Nepal: Due comandanti e un popolo
Non ha piovuto per cinque mesi in Nepal e in questa primavera il terreno è riarso, la bruma più spessa per la siccità. La produzione di elettricità è così bassa che persino i privilegiati della Valle di Kathmandu assistono a 17 ore settimanali di oscuramento e questo sta anche influenzando la distribuzione di acqua potabile. I turisti sono scomparsi a causa dei blocchi dei Maoisti e dei coprifuoco del governo, e i cinque casinò di Kathmandu, che avrebbero dovuto intrappolarli, sono invece pieni di Nepalesi intenti a puntare le loro fortune. I prezzi del petrolio sono improvvisamente saliti, un'inflazione a doppia cifra si sta avvicinando. Tuttavia, la confusione politica su diversi fronti sta impedendo alle frustrazioni accumulate di esplodere in un'eruzione di violenza spontanea.
Ovunque in Nepal, oggi, c'è indolenza, un'attesa che succeda qualcosa. Le buche nelle strade non sono riparate, così come gli edifici non vengono tinteggiati e nei distretti la gente ha quasi dimenticato lo slogan onnipresente che per quattro decenni aveva parlato di 'progetto di sviluppo'. C'è la speranza che il vortice di violenza che ha intrappolato il Nepal sia interrotto prima della fine della primavera, prima che inizi il monsone. La primavera è storicamente la stagione del cambiamento politico a Kathmandu, e qualcosa dovrà pur muoversi, o almeno così la gente spera. Quel 'movimento' dovrebbe provenire dalla direzione del palazzo reale di Narayanhiti, bloccato nei suoi modi militaristici e antidemocratici. Per quanto riguarda i Maoisti ribelli nella giungla invece, hanno già indicato in modi diversi, il loro desiderio, o meglio, la loro disperazione: una via che possa aprire ad una politica fuori dalla clandestinità.
Oggi lo stato è ad uno stallo e sta aspettando la liberazione, pianificata o forzata, cosicchè i 26 milioni di cittadini di questa nazione possano ancora una volta respirare aria di pace e libertà. Questa pace è ostacolata dalla violenza di un'insurrezione Maoista che dura da 10 anni e la risposta dello stato di sicurezza ha fatto sì che la nazione sia ai primi posti delle classifiche che riportano i numeri delle persone torturate e scomparse. All'inizio la libertà fu rubata nei villaggi dai fucili dei ribelli, che ancora oggi affermano di avere il supporto popolare. Negli ultimi tre anni, invece, dal nuovo re-diventato-despota, che in ogni occasione sfoggia disprezzo per la gente e parla con doppi sensi orwelliani di democrazia e costituzionalismo mentre procede a demolirli entrambi.
Entrambi i capi - Pushpa Kamal Dahal dei Maoisti e Gyanendra Bir Bikram Shah Dev della famiglia reale - credono che i nepalesi siano dei contadini più che volonterosi a sottomettersi ai loro dettami individuali e feudali. Sembrano non riconoscere, o non voler ammettere, che i cittadini hanno sviluppato un gusto per la democrazia e per quello che uno stato moderno e pluralistico può fornire in materia di sviluppo sociale ed economico. Sanno che il futuro non sta nè con il re nè con i ribelli - nè in una dittatura di destra, nè in un totalitarismo di estrema sinistra.
Durante l'autunno e l'inverno, i ribelli hanno dato chiare indicazioni del loro desiderio di sottomettersi alla volontà popolare. I Maoisti devono per forza essere testati nella loro annunciata volontà di unirsi ad una politica multipartitica, ma oggi è il Comandante reale che sta bloccando la pace e la democrazia non rispondendo al cessate il fuoco proclamato dai Maoisti lo scorso autunno, continuando a snobbare i partiti politici che rappresentano il parlamento e che potrebbero salvargli trono e dinastia, e, cosa più scortese, militarizzando lo stato nepalese.
L'intera sovrastruttura nazionale si sta sgretolando attorno al Comandante Gyanendra, e ciònonostante, non vi è indicazione che egli capisca la gravità della situazione. La distruzione apportata alla struttura statale ed economica in un singolo anno, conduce all'inevitabile conclusione che il Comandante Gyanendra non abbia nè l'attitudine, nè l'acume per essere un capo di governo, ciò che invece è diventato da quando si è autonominato presidente del Consiglio dei Ministri in seguito al colpo di stato del 1° Febbraio 2005. Può anche essere che, essendosi gettato nell'ingorgo, la sua arroganza gli permetta persino di districarsi da solo.
