Conflitti

La storia di un povero Cristo

Oltre all'orrore delle atrocità, una pesante accusa: anche gli italiani, al soldo di apposite organizzazioni pagate dagli americani, farebbero parte del mostruoso staff degli aguzzini.
22 febbraio 2006
Fonte: www.rainews24.it intervista di S.Ranucci


Ha fatto il giro del mondo la foto dell’uomo di Abu Ghraib. Lo “spettro” incappucciato, con le braccia aperte, legate ai fili della corrente. Quest’uomo (se questo è un uomo…) ha un nome e ora anche un volto, grazie all’intervista concessa ad Amman, in Giordania, a Rainews24.
Si chiama Ali Shalal el Kaissi, ha 42 anni, ed è stato arrestato nell’ottobre del 2003 a Baghdad, accusato di far parte della guerriglia. Ali, studioso e insegnante di religione era un “Mokhtar”, un’Autorità amministrativa e religiosa in uno dei distretti di Baghdad. Da che fu rilasciato ha cercato di denunciare le torture subite alle Autorità irachene, senza ottenere alcuna giustizia: nessuno gli credeva. Le foto delle ferocità dovevano ancora essere pubblicate. Sarebbe dovuto venire nel nostro Paese, ma il consolato italiano gli ha negato il visto.
Dal che l’inviato S. Ranucci di Rainews24 ha pensato di andarlo a intervistare ad Amman. Ali Shalal stava seguendo un corso per “Non violent action for Iraq”, tenuto da un gruppo di Ong europee e qui ha fondato l’Associazione delle vittime delle prigioni americane.
Racconta la sua storia in tutta la sua drammaticità. Prima di essere arrestato aveva subito un intervento chirurgico alla mano, intervento che gli lasciò brutte cicatrici. Questo fu il motivo per cui veniva chiamato dai suoi torturatori in modo sprezzante Clawman (uomo uncino). La ferita servì ai suoi aguzzini come ulteriore strumento di tortura. Operavano pressioni su di essa schiacciandogli la mano. Durò una quindicina di giorni, poi i persecutori passarono alla seconda fase. Lo vestirono con una coperta, cui vennero fatti dei buchi, a guisa di tradizionale indumento arabo,lo legarono l con del filo elettrico e lo sistemarono su una scatola di cartone. Fu minacciato di essere elettrizzato se non avesse collaborato. Il suo aguzzino “operava” con una musica di sottofondo, parlava molto bene la lingua araba e gli diceva che proveniva da Gaza, ove aveva fatto “confessare” molte persone. Ali subì numerose scosse elettriche. Le sue terribili parole “…una scossa fu talmente forte che mi sono morso la lingua e ho cominciato a sanguinare. Sono quasi svenuto. Hanno chiamato un medico. Mi ha aperto la bocca con gli stivali, quando ha visto che il sangue non proveniva dallo stomaco, ma dalla lingua, ha ingiunto che potevano continuare…”
Tutte le carceri in Iraq sono controllate dagli americani. Due compagnie private la “Caci international” e la “Titan corp” contrattavano con mercenari di diverse nazionalità. Oltre alla testimonianza di Ali abbiamo anche quella di un ex diplomatico iracheno, Haitham Abu Ghaith, secondo il quale a condurre gli interrogatori dei prigionieri con questi sistemi, c’erano anche mercenari italiani, assoldati dalle apposite compagnie appaltate dagli americani.
Ali Shalal non riesce a perdonare ai nostri connazionali il fatto che questi abbiano trafugato denato e reperti archeologici. Forse è questo che più gli fa male: la scarnificazione della sua terra più che del suo corpo.
Chiude l’intervista dicendo di amare il popolo italiano, conosce la differenza tra gli uomini civili e chi invece non possiede umanità, ma ciò non toglie che lo ritiene un dovere denunciare gli atti disumani dei nostri connazionali. Il messaggio che vuole portare a tutti noi italiani è che in Iraq la situazione non è assolutamente migliorata. Nulla è stato ricostruito.
L'uomo incappucciato ora ha un nome. Si chiama Ali
E’ una testimonianza forte e terribile quella di Ali. Appartiene al presente.
Tutto ciò che noi abbiamo nella nostra mente sono i ricordi violenti di guerra dei nostri padri e dei nostri nonni, abbiamo le immagini di “lontani” olocausti, onoriamo giorni della memoria. E’ un po’ come dire “critichiamo la pagliuzza nell’occhio del nemico e non ci accorgiamo della nostra trave” Il paradosso è che la pagliuzza sono diventati gli atti disumani e devastanti passati che oggi onoriamo ricordandoli in particolari giornate. La trave è l’ipocrisia, la pochezza di umanità con le quali affrontiamo il presente con altrettanti, se non peggio, atti disumani e devastanti.
Ha ragione Ali quando dice “la situazione non è assolutamente migliorata. Nulla è stato ricostruito”.
Lui si riferisce alla sua terra. Noi ci riferiamo alle nostre menti e, per chi ci crede, alle proprie anime...
Nadia Redoglia


Note: Il video dell'inchiesta andrà in onda il 23 febbraio 2003 alle ore 7.45 circa

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