Conflitti

"Fuori dall'Iraq, ora nel Darfur"

Diciamo semplicemente no all'intervento imperialista in Sudan
8 maggio 2006
Gary Leupp
Tradotto da per PeaceLink

Nell'enorme, ispirata marcia contro la guerra di New York, ho notato molti cartelli con la scritta "Out of Iraq, Into Darfur." Erano retti dai membri di un gruppo chiamato "Volunteer for Change," descritto come "un progetto di Working Assets." Non ero sicuro di cosa pensare dello slogan. Era in un certo senso satirico, sulla falsariga di "Fuori dalla padella, dritto nel fuoco", e alludeva ad un possibile futuro intevento in Africa simile a quello in Somalia? O era un sincero invito a ritirare le truppe USA dall'Iraq e mandarle invece a fare "peacekeeping umanitario" nel Sudan occidentale?

Stamattina ho fatto un po' di ricerche su Google e ho trovato la risposta. E', sfortunatamente, la seconda ipotesi. Almeno dall'anno scorso Working Assets sta spingendo le persone a sollecitare con petizioni il Presidente Bush affinche supporti un' "urgente azione internazionale" attraverso l'ONU per "proteggere civili innocenti". Apparentemente l'associazione non trova contraddittorio opporsi al dispiegamento militare in Iraq e sostenerlo in Sudan, Né, forse, lo trovano contraddittorio molte delle persone che oggi a Washington marciavano per sostenere questa proposta di intervento.

Da molto mesi ricevo e-mail che mi chiedono "Perché passi così tanto tempo ad attaccare la poltica di Bush in Medio Oriente, e ignori le atrocità nel Darfur?" Ci sono molte ragioni per cui non ne ho scritto, incluso il fatto che metto in cima alla mia lista di cose da fare nel tempo libero l'oppormi alle guerre imperialiste con le loro luttuose conseguenze, e il fatto che non ho studiato molto la situazione in Darfur. Ma ho come la sensazione che alcune forze stiano usando il "genocidio" in quella regione per spostare l'attenzione dal massacro continuo in Iraq (e dalle continue brutalizzazioni sui palestinesi da parte di Israele), e per dipingere un altro regime arabo tanto malvagio da richiedere ciò che i neocon chiamano "un cambio di regime". Hanno malrappresentato il conflitto come se fosse tra "arabi" e "africani indigeni", mentre (da quel che ho capito) entrambe le parti sono costituite da africani neri che parlano arabo - considernaod che "arabo", "africano" e "nero" sono troppo difficili da distinguere per la maggio parte degli americani.

Chiederei alle persone che ieri portavano quei cartelli di ricordarsi che nel novembre del 2001 un generale del Pentagono disse a Wesley Clark che sull'onda dell'11 settembre l'amminitsrazione aveva un "piano quinquennale" per attaccare non solo l'Afghanistan ma anche "Iraq, Siria, Libano, Iran, Libia, Sudan e Somalia". Chiederei a Working Assets di osservare che la guerra in Iraq che contrappone all'intevento in Sudan che sostiene sono in realtà parte della stessa campagna di costruzione di un impero.

Nel giugno scorso una commissione ONU ha determinato che ciò che stava succedendo in Darfur, per qunato terribile, non costituiva una poltica genocida da parte del governo sudanese. Ma Washington ha deciso altrimenti, eha usato le parole ad alto impatto emotivo "genocidio" e "olocausto" per descrivere la situazione.

Da allora ha spinto la NATO ad addestrare truppe dell'African Union per offrire operazioni di peacekeeping in Darfur e ha auspicato il dispiegamento di una prersenza NATO nella regione, fatto senza precedenti in Africa. Lo scorso novembre, John Bolton, il permaloso, belliscoso e non riconfermato ambasciatore USA all'ONU, che non aveva mai mostrato prima preoccupazioni per i diritti umani, bloccò un briefing su una missione ONU in Darfur al Consiglio di Sicurezza preparato da Juan Mendez, il consigliere speciale di Kpofi Annan per la prevenzione dei genocidi. In questa azioni si è unito a nazioni come Cina e Russia, che per proprie ragioni non erano inclini ad intraprendere azioni contro il Sudan.

Ma Bolton a differenza degli ambasciatori di Russia e Cina sosteneva un'azione del genere. Ne sappiamo già abbastanza, sostiene, ora è il momento di muoversi! Washington non è effettivamente granché interessata ai fatti sulla situazione del Darfur, non più di quanto lo fosse per quelli sull'Iraq prima di attaccarlo. E' interssata invece a quello che i neocon chiamano "perception management", e sta facendo un bel lavoro di gestione delle percezioni, anche quelle di alcuni progressisti, sul tema.

La manifestazione di oggi a Washington era organizzata da una coalizione denominata "Save Darfur", che si descrive come "un'alleanza di oltre 130 organizzazioni religiose, umanitarie e sui diritti umani". Il Jerusalem Post dà qualche informazione in più: "Pochi sanno che la coalizione è stata effettivamente organizzata esclusivamente su iniziativa della comunità ebraica americana".

