23 febbraio, memoria delle deportazioni caucasiche
Tra la fine del 1943 e il 1944, dopo la riconquista da parte dell'Armata Rossa dei territori caucasici che erano stati invasi dalle truppe di Hitler (la Georgia e la Cabardino-Balcaria), soprattutto per impossessarsi dei pozzi di petrolio, Stalin pianificò la deportazione in massa delle popolazioni caucasiche, accusandole di collaborazione con gli invasori tedeschi.
Parte dei popoli conquistati poteva aver salutato l’ingresso delle truppe tedesche come una liberazione dal giogo sovietico e dalle repressioni del “grande terrore”, ma le ricerche storiche hanno ampiamente dimostrato che solamente una parte dei montanari del Caucaso avesse realmente collaborato con l'esercito tedesco, secondo percentuali non superiori a quelle dei russi.
Nonostante ciò l’intervento di Stalin fu pesantissimo, un pretesto per punire la resistenza alla collettivizzazione o per allontanare da regioni di confine etnie giudicate inaffidabili e i cui rapporti con l'impero russo erano sempre stati conflittuali.
Quasi un milione di persone vennero trasferite in Siberia, negli Urali e nel Kazakistan. Innanzitutto i popoli del Caucaso settentrionale - ceceni, ingusci, caraciai, balcari (tutti mussulmani) e calmucchi (buddisti) - mentre tra le popolazioni transcaucasiche vennero coinvolte le minoranze mussulmane, soprattutto curdi e meschi, ritenuti potenziali spie turche, nonché i tartari di Crimea. Georgiani, armeni e azeri, i popoli più numerosi della regione caucasica, non vennero invece coinvolti nelle repressioni, nonostante tra essi un certo numero avesse militato a fianco dei tedeschi.
Il 23 febbraio 1944 scattò l'“Operazione lenticchia”, dall’assonanza della parola russa čečeoica, lenticchia appunto, con il nome del popolo ceceno, capeggiata da Lavrentij Berija (ministro della polizia, georgiano). Nello stesso giorno fu ordinata la soppressione della Repubblica Sovietica Socialista Autonoma di Cecenia-Ingushezia ed ebbero inizio le operazioni di rastrellamento, con un massiccio impiego di uomini e mezzi. Stalin non ebbe esitazioni a sguarnire i fronti della guerra, utilizzando oltre 100.000 soldati e agenti, e 15.000 vagoni-merci ferroviari.
In pochi giorni vennero svuotati interi territorio dalla loro popolazione, ogni riferimento alla Cecenia e Inguscezia venne cancellato dalle mappe ufficiali, dagli archivi e dalle enciclopedie.
Il gruppo più numeroso dei deportati era costituito dai ceceni, che si stimano oltre 400.000 di cui circa 100.000 morirono durante il trasporto, stipati nei treni merci, per stenti, assideramento e fatica. Chi sopravvisse, si trovò disperso nei territori inabitati, e decine di migliaia morirono negli anni seguenti, specialmente all'inzio, di fame e di polmonite.
Tale avvenimento segnò la vita dei ceceni come l’esperienza più sconvolgente impressa nella coscienza nazionale. Va considerato che praticamente tutti i nati prima del 1957 (anno in cui Kruscëv riconobbe il crimine staliniano e riabilitò le popolazioni caucasiche, concedendo di ritornare alle loro terre) hanno conosciuto l’esperienza della deportazione o sono nati o cresciuti fuori dalla loro terra. Inoltre al ritorno nei territori caucasici vennero a crearsi inevitabili tensioni, tra i sopravvissuti (non più di metà) e le famiglie russe che nel frattempo si erano stabilite nei territori.
Nel 2004, sessant'anni dopo, il Parlamento Europeo ha approvato una mozione che riconosce l'evento come genocidio.
Il 23 febbraio in tutto il mondo si ricorda questo tragico avvenimento, e la storia del popolo ceceno, che sta tuttora vivendo una situazione di gravissime violazioni dei diritti umani. La campagna internazionale World Chechnya Day vuole richiamare l'attenzione su un dramma dimenticato dalla storia e contemporaneamente su una tragedia ancora attuale, che continua a mietere vittime.
Sono stati organizzati numerosi eventi di commemorazione dell'anniversario, principalmente in Europa - soprattutto in Gran Bretagna - ma anche in Turchia, Austria e altri paesi (fuori dall'Europa negli USA e a Bangalore, in India). Incontri pubblici, manifestazioni, veglie, mostre fotografiche, tutto con l'intento di sensibilizzare l'opinione pubblica verso la tragedia di un popolo, nei suoi aspetti storici e attuali.
L'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha presentato nei mesi scorsi un rapporto dettagliato nel quale definisce come “genocidio strisciante” i continui crimini di guerra e le incessanti violazioni dei diritti umani cui la popolazione cecena è esposta, settimana dopo settimana.
Fare memoria della storia, in questo caso ancora più del solito, rappresenta un momento per comprendere anche la realtà, per riflettere su come il genocidio dimenticato, pur cambiando i mezzi e le modalità, rischi di ripetersi tragicamente nell'indifferenza.
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