Essere cecena di fronte a Beslan
Parigi, 2 settembre 2004. Il giorno prima un gruppo di terroristi ha preso in ostaggi circa 1000 persone in una scuola della città di Beslan.
Sono dal dentista, seduta in una poltrona. Il giovane medico si china verso di me con i suoi strumenti nelle mani e un grande sorriso sulle labbra. "Ha un bel accento, signorina, da dove viene?"
Da dove vengo?!! Sicuramente voleva cominciare a corteggiarmi, il giovane dentista. Silenzio. Mio Dio, questa signorina con l'accento simpatico è cosi emozionata che si vergogna di dire da dove viene?
Questa semplice parola "cecena" rappresenta tanto di male? Sono di fronte a un giovane uomo, la cosa più normale che possa capitare, e ho paura di trasformarmi in un istante ai suoi occhi in una bomba umana, un'assassina di bambini.
Per la prima volta ho mentito, ho nascosto le mie vere origini e ho detto di essere polacca. Comunque non avrei detto che sono russa! Ce l'ho scritto nel passaporto, ma dire "sono russa" mi è impossibile...
Quel giorno di settembre ho detto una bugia perché mi vergognavo.
E' stato spontaneo, l'influenza delle immagini di Beslan mi ha fatto sentire la vergogna. Dopo, quando ripenso a quel sentimento, mi chiedo "Perché dovrei vergognarmi? Da parte nostra, non abbiamo sofferto abbastanza durante i dieci anni di guerra? E in questi dieci anni, i russi hanno mai provato la vergogna per i crimini dei loro soldati? E quando mai il mondo si è vergognato del suo silenzio?" Ma né qui, né là, nessuno sa che cosa significa essere faccia a faccia con la morte. E se mi sono vergognata delle immagini di Beslan è perché ho capito.
Avrei voluto parlare con il giovane dentista, ma ho pensato che non avesse il tempo per ascoltarmi. O forse non mi avrebbe creduto? Come avrebbe potuto immaginarsi quello che accade a noi, quando noi stessi non riusciamo a immaginarlo?
Se avesse il tempo per ascoltarmi, gli avrei raccontato dei nostri bambini in Cecenia, che non hanno vissuto la terribile fine dei bambini di Beslan, ma che vivono e muoino in un continuo terrore. E non ho altre immagini per testimoniare se non quelle dei miei ricordi. Gli avrei descritto i carri armati, i posti di blocco, i soldati ubriachi che incontrano i nostri bambini sulla strada verso
la scuola. La strada dalla quale molti non sono più tornati. Gli avrei parlato di quei ragazzetti ammucchiati nei sotterranei durante i bombardamenti russi.
Non c'è un ragazzo ceceno che non sappia cos'è la vita nei sotterranei, sia di giorno che di notte. I mostri di Beslan hanno costretto i bambini osseti di bere l'urina. I bambini ceceni sanno cosa vuol dire bere la propria urina, sotto le
bombe, nell'umidità dei sotterranei, quanti hanno dovuto bere la loro urina per cercare di curarsi in assenza di ogni altra medicina?
E allora sì, come persone ridotte a bere la propria urina, siamo pieni di solidarietà con i bambimi di Beslan.
Avrei voluto che comprendesse che questa guerra colpisce i bambini ceceni anche nel ventre angoscioso delle loro madri. Non devo andare troppo lontano per cercare gli esempi: penso a mio cugino Mansur, nato sotto le bombe, lui non è morto ma non potrà mai camminare nella sua vita, nato paralizzato.. Penso a un altro mio cugino, Ruslan, che allora aveva tre anni. Che poteva capire lui, questo povero bambino, quando i soldati russi l'hanno spinto fuori, scalzo,
sul betone congelato dell'inverno? Come vedeva il mondo quando l'hanno messo in linia contro un muro insieme agli uomini della mia famiglia? Perseguitato come un terrorista, a tre anni. É soppravissuto soltanto grazie a un intervento chirurgico.
Avrei potuto dirgli che i nostri bambini non conoscono il senso della parola "circo". Io ero bambina prima della guerra e porto in me un tesoro che loro non conoscono, il senso di questa parola.
Questi bambini non sanno cos'è un circo ma giocano alla guerra, giocano a "posto di blocco" dove uno finge di essere soldato russo per controllare l'altro.
Che cosa diventeranno questi bambini che non conoscono altro se non l'occupazione, le bombe e le operazioni di pulizia?
Il mio dentista avrebbe sentito le stesse e forse anche peggiori cose da ogni paziente ceceno. Le storie vere, il risultato di una grande presa in ostaggi che dura da dieci anni. Perché siamo tutti ostaggi della vita politica russa.
Avrei voluto raccontare tutto ciò a lui, e lo racconto anche a voi sperando di lasciar vedere una piccolissima parte della nostra tragedia nascosta.
La nostra compassione per le vittime di Beslan è infinita. Di fronte alle immagini di bambini che correvano in mutandine sotto le pallottole ho pianto, abbiamo tutti pianto. Un torrento di ricordi personali è salito alla memoria di ognuno di noi al vedere questa terribile sofferenza. Non permetterò mai che si giustifichi ciò che hanno fatto questi mostri anche se sono figli di questa guerra.
Un proverbio russo dice "guarda all'origine!" E allora vi prego di guardare all'origine, perché dal male non può nascere che un altro male.
L. studentessa cecena rifugiata a Parigi
Traduzione di Adam Uzhakhov - Foto: Etudes Sans Frontières, Mission Tchétchénie
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