corteo E' sceso dall'ambasciata del Q8, dalla zona che E' stata
avamposto dell'esercito israeliano, comando della cinta d'assedio che per
tre giorni ha stretto i campi separandoli dal mondo. Le O.N.G. e le
delegazioni internazionali hanno partecipato a questa, scendendo con i
loro striscioni verso Al Ghobeiri, Al Rihab, girando per Chatila ed
unendosi all'altro spezzone nel cimitero sterrato.
E' una triste constatazione: neanche nell'estremo dolore del ricordo le
diverse fazioni hanno trovato accordo, dividendo la manifestazione in due,
diminuendo l'impatto e separando le persone.

C'era Aziza, silenziosa; Mohammed, cupo; Abu Jamal, ancora in attesa.
C'era Abu Maher, Zumaya, Hana, i due Abed, Rabiha, Auda con i figli e
molti altri volti conosciuti; c'era il popolo palestinese costretto nei
campi di Chatila e Burj El Barajneh, c'erano le associazioni, i bambini e
gli adulti.
C'erano le foto delle persone scomparse, portate a mano dai loro cari.
Ritratti spinti fuori dall'intimità delle case, staccati dalle pareti o
usciti dagli armadi, liberi o chiusi da una cornice che ne riporta il nome
e una data maledetta: volti ormai senza tempo, immobilizzati nell'attimo
dell'ultimo scatto.

Siamo nel cimitero senza lapidi; fa caldo, molto caldo e il sudore scende
sul volto, salato bagna le labbra unendosi alla polvere. La piazza E'
piena; quanti piedi su questi corpi, calpestano la terra costretta a
silenzioso rifugio di chi improvvisamente E' venuto a mancare. Vite
strappate, penso a quel settembre lontano e la mente corre a ricordi
altrui rubati dai racconti, li altera nel vano tentative di comprenderli.
E' un furto, si soffre di qualcosa che non ci appartiene.
I corpi mutilati, le ruspe che coprono di terra, la calce bianca che
uniforma, le parole taglienti di Genet; queste le immagini che
violentemente mi tornano alla mente, ricordi fruiti da riflessi di
esperienze. Sto girando, le mie immagini si uniranno nel tempo
all'inutilità di una lunga serie; chissà se anche quel giorno faceva così
caldo, se la calce E' riuscita e trattenere l'odore della fine che il sole
prepotentemente spandeva intorno.

Su un lato del piazzale pendono fogli appesi a cartelli, E' un lungo elenco
di chi non c'E' più. Accanto un tavolo la gente si accalca. Si pronunciano
nomi, si distribuiscono documenti che dichiarano persone assenti; i
parenti li prendono e si allontanano, subito qualcun'altro occupa il loro
posto in fila. Sono i nomi di chi non E' stato mai trovato, dei ragazzi
sequestrati dall'esercito israeliano a Sabra e Chatila, caricati su camion
che li hanno spinti verso il nulla, lasciando le famiglie nel dubbio e nel
dolore di chi non sa e continua a sperare in un ritorno.

Sui muri delle strade sono affissi manifesti, come ogni anno dicono lo
stesso: "Non dimenticheremo mai! Non perdoneremo mai!".
Il dolore ha memoria lunga, non come i media che dopo il ritiro delle
colonie israeliane dalla striscia di Gaza hanno indicato nell'ex-generale
Ariel Sharon un uomo di pace, mentre il muro della vergogna in
Cisgiordania continua a guadagnare chilometri ed anche il massacro
compiuto nel 2001 dall'esercito israeliano nel campo di Jenin rimane senza
colpevoli. Le 26 famiglie di Sabra e Chatila che lo avevano denuncitato
alla corte belga rimangono incredule; crimini di guerra e contro
l'umanità, questa l'accusa rimasta sospesa: un'assurda immunità ha alzato
l'imputato al di sopra del giudizio.
E' la forza dell'amnesia collettiva, quella che ha reso innocenza agli
attori di questa ed altre atrocità, lasciando amarezza per chi non vede
giustizia. L'amnistia seguita alla fine della Guerra Civile in Libano ha
pareggiato i conti, stendendo un velo di omertà sulla responsabilità della
Falange cristiano maronita che in quei giorni nel campo ha compiuto il
lavoro sporco.

Questi volti non chiedono compassione ma solidarietà, non pietà ma
giustizia, vogliono che la gente ricordi, che vengano liberati i
prigionieri sequestrati quei giorni, ragazzi divenuti uomini che ancora
potrebbero essere vivi nelle carceri israeliane. La loro presenza pretende
la dignità che si deve a chi soffre rivendicando i propri i diritti,
perchE' il massacro di Sabra e Chatila non E' solo un fatto del passato ma
un problema da risolvere nel presente.

E' trascorso un anno dall'inizio del progetto di documentazione sul Gaza
Hospital, dalle riprese di quel documentario preliminare che ha dato avvio
a questo lungo percorso. In questo periodo la mia frequentazione di Sabra,
Chatila e del Gaza Hospital E' divenuta costante, trasformando le
conoscenze in amicizie e molte di loro in affetti.
In questi 12 mesi la responsabilità si E' fatta impegno, la convinzione
necessità: nostro dovere E' portare testimonianza. E' quello che il giorno
prima della commemorazione cercava di esprimere Abu Maher:

Parlo da uomo che ha combattuto - tiene a precisare - per questo mi rendo
conto che ora gli strumenti di guerra sono cambiati, che quella di oggi E'
una guerra mediatica. Ecco perchE' credo che questo sia il tuo modo per
lottare al nostro fianco, potremmo dire che quella telecamera E' come un
kalashnikow!

Certo E' facile combattere così - penso io - schierarsi dalla parte del
diritto e poi fare i bagagli e arrivederci tra qualche mese. Il privilegio
dell'estraneità toglie il rischio di cadere in battaglia, questione
irrisolta del cinema militante.

La manifestazione si E' dispersa, un servizio sulla commemorazione E' andato
in onda su Al Jazeera e la foto di Jamal Marouf - figlio scomparso di Abu
Jamal - E' finita sul Daily Star con la notizia di una neonata commissione
siriana di inchiesta sui sequestrati da Sabra e Chatila.
Un altro giorno E' passato e prima che finisse l'ennesima bomba E' esplosa a
Beirut est, nel quartiere di Aschrafiye. I frequenti attentati seguiti
all'uccisione di Rafik Hariri pesano su una città che di guerra ne ha
avuta abbastanza, e le dichiarazioni dei Guardiani del Cedro
nell'anniversario della morte di Bachir Gemayel riportano al passato. Tre
gli arresti per istigazione alla guerra civile, questa volta
l'affermazione di diritto dei cristiano maroniti sulla morte dei
palestinesi non E' passata inosservata.

C'E' una frase che mi piacerebbe ricordare, dichiarazione del giornalista
Stefano Chiarini in conferenza stampa da Beirut: la lotta degli oppressi
contro gli oppressori E' la lotta della memoria sull'oblio.

da Sabra e Chatila, Kinoki mrc

Questo racconto fa parte del diario di lavorazione di un progetto di
documentazione a lungo termine; se non volete più riceverlo vi prego
comunicarlo e scusare il disturbo.
Il dvd di un documentario di 26 minuti, girato negli stessi luoghi e
preparatorio a questo, E' in vendita ad euro 15 a copia per
auto-finanziamento.

Per informazioni:
Marco Pasquini
Autoproduzioni Abbasso il GradoZero
marco@izona.it

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