La frustrazione contro il capo del governo è esemplificata dalla rabbia di un soldato che gridava in un telefono pubblico nel distretto di Nawalparasi lo scorso mese, dopo un devastante attacco contro un convoglio militare. Alcune persone hanno udito per caso un frammento di conversazione: 'Signore, quanti dei miei ragazzi devono morire ancora per l'arroganza di un singolo uomo?' C'è disillusione tra le forze di polizia, perchè il re continua a costringerli a muoversi con la mimetica dell'esercito, mentre cresce il malcontento tra gli ufficiali dell'esercito che sono incapaci di trasmettere il messaggio alle truppe. La polizia in questi giorni si arrende alle prime avvisaglie di un attacco e i soldati sono stanchi senza aver mai affrontato apertamente i ribelli - sono isolati socialmente e senza una leadership che li possa ispirare.
TEMPO DI SANZIONI
Se il nodo sta nell'ostinazione del Comandante Gyanendra, allora il problema è come forzargli la mano. La condanna internazionale non ha funzionato con colui che sembra operare secondo il modello di giunta isolazionista perfezionato dai generali di Rangoon. Questo capo di stato non si è nemmeno preoccupato del fatto che i suoi fallimenti siano stati sfoggiati in pubblico, i disastri provocati dal governo nei settori della diplomazia, sviluppo, economia, amministrazione e guerra. Finalmente il pubblico ha potuto sentire quello che alcuni diplomatici avevano descritto come abilità del re di dare rappresentazioni sbagliate attraverso il mezzo televisivo, in occasione dell'anniversario del colpo di stato. Guardando dritto nella telecamera, la mattina del 1° Febbraio 2006, il Presidente Gyanendra ha affermato che i Maoisti si stavano abbandonando ad' isolati episodi di piccola criminalità', mentre, al momento della registrazione, la guerriglia stava distruggendo il centro amministrativo di Palpa. Ha dichiarato che l'immagine e l'orgoglio nazionale sono stati ristabiliti, quando in realtà non è riuscito ad ottenere un singolo invito per una visita di stato fuori dal Nepal, mentre i dignitari stranieri evitano il paese come l'aviaria. Con viso serio Gyanendra ha affermato che durante questo anno di governo la democrazia è stata rafforzata.
Non è tutto. Avendo sprecato numerose opportunità di costruire ponti con i partiti politici, nel messaggio del Giorno della Democrazia, il 19 Febbraio, Gyanendra ha fatto appello ai partiti 'interessati' di contattarlo, per discutere. Mentre annunciava questo, un grande numero di leaders politici - inclusi Madhav Kumar Nepal del Partito Comunista del Nepal (Marxista Leninista Unito) e Ram Chandra Poudel del Nepali Congress - venivano imprigionati per suo ordine. Questa è l'ennesima dimostrazione del suo disprezzo per il popolo nepalese ed è espressione di una mentalità secondo la quale la comunità internazionale dovrebbe credere alle sue credenziali democratiche a seconda di quante volte la parola 'democrazia' viene ripetuta nel discorso.
A causa della resistenza di Gyanendra e della sua corte realista e della mancanza di volontà dei leaders dell'Esercito Reale Nepalese (RNA) di interrompere la corsa reale verso la distruzione, è ora tempo di sanzioni internazionali mirate al bene del popolo nepalese. Secondo le richieste di molte organizzazioni internazionali e i discorsi sempre più arditi degli attivisti all'interno del paese, le sanzioni dovrebbero colpire i membri della famiglia reale - blocco dei loro conti bancari internazionali e rifiuto dei visti per viaggi internazionali per la famiglia reale, per i generali dell'esercito e per i membri del Consiglio dei Ministri Reale. La comunità internazionale deve anche chiedere informazioni alla RNA sui nomi degli ufficiali implicati in violazioni delle leggi umanitarie internazionali, cosicchè non possano essere più impiegati nei posti di rilievo delle Nazioni Unite come peacekeepers. Se l'esercito si rifiuta di fornire i nomi all'Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, come sta succedendo ora, gli interi battaglioni implicati dovrebbero essere sospesi dai loro servizi.
E' importante decidere sanzioni mirate e individualizzate, perchè il regime di Narayanhiti non risponde - come farebbe un governo anche minimamente democratico - a sanzioni che direttamente o indirettamente colpiscono la popolazione in massa, come la riduzione o cancellazione degli aiuti stranieri per progetti di sviluppo e del budget del governo. Vergogna e sanzioni mirate potrebbero portare risultati. Questo potrebbe diffondere panico immediato tra i ranghi realisti e creare pressioni perchè il re torni sui suoi passi.
