Conflitti

La vita da carcere di massima sicurezza dei detenuti di Guantanamo raccontata da chi c’è stato

Sono 500 divisi in 3 categorie: collaboranti, obbedienti e 100 irriducibili in isolamento
19 febbraio 2006
Con Coughlin
Fonte: Daily Telegraph

Sono le anime perdute della guerra contro il terrorismo. Quattro anni dopo essere stati catturati sui campi di battaglia dell’Afghanistan, le varie centinaia di combattenti talebani e di al Qaida detenuti a Guantanamo si trovano intrappolati in una “legal no-mans’s land”, in una terra di nessuno dal punto di vista legale. Nel corso di una rarissima visita che io stesso ho potuto effettuare questa settimana a Camp Delta (la rete di edifici supersorvegliati nei quali i prigionieri sono alloggiati), ho visto detenuti di età e retroterra culturali molti diversi che stanno ancora cercando di adattarsi in qualche modo al loro incoerente mondo su un’isola caraibica.
Ho incontrato un anziano capotribù pashtun, con una lunga barba bianca e immacolata e fieri occhi scuri, orgogliosamente eretto sull’attenti davanti alla sua cella. C’era un gruppo di giovani pachistani sui vent’anni che giocavano a pallone. Seduti in un angolo tranquillo, sotto un tetto di lamiera che li proteggeva dal feroce sole di mezzogiorno, ho visto un gruppo di afghani di mezz’età che pranzavano insieme e discutevano in modo molto cordiale.
Questi, secondo le autorità americane, sono alcuni dei più pericolosi uomini sulla terra (a Guantanamo non ci sono detenuti donna). Dei circa 70 mila combattenti catturati durante la guerra in Afghanistan, i 750 detenuti di Guantanamo (la base navale di 45 miglia quadrate che il governo americano ha affittato da Cuba) sono stati identificati, sulla base dei rapporti dei servizi segreti e di sicurezza, come figure di primo piano nelle reti terroristiche di al Qaida e dei talebani, che potrebbero fornire importanti informazioni sulla campagna terroristica contro l’occidente.
I detenuti provengono da 44 paesi diversi, si parlano in tutto 17 lingue differenti. Sono stati tutti catturati nel corso dell’operazione Enduring Freedom, la campagna militare guidata dall’America contro al Qaida e contro i talebani in Afghanistan. La maggior parte è di nazionalità afghana, pachistana, saudita e yemenita, ma c’è anche un australiano convertitosi all’islam radicale per entrare in guerra contro l’occidente. Degli originari 750 detenuti, 250 sono stati rilasciati. Alcuni perché le autorità americane non li ritenavano più una minaccia o in possesso di utili informazioni. Altri (come i detenuti britannici) sono ritornati nei loro paesi d’origine grazie all’intervento dei loro governi. Ma quelli che ancora rimangono si trovano davanti a un futuro incerto, in quanto le autorità americane continuano a insistere che sono troppo pericolosi per essere rilasciati o che posseggono ancora informazioni considerate di cruciale importanza per il proseguimento della guerra contro il terrorismo. Insomma, dopo quattro anni di prigionia, alcuni detenuti posseggono ancora informazioni decisive sulla rete terroristica internazionale guidata da Osama bin Laden.
“Un detenuto ci ha fornito informazioni fondamentali relative agli attentati di Londra”, ha dichiarato al Daily Telegraph un importante ufficiale americano di Guantanamo. “Persino quattro anni dopo la loro cattura possono ancora dare decisive informazioni sulla rete di al Qaida”. I militari americani temono anche che, se rilasciati, potrebbero riprendere a combattere contro le forze della coalizione. Almeno dodici dei detenuti finora rilasciati in ragione del fatto che non rappresentavano più una minaccia sono stati coinvolti in attacchi contro la coalizione, compreso un afghano al quale era stato fornito un arto artificiale durante la sua detenzione a Guantanamo.