L'American Holocaust Museum è stato fortemnte coinvolto, e nonstante molti credano che il termine "genocidio" dovrebbe essere usato con parsimonia il Museo non ha esitato a tracciare parallelismi tra Shoah e Darfur.

Le agenzie che hanno aderito sono gruppi di cristiani evangelici zionisti che vedono il Sudan come il loro terreno principale di missione in questi ultimi giorni.

E come pubblicizzato, diverse organizzazioni capaci di arruolare qualcuno come l'ammirevole George Clooney nel dare una spinta alla marcia.

Stiamo parlando di una manifestazione che sollecita un intervento degli USA e della NATO nel paese più grande dell'Africa, legittimato dall'ONU spinta dalla testarda amministarzione capeggiata dai neocon di Washington. Staimo parlano potenzialmente di un cambio di regime nel secondo maggior produttore di petrolio dell'Africa, nel contesto degli interventi programmati dagli USA in Siria e Iran. C'è qualcuno del movimento pacifista con una minima conoscenza della storia recente che potrebbe sentirsi a proprio agio sapendo ciò, e magari supporre che sia in buona fede?

Un nutrito contingente di studenti della mia università hanno preso l'autobus per New York per unirsi alla manifestazione. Ma altri studenti progressisti hanno preferito la manifestazione del giorno dopo a Washington, per chieder che Bush faccia qualcosa per il Darfur. Come se gli oppressori potessero essere dei liberatori.

Non ci sono dubbi sul fatto che il regime sudanese sia malvagio; un mio caro amico del Sudan mi assicura che è così. Penso che una cosa come 200.000 persone siano state uccise dalle forze di Janjaweed. forces. Ma io conosco anche le malvagità di cui il "mio" governo è capace, e la sua prontezza nello sfruttare le crisi umanitarie (Kossovo 1999, ad esempio) per portare avanti i propri interessi strategici geopolitici che non hanno nulla a che fare con i diritti umani di chicchessia. (NEll'Iraq occupato, circa 200.000 civili, secondo Andrew Cockburn, sono stati uccisi fino al gennaio 2006).

Quando il presidente Bush ha incontrato i "Darfur Advocates" alla Casa Bianca prima della marcia e ha detto loro "Quelli di voi che usciranno a marciare oer la giustizia, essi rappresentano il meglio del mio paese" ha chiaramente indicato che questi giocano un ruolo di supporto al suo sforzo di ricostituire il "grande Medio Oriente".

In tutto il paese, l'apparentemente devota campagna a sostegno del Darfur sta come abbellendo l'imperialismo amerciano - già solo sostenendo che può fare del bene in questo mondo. Gli onesti militanti sono come Bormir nel Signore degli Anelli, quando chiede "E se usassimo l'anello per fare del bene?". Ma l'anello non si può usare per fare del bene! Non si può andare "Fuori dall'Iraq, ora in Darfur" senza trasferire i principi guida del primo, illegale intervento nella seconda intrusione che si sta ingenuamente raccomandando. L'imperialismo non è un amichevole cassetta degli attrezzi che si può usare per aggiustare i problemi che solleciti lacchè hanno inserito nella lista delle cose da fare. E' il problema esso stesso.

In ogni caso, spero che la gente del Darfur, inclusa quella del Justice and Equality Movement e dell'esercito di liberazione sudanese (se poi essi rappresentano la liberazione), usando ogni mezzo necessario, combattano l'oppressione e cerchino alleati internazionali in tale processo. E che gli americani che hanno adeguatamente studiato la situazione e vogliano davvero supportare la lotta degli oppressi del darfur diano tutto l'aiuto che possono - specialmente se lo fanno combattendo l'oppressione a livello globale senza un'agenda prefissata. M anche che il movimento americano contro la guerra non confonda amici e nemici, finendo per aiutare quelli che Martin Luther King ha chiamato "i più grandi perpetratori di violenza nel mondo di oggi".

* * *
1 Maggio: secondo la Reuters, la manifestazione di ieri a Washington contava "diverse migliaia" di partecipanti. Sul Boston Globe di stamattina c'era una prima pagina con foto a colori e articolo sulla marcia, che stimava il numero in "decine di migliaia". Quella di New York, che è arrivata a 300.000, non è arrivata alla prima pagina di ieri.

Gary Leupp è un professore di Storia alla Tufts University, e professore associato di religione comparata. E' l'autore di "Servants, Shophands and Laborers in in the Cities of Tokugawa Japan"; "Male Colors: The Construction of Homosexuality in Tokugawa Japan" and "Interracial Intimacy in Japan: Western Men and Japanese Women, 1543-1900". Ha inoltre contribuito alla spietata cronaca di Counterpunch sulle guerre in Iraq, Afghanistan