COMANDANTE IN TENUTA DI FATICA
A bloccare la situazione al momento non sono i Maoisti, ma il Comandante Gyanendra e un esercito che ha funzionato come accessorio volontario per il colpo di stato. Narayahnhiti ha rapidamente convertito il Nepal in uno stato militarizzato, dove ufficiali militari si sono affiancati agli amministratori civili e alla polizia, nei 75 distretti. Ogni singola azione del Comandante Gyanendra, durante lo scorso anno di governo assoluto, deve essere rovesciata se si vuole che il Nepal torni ad essere uno stato pluralistico, a partire da nomine affette da pregiudizi, ordinanze illegali e numerosi decreti Reali. Ma la necessità più urgente è di disfare il danno fatto alla società attaverso la politicizzazione e l'utilizzo della RNA come amministratori di fatto. Se si vuole garantire progresso sociale e avanzamento economico attraverso una sociatà inclusiva e democratica, questa deviazione illegittima e impraticabile deve essere abbandonata. Il futuro di un popolo non può essere compromesso da un uomo solo, capitato per caso al trono all'età di 56 anni, che non si preoccupa di quello che la militarizzazione può fare alla società.
La RNA deve tornare a svolgere la sua professione di esercito nazionale, non servire da quardia del corpo del monarca e gli ufficiali professionisti che tengono alla loro professione devono farsi sentire dai generali che sono attualmenti bloccati in questo abbraccio feudale con il palazzo del re. Attualmente questi generali altezzosi non hanno l'umiltà per giustificare la mancanza di spirito combattivo dei loro uomini sin dal loro primo utilizzo quattro anni fa, nonostante da allora il numero di soldati sia quasi raddoppiato. Sono forse orgogliosi di far parte di un esercito che si rifiuta di andare all'attacco? Un esercito che ora al massimo controlla l'area recintata delle loro caserme nonostante i vicini posti di polizia e capoluoghi dei distretti siano rasi al suolo? Provano forse soddisfazione a fare parte di una forza armata che intraprende 'offensive aeree' facendo cadere mortai da elicotteri sopra aree popolate? Cosa succederà quando organizzazioni per i diritti umani cominceranno ad investigare sulle esecuzioni in larga scala portate a termine dal Battaglione Bhairabnath nel centro di Kathmandu? E come può essere accettato che quegli ufficiali colpevoli del massacro di 19 persone, di punto in bianco - 17 attivisti Maoisti disarmati e 2 civili innocenti - nel villaggio di Doramba, distretto di Ramechhap, durante un cessate il fuoco, non abbiano ricevuto la punizione che si meritavano?
E come si può difendere un esercito che ha così poca dignità per cui ogni volta che viene accusato di abusi di diritti umani i suoi più alti generali inevitabilmente rispondono 'Perchè non chiedete ai Maoisti quando fanno le stesse cose?'. Questa volontà di essere giudicati allo stesso livello dei rivoluzionari disertori la dice lunga sulla qualità dei leaders della RNA - la stessa leadership che ha accettato l'appello del Comandante Gyanendra non a combattere i Maoisti nella giungla ma a battersi contro politici, avvocati, giornalisti e attivisti per i diritti umani.
Il Comandante-in-capo intende distruggere i Maoisti militarmente benchè la RNA si sia dimostrata incapace di andare all'offensiva, come era nella speranza di molti al tempo del colpo di stato Reale. Ci sono anche motivi per credere che Narayanhiti stia cercando la continuazione del conflitto. Questo fornisce infatti al Comandante la scusa per continuare a governare e a stravolgere il processo politico, in modo tale che in un paio d'anni il processo sarà diventato irreversibile e attraverso un parlamento fittizio - un golpe costituzionale oltre a quello militare - potrà gestire un potere superiore a quello che la Costituzione del Nepal del 1990 avrebbe concesso ad un monarca costituzionale.