Le foto le ha fornite Castro
Nel corso di quattro anni, la struttura detentiva di Guantanamo si è completamente trasformata rispetto alle prime inquietanti immagini dei prigionieri legati, con gli occhi coperti e vestiti con tute arancioni che venivano condotti dai soldati americani per essere interrogati. Quelle immagini erano state fornite grazie alla cortesia del leader cubano Fidel Castro, che aveva permesso a un fotografo americano di avere accesso all’estremità del confine cubano con Guantanamo allo scopo di mettere in imbarazzo i suoi nemici americani. I prigionieri non sono più detenuti in provvisorie celle di metallo all’aria aperta a Camp X-Ray, dove erano stati alloggiati i primi all’inizio del 2002. Lo stesso Camp X-Ray è stato abbandonato ed è già stato ricoperto dalla sterpaglia. Il dipartimento della Difesa americano ha speso centinaia di migliaia di dollari per trasformare quella che un tempo era una sonnecchiante e insignificante base navale in una modernissima prigione di massima sicurezza, capace di ospitare centinaia di detenuti per tutto il tempo desiderato. In molti casi, dicono i funzionari del governo americano, questo potrebbe equivalere a tutta la “durata del conflitto”, il che, tenendo conto dell’incerta natura della guerra al terrorismo, potrebbe significare decenni.
Infatti, malgrado tutte le critiche piovute su Washington per il trattamento riservato ai detenuti (o “nemici combattenti”, come il governo americano preferisce chiamarli), Guantanamo è stata istituzionalizzata, tanto che si stanno investendo molti milioni di dollari per costruire altre strutture di massima sicurezza. “In sostanza, non c’è nessun altro posto dove possiamo tenere prigioniere queste persone – dice un importante funzionario americano – E finché porranno una minaccia alla nostra sicurezza o potranno fornire informazioni importanti per prevenire altri massacri, dobbiamo avere a Guantanamo efficienti strutture di massima sicurezza per garantire una detenzione rispettosa dei diritti umani”.
Dopo essere stati sottoposti ad accurati controlli e interrogatori, i detenuti sono ora suddivisi in tre categorie, a seconda della loro disponibilità ad accettare le peculiari circostanze della loro prigionia. La maggior parte appartiene alla categoria definita dai funzionari americani con il termine di “obbedienti”: accettano le regole del centro di detenzione ed è accordato loro un trattamento simile a quello delle prigioni normali. Gli “obbedienti” sono ospitati in celle con l’aria condizionata in edifici a un solo piano appositamente costruiti nella rete in espansione dei cinque campi di prigionia costituenti Camp Delta, che ha sostituito Camp X-Ray. Ogni edificio contiene 48 celle ed è circondato da un doppio anello di filo spinato, con torrette di sorveglianza sempre operative. Ogni cella ha un gabinetto alla turca e un lavandino. I detenuti portano vestiti marrone chiaro e sono loro forniti alcuni articoli per l’igiene personale, alcuni giochi (come il backgammon e gli scacchi, che giocano urlandosi le mosse da una cella all’altra) e una copia del Corano. In ogni cella è disegnata una freccia che indica la direzione della Mecca, per eseguire le preghiere quotidiane rivolti verso la città santa del Profeta. Sono concesse due ore di esercizio fisico al giorno e la possibilità di scegliere i tre pasti da un menu che include gelato, biscotti e burro di arachidi. C’è un ospedale perfettamente equipaggiato per affrontare qualsiasi emergenza medica, e molti detenuti sono stati curati non soltanto per le ferite riportate durante la guerra in Afghanistan, ma anche per numerose altre malattie. Agli “obbedienti” che sono pronti a collaborare con i servizi segreti americani sono concessi ulteriori privilegi. Questa seconda categoria di detenuti indossa tute bianche, ha il permesso di vivere in strutture comuni, di pranzare insieme agli altri detenuti e di giocare a calcio e pallacanestro.