E' difficile oggi pensare che il Comandante Gyanendra possa tornare ad essere un re 'costituzionale' o 'cerimoniale', sono infatti così fitte di pregiudizi le sue idee sul pluralismo e la democrazia, così pubblico è il suo disprezzo per i politici e per i partiti, così sfacciato e autoreferenziale il suo programma di governo. Non sono solo gli attivisti politici ad aver reagito negativamente, il re infatti gode di una stima pubblica bassissima. E' sorprendente infatti incontrare anziani nei villaggi, pieni di disprezzo nei confronti del Comandante Gyanendra e il fatto che la stampa tradizionale pubblichi vignette con attacchi frontali nei confronti del Comandante, indica quanto questo sia diventato accettabile. C'è un crescente malcontento palpabile tra la classe media urbana della Valle di Kathmandu che ha concesso a Narayanhiti il beneficio del dubbio finora. Non sono i Maoisti a distruggere l'immagine della monarchia, è il Comandante stesso che lo sta facendo.
Tuttavia non è sufficiente sperare che la monarchia venga liquidata. E' necessario infatti che politici responsabili trovino il modo di fare pressione su Narayanhiti affinchè retroceda, 'perchè è lì' ed è spalleggiata dall'esercito. Bisogna inoltre considerare che i Maoisti non sono disarmati benchè il loro ultimo appello si sia fatto improvvisamente sciropposo. Mentre ci sono cose che la comunità internazionale può fare - come condannare il colpo di stato, sospendere l'assistenza armata, contemplare sanzioni mirate - la pressione sul palazzo deve provenire dal popolo Nepalese e dai loro rappresentanti, qualunque sia ciò che serve a mettere il palazzo con le spalle al muro, preferibilmente attraverso un movimento popolare di massa, efficace e ben organizzato.
Anche in questa 'penultima ora' il Comandante Gyanendra potrebbe retrocedere. Sarebbe ancora in grado di salvare la sua dinastia, se non anche il suo governo, se si arrendesse pubblicamente. Ciò potrebbe accadere attraverso l'ammissione diretta del fatto che la sovranità appartiene al popolo e non alla corona, secondo la Costituzione del 1990. Di conseguenza il controllo della RNA dovrebbe essere affidato al governo civile. Ordinanze, decreti e nomine dell'ultimo anno dovrebbero essere ritirate, un governo multi-partitico dovrebbe essere introdotto tramite la rinomina del Terzo Parlamento - smantellato nel 2002 - o attraverso un accordo tra i partiti. Il governo multi-partitico dovrebbe nominare un'assemblea costituente per la formulazione di una nuova costituzione. Questo ultimo punto è richiesto dai Maoisti per ritornare nella vita pubblica. Anche la scelta di disfarsi della monarchia dovrebbe spettare ai cittadini attraverso un'assemblea costituente.
CREDERE O NON CREDERE
i Maoisti vogliono veramente abbandonare il 'freddo'. Il cambiamento profondo dei ribelli può essere letto come freddo pragmatismo o come semplice disperazione, ma i loro recenti discorsi sono abbastanza credibili da essere considerati e portati avanti. Dal momento che il paese è già in guerra non c'è niente da perdere nel provare a farlo. Se si scopre che i ribelli sono dei manipolatori lo stato può semplicemente ritornare in guerra. Alla domanda 'Ma possiamo credere ai Maoisti?' la risposta è semplice: ci sono motivi per credere che le loro proposte siano oneste, non necessariamente perchè sono delle 'brave' persone.
Nell'agosto del 2005 i Maoisti hanno indetto un incontro generale nel loro distretto di casa, Rolpa, e hanno discusso una risoluzione che alla fine è passata all'unanimità: i ribelli avrebbero iniziato un cambiamento a 180° (non annunciato in questo modo), un cambiamento ideologico basilare per entrare nella 'competizione politica multipartitica'. Sciogliendo questo nodo delicato in un solo colpo i Maoisti hanno superato la retorica e il programma iniziale della 'guerra del popolo' con il quale hanno motivato i loro combattenti per 10 anni [...]. Dopo il plenum , in seguito alla decisione dei Maoisti di passare ad una politica non violenta e ai continui riufiuti del Comandante Gyanendra, i partiti politici hanno deciso di iniziare un dialogo con il comandante dei ribelli, Pushpa Kamal Dahal, 'Prachanda'. I leaders dell'alleanza dei sette partiti parlamentari in opposizione alla 'regressione' del re sono volati a Delhi per incontrare Mr Dahal e il suo ideologo, Baburam Bhattarai. Il 22 novembre hanno annunciato un accordo in 12 punti con il quale sfidare la mossa del re e preparare un'assemblea costituente in modo da affrontare le problematiche di base evidenziate dai Maoisti. All'inizio di febbraio il leader Maoista Prachanda ha concesso alcune interviste a media nazionali e internazionali.
In queste interviste il leader ha giocato con le diverse audience, a livello nazionale e continentale e così pure con i suoi stessi uomini, con affermazioni contradittorie. Attraverso un discorso a tratti minaccioso, a tratti conciliatorio, il Comandante Dahal ha cercato di giustificare la decisione dei Maoisti di entrare nella politica multipartitica, mostrandola come un atto magnanimo della grande saggezza proletaria. Il comandante ha mostrato possibili scenari, ammettendo però che la decisione Maoista è stata dettata dalla geopolitica regionale visto che il supporto Americano e Indiano alla RNA sta rendendo la lotta difficile. La sua conclusione diceva che per attuare il Maoismo-Leninismo nel 21° secolo, si rendevano necessari degli aggiustamenti. I Maoisti nepalesi sono all'avanguardia in questo e anche gli indiani Naxaliti dovrebbero impare l'importanza della politica parlamentare!
Seduto in una casa sicura a Nuova Delhi, con a fianco il suo ex-rivale Mr Bhattarai, il comandante Maoista ha proposto alcune vie d'uscita da questa palude. Ha suggerito che i Maoisti dovrebbero stare fuori dalla lotta per la democrazia, all'inizio, riconoscendo le difficoltà che potrebbero nascere se si unissero al movimento democratico. Il movimento dovrebbe poi - secondo Dahal - riesumare il Terzo Parlamento [delegittimato dal re nel 2002]. Questo Parlamento dovrebbe essere riconosciuto a livello internazionale, formare un governo e negoziare con i Maoisti la via per un'assemblea costituente.
In molti punti delle interviste concesse a quotidiani nepalesi e indiani, nonchè alla radio della BBC World, il capo Maoista ha anche indicato la sua volontà di accettare una 'monarchia cerimoniale' se questo fosse garantito dalle decisioni dell'assemblea costituente. Il periodo preelettorale dovrebbe essere monitorato dalla comunità internazionale per proteggere il soldati Maoisti durante la deposizione delle armi e per avere l'approvazione esterna. La difficoltà maggiore per i capi Maoisti sarebbe quella di combattenti induriti dalla guerra del fatto che i 10 anni di guerra non sono stati vani. Oltre al fatto che il Comandante Gyanendra non ne vuole sentire dell'intervento delle UN, c'è un altro problema in questo progetto Maoista: anche il potere di Nuova Delhi rifiuta questa idea per motivi geopolitici diversi da quelli del Comandate.
Come si può credere al leader dei Maoisti viste le sue precedenti manovre manipolative? Non stanno forse usando i partiti politici per i loro fini? Fortunatamente la credibilità del desiderio dei ribelli di liberarsi della 'guerra del popolo' ed entrare nella politica parlamentare non dipende dalle interviste rilasciate da Prachanda, che possono essere considerate tentativi di convincere la classe media di Kathmandu, l'intelligentia indiana e il resto del mondo - per non parlare dei loro stessi militari che ascoltano le interviste dalle radio ad onde corte. Ci sono molti motivi per cui Dahal e Bhattarai cerrcano di essere convincenti su questa svolta. Questa virata politica è una decisione unanime proveniente dal comitato centrale allargato - chiamato plenum - che rende questa decisione più importante di quello che può sembrare. Il fatto che il Comandante Dahal sia comparso apertamente in televisione e abbia concesso ai fotografi di riprenderlo per la stampa indica il suo desiderio di concludere la sua vita sotterranea a 52 anni. Significativo è anche il fatto che il comandante si sia impegnato davanti al governo e all'opinione pubblica indiana. Se dovesse indietreggiare avrebbe, infatti, il fiato di Nuova Delhi sul collo.
MAOISTI NON MAOISTI
Perchè il plenum di agosto ha preso questa decisione? Ovviamente i Maoisti sono cresciuti troppo velocemente e stavano avendo problemi nel salvare la loro rivoluzione dalla corruzione interna, come ammesso anche dal Comandante Dahal. Essendosi avvicinati al potere politico di Kathmandu - come forse non si sarebbero mai aspettati - i leaders si sono resi conto della necessità di cambiare strategia. Forse ciò è dovuto al fatto che nessun governo al mondo, neanche l'India, avrebbe riconosciuto i Maoisti come forza al potere a Kathmandu. C'era solo una via d'uscita: rinuciare alla 'guerra del popolo' senza dirlo a voce troppo alta, e mostrare la propria faccia migliore.
La politica violenta dei Maoisti ha esasperato la comunità internazionale e la 'guerra al terrore' post 11 settembre è stata un ostacolo per un gruppo che ha usato metodi terroristici. Aiuti americani, inglesi e indiani hanno iniziato ad arrivare in grande quantità al RNA e furono sospesi solo con il colpo di stato del Comandante Gyanendra. Ma fu solo quando l'India ha iniziato a sentire pericolo di sicurezza interna proveniente da insurrezioni-copia, causate dalla notorietà dei Maoisti nepalesi, che la terra è crollata sotto i piedi dei rivoluzionari. Non ha di certo aiutato l'uso abbondante di retorica anti-indiana fatto dai Maoisti durante la loro ascesa, basata su un'ideologia ultra-nazionalistica lasciata in eredità dal padre di Gyanendra, Mahendra, nella lontana era del Panchayat.
Il vetriolo Maoista contro l'India, esercitato attraverso il bando a veicoli e cinema indiani, il bersagliare proprietà di multi nazionali indiane nel Tarai nepalese e, per ultimo, la stravagante campagna per scavare trincee in preparazione di un attacco indiano, di certo non ha aiutato ad accattivarsi la simpatia del governo di Nuova Delhi. Quando l'India ha deciso di averne abbastanza, il suo ministro degli esteri ha chiamato i Maoisti 'terroristi' ancora prima di Kathmandu e ha usato la sua forza paramilitare lungo il confine aperto tra i due paesi per monitorare i movimenti. Ha inoltre catturato due leaders importanti dei Maoisti a Madras e Guwahati e li ha citati in giudizio, impedendo anche a soldati Maoisti feriti di ricevere cure negli ospedali di Lucknow e Gorakpur. La realizzazione del fatto che lo stato indiano non avrebbe mai 'permesso' ad un governo Maoista di stabilirsi a Kathmandu è stata forse il fattore più importante nello spingere i ribelli ad uscire dalla clandestinità e ad abbandonare quindi la 'guerra del popolo'. Inoltre, i partiti indiani di sinistra, in modo particolare il Partito Comunista dell'India (Marxista), hanno avuto un ruolo importante nell'influenzare i Maoisti nepalesi in questa direzione.
Non meno importante però è stata la sfida interna che i Maoisti hanno dovuto affrontare. Anche qui i ribelli hanno dovuto accettare la difficoltà di evolversi ulteriormente e prendere il controllo dello stato. Benchè siano riusciti ad avere successo in attacchi mordi e fuggi nell'entroterra, non sono mai riusciti a conquistare i 75 capoluoghi di distretto e la valle di Kathmandu. Si prospettava quindi per la guerriglia una guerra senza fine, mentre per lasciare la clandestinità era necessario abbandonare le armi e unirsi alla politica multipartitica. Nei primi anni i Maoisti erano riusciti a motivare i loro soldati promettendo 'Kathmandu' come premio in cambio dei loro assalti a posti di polizia o dell'esercito. Successivamente anche attacchi in massa a caserme, rubando armi, hanno tenuto alto il morale delle truppe. Da quando però l'esercito ha iniziato ad usare armi Minimi (Belgio), più efficienti M-16 di provenienza americana al posto dei vecchi fucili SLR donati dall'India e a usare mine e filo spinato per difendere le loro baracche, i ribelli si sono dati alla distruzione di uffici amministrativi, di strutture governative e delle postazioni di polizia scarsamente armate.
Con l'esercito che si rifutava di impegnarsi in scontri aperti nelle campagne, i Maoisti non hanno potuto dimostrare il loro valore negli scontri a fuoco. Infatti negli ultimi anni i ribelli si sono ridotti a combattere le forze di sicurezza in imboscate clandestine, a disporre cariche esplosive improvvisate su strade pubbliche, ad imporre blocchi stradali. Benchè stesse diventando difficile motivare i combattenti, gli esempi di banditismo e violenza irregolare non autorizzata dal comando generale stanno ad indicare una progressiva disintegrazione dello spirito di combattimento. Una improvvisa, profonda e aperta spaccatura tra il Comandante Dahal e Bhattarai nella primavera del 2005 ha diviso i quadri Maoisti fino al livello distrettuale. Non è ben chiaro come questa divisione sia stata rattoppata. ma la leadership sembra aver deciso di cercare un 'surakshit abataran', 'atterraggio sicuro' mentre il movimento è ancora unito. I Maoisti non potevano continuare a rendere lo stato ingovernabile, benchè questo fosse stato facilitato dal modo in cui il Comandante Gyanendra aveva guidato una forza di sicurezza demotivata, ma l'obiettivo di conquistare Kathmandu stava passando in secondo piano.
Per motivi interni, regionali e internazionali, la decisione dei Maoisti di arrivare ad un 'atterraggio sicuro' sembra quindi convincere tutti gli attori. Tutti gli attori, tranne qualche membro dell'èlite realista ultra-tradizionalista e l'ambasciatore americano, che a metà febbraio ha organizzato incontri, discorsi e lettere all'editore nel tentativo di convincere il pubblico dell'imminente presa di Kathmandu da parte dei Maoisti e della necessità di rifiutare l'accordo in 12 punti siglato alcuni mesi fa.
Senza avere un'accurata comprensione dei rapidi cambiamenti che stavano interessando il contesto politico nepalese e seguendo i dettami della 'guerra contro il terrorismo' della sua amministrazione, l'ambasciatore è riuscito - si spera momentaneamente - a sviare il dibattito sulla pace. Mentre una nota civile di cautela per allertare la classe politica sulla possibile ambiguità dei Maoisti sarebbe stata accettabile, l'ambasciatore ha invece assunto il ruolo di cowboy americano nel negozio di porcellane nepalese. Come ha detto da un cellulare il leader della società civile, ora detenuto dal regime realista, Devendra Raj Pandey, 'le affermazioni dell'ambasciatore hanno lo scopo di far tornare il paese alla guerra civile, ad ulteriori spargimenti di sangue e ad allontanare una soluzione politica'.
LA FINE DELLA 'GUERRA DEL POPOLO'
Se si crede al desiderio dei Maoisti di porre fine alla guerra popolare, ora è il Comandante Gyanendra, che guida la RNA per l'anello del naso, ad ostacolare il ritorno della pace e della democrazia. E quindi ancora la domanda: come ridurre all'obbedienza Narayanhiti? Oggi il regime sembra reggere, ma le sue ossa sono fragili. Il re non ha supporters, se si tolgono i traditori e gli opportunisti che si sono uniti al suo governo e i piccoli partiti che vogliono approffittare della sua protezione. Il suo piano è di superare la primavera del 2006 sperando che il monsone porti via l'agitazione politica per organizzare, tra un anno, elezioni parlamentari fittizie. Ma questo è un piano di un uomo che pensa di poter rimanere al potere grazie ad un esercito reale demotivato. Nelle città e nei villaggi ci sono ben poche persone che vogliono la monarchia, specialmente questa. E' improbabile che la comunità internazionale che conta in Nepal - India, GB, Cina, Giappone, Unione Europea, UN e US - vedano le cose come il Comandante Gyanendra vorrebbe.
Ma benchè la comunità internazionale dovrebbe essere pronta a supportare il paese più di quanto ha fatto finora, sono i Nepalesi che dovrebbero lottare per la pace e la democrazia. Con la pletora di 'donors' pronti a investire soldi in ogni tipo di progetto di risoluzione del conflitto, sarebbe la morte per coloro che lottano per la libertà se anche i politici cominciassero ad accettare assistenza straniera sotto la voce 'restaurazione della pace e della democrazia'. Senza dubbio però i politici dovrebbero rinvigorire la lotta visto che il loro letargo non indica certo che la situazione non è urgente. E' solo che la rabbia contro la presa di potere del re non si è trasformata per ora in azione di massa collettiva.
Di certo le contraddizioni tra i partiti politici, la centralizzazione all'interno dei partiti stessi - in modo particolare attorno alla figura di Girija Prasad Koirala del Partito del Congresso Nepalese - e la tremenda mancanza di immaginazione e pianificazione hanno impedito di contrastare l'azione del re più di un anno dopo, nonostante la militarizzazione avesse dovuto dare energia alla classe politica. E' però importante notare che i politici conoscono meglio le sfide in atto, specialmente coloro che hanno amministrato uffici nazionali. Questo è un fatto che i membri della società civile, ardenti come tizzoni, e i diplomatici impazienti, non apprezzano abbastanza.
Per esempio, i leaders politici più anziani sono cauti con slogans del tipo 'repubblica democratica', nonostante parti della società civile abbiano già iniziato ad usarli tranquillamente. Il fine di ottenere una repubblica democratica non è solo compatibile, ma è il cuore della richiesta di uno stato pluralistico e fino a poco tempo fa era il grido di battaglia dei Maoisti. Tuttavia, questo slogan non basta a contrastare il progetto del re se contemporaneamente non si affronta la questione Maoista. I partiti politici sono arrivati ad accettare oggi l'assemblea costituente come punto di partenza per avviare la democrazia nel dopo-Gyanendra e lo hanno fatto solo dopo che i Maoisti hanno proiettato in modo convincente le loro idee riguardo alla guerra popolare. I Maoisti, però, hanno ancora le armi in pugno mentre i partiti politici non le hanno mai avute.
Bisogna anche aggiungere che negli ultimi anni il Comandante Gyanendra ha fatto più dei Maoisti per distruggere l'immagine della monarchia e, contemporaneamente, ha dato più energia alla 'repubblica democratica' di quanto abbiano fatto i Maoisti stessi. E' difficile ora pensare ad una monarchia costituzionale, ad un trono cerimoniale senza poteri residui.
COSTRUIRE UNA CORRENTE DEMOCRATICA
E' già tardi per riprendere la democrazia da Narayanhiti. E sono i partiti politici - con l'aiuto della società civile, avvocati, giornalisti, accedemici, attivisti per i diritti umani e cittadini indipendenti - che devono trovare l'occasione. Cosa devono fare? Devono creare una corrente nel movimento per mettere il regime al muro, per arrivare a democrazia e pace attraverso un dialogo con i Maoisti.
E se il comandante si rifiuta di trattare? Molti politici stanno aspettando l'occasione per liberare la rabbia popolare in modo da spazzare via la monarchia. Questo, però, sarebbe un invito all'anarchia che in questo stato potrebbe diventare selvaggia e i politici non hanno nessun meccanismo per controllarla. Un piano dovrebbe contenere sia ciò che è attuabile, sia ciò che è desiderabile, dal momento che la situazione è complicata da questa lite a tre tra ribelli, regime del re e partiti politici/società civile.
I Maoisti devono dichiarare la cessazione delle ostilità, anche se lo stato non reciproca, come ha fatto con il recente coprifuoco. Devono farlo per rivitalizzare la politica che in questa nazione sta morendo e per dare una possibilità alla pace. Nel frattempo i partiti politici non hanno altra scelta se non quella di creare un movimento popolare. Al momento invece stanno aspettando pressioni internazionali e la vergogna pubblica per far retrocedere il Comandante Gyanendra. Non c'è alternativa ad un movimento politico energico.
I partiti politici principali oggi sono uniti nella lotta per un'assemblea costituente e portano con sè anche coloro i quali cercano una repubblica democratica. Oggi l'assemblea costituente è quindi ambiamente accettata come una via per la pace - supportata dalla intelligentia, classe politica e comunità internazionale. Ironicamente, in una delle sue interviste, il Comandante Dahal ha addirittura spiegato come dovrebbe essere attuata: come detto in precedenza, rivitalizzando il terzo parlamento e formando un governo multipartitico che potrebbe dialogare con i ribelli e organizzare le elezioni per l'assemblea.
Così è cambiato il terreno in Nepal: prima del plenum di agosto sarebbe stato prematuro proporre un'assemblea costituente come via d'uscita perchè i Maoisti erano decisi nelle loro azioni violente della guerra popolare. Dal momento che la posizione dei ribelli è radicalmente cambiata, l'assemblea costituente sembra poter dare al popolo il diritto di scegliere il proprio governo. Questo dovrebbe essere lo slogan con cui sfidare Narayanhiti. Il Comandante Gyanendra è l'unico giocatore potente ad opporsi all'assemblea costituente e sicuramente proverà a sabotare ogni mossa per restaurare la democrazia attraverso il Parlamento.
E' possibile che la primavera del 2006 porti un movimento popolare che vinca il comandante Gyanendra e che cominci il processo di ricostruzione del paese e di rivitalizzazione della democrazia, in modi migliori rispetto a quelli sperimentati tra il 1990 e il 2002. Ci sono troppe vedove giovani, troppi orfani, troppi sfollati, troppi bambini soldato in questa terra. Il vantaggio si potrà vedere quando i piani di Gyanendra saranno sconfitti e i Maoisti si uniranno al movimento pacifico della politica parlamentare multipartitica. L'ultima volta la democrazia fu introdotta attraverso il movimento popolare della primavera del 1990 - la Jana Andolan [movimento popolare] del 2046, secondo il calendario nepalese. Ciò che la gente aspetta questa primavera è la Jana Andolan 2062, pur non pensando che il Comandante-re se ne vada senza combattere.
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fonte (Associazione PeaceLink), l'autore ed il traduttore
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