I “cocktail numero quattro”
La terza categoria, invece, quella dei detenuti “non-obbedienti” che rifiutano di accettare il confinamento, pone gravi problemi ai militari americani. Molti di questi detenuti sono irriducibili combattenti di al Qaida, convinti che la loro divina missione sia uccidere i propri “infedeli” catturatori. Attaccano spesso le guardie e, quando non possono farlo, tirano loro addosso pallottole fatte di escrementi – che le guardie chiamano “cocktail numero quattro”. E’ proprio in caso di incidenti come questi che le guardie hanno reagito in modi discutibili, per esempio oltraggiando il Corano (il famoso caso di un Corano gettato dentro un gabinetto è a quanto pare avvenuto in un caso di questo tipo). Ma, per timore di un ripetersi degli abusi sui prigionieri verificatisi ad Abu Ghraib, le guardie hanno l’ordine di non rispondere alle provocazioni. “Abbiamo svolto indagini su 15 guardie accusate di abusi – dice un funzionario di Guantanamo – Soltanto in cinque casi vi erano prove concrete, e si sono presi adeguati provvedimenti contro i colpevoli”.
I prigionieri “non-obbedienti” sono detenuti in ali separate del campo ed è garantito per loro soltanto lo stretto necessario, comprese le famigerate tute arancioni. Sono concessi loro soltanto tre periodi di mezz’ora di esercizio fisico alla settimana. Non stupisce che sia proprio in quest’ala che si verifica la maggior parte degli scioperi della fame. Lo scorso anno, nel momento di massima intensità degli scioperi, c’erano oltre cento detenuti che rifiutavano di mangiare. Oggi ne rimangono cinque, e soltanto uno di essi ha continuato a fare sciopero della fame fin da quando la protesta è iniziata, lo scorso agosto.
(segue dalla prima pagina) Il governo americano è stato fortemente criticato dall’Onu e dalle organizzazioni per i diritti umani per essersi arrogato il diritto di nutrire a forza i prigionieri in sciopero della fame. Ma gli ufficiali medici di Guantanamo rifiutano le critiche: “Abbiamo il dovere di trattare queste persone in modo umano e di salvar loro la vita, ed è esattamente ciò che facciamo”. Oltre ai problemi connessi con gli scioperi della fame, nel corso di questi quattro anni il personale medico di Guantanamo ha dovuto affrontare circa trenta tentativi di suicidio.
Per soddisfare le esigenze di supersicurezza imposte dalla necessità di detenere sia i prigionieri “non-obbiedienti” sia quelli in possesso di importanti informazioni, gli americani hanno completato la costruzione di Camp Five, una prigione di massima sicurezza progettata sul modello di un penitenziario federale in Indiana. Vi sono quattro edifici di celle, ognuno con una sala per interrogatori. La prova che, per il prossimo futuro, Washington è determinata a mantenere Guantanamo come propria principale struttura di detenzione nella guerra contro il terrorismo la si può vedere nel fatto che ha appena investito 31 milioni di dollari per la costruzione di una nuova struttura. Malgrado tutte le critiche, Washington non ha alcuna intenzione di rinunciare al diritto di tenere prigionieri nella sua base cubana.
La polemica nasce sul terreno della definizione legale dei detenuti. Per gli americani, i detenuti di Guantanamo sono “nemici combattenti”, guerriglieri fanatici che non appartengono a nessun paese, non indossano alcuna uniforme e non fanno alcuna distinzione tra uccidere soldati o civili nella loro devozione alla guerra contro l’occidente scatenata dal leader di al Qaida, Osama bin Laden. Come tali – sostengono gli americani – non sono coperti dalla Convenzione di Ginevra e non si qualificano come prigionieri di guerra, per quanto il trattamento include buona parte di quanto richiesto dal diritto internazionale. Ma la creazione di una nuova categoria di detenuti catturati sul campo di battaglia è stata aspramente criticata dalle associazioni per i diritti umani e dall’Onu, secondo cui i detenuti, se non sono classificati come prigionieri di guerra, devono essere o accusati di qualcosa oppure rilasciati. Per controbattere queste critiche, le autorità statunitensi, il 27 febbraio, apriranno alcune “commissioni militari” (o corti militari) per processare i detenuti accusati di crimini di guerra. Finora soltanto dieci hanno ricevuto quest’accusa, ed è probabile che solo una piccola percentuale di loro sarà portata davanti alla commissione. “Il problema è trovare le prove per processarli – ha spiegato un ufficiale – Queste persone sono state catturate sul campo di battaglia, e questo non è certo un luogo dove si possono mandare i poliziotti a raccogliere le prove”.
Le autorità americane continuano a valutare i detenuti per stabilire se possano essere rilasciati o no. Ma si trovano di fronte a un problema, perché non possono rilasciare detenuti appartenenti a paesi dove potrebbero essere torturati. In questo momento ci sono circa cento detenuti (compresi alcuni cinesi) che gli americani vorrebbero rilasciare e rimandare nei loro paesi, ma non possono a causa del trattamento che potrebbero subire da parte dei loro governi. Almeno per il prossimo futuro, dovranno restare, insieme con tutti gli altri, a languire nella terra di nessuno di Guantanamo Bay. “Certo, non è la cosa ideale, ma, date le circostanze, riteniamo che sia la soluzione migliore – dichiara un importante funzionario del Pentagono – Se qualcuno ha un’idea migliore, si faccia avanti, siamo pronti ad ascoltarlo”.


Note: © Daily Telegraph
(traduzione Aldo Piccato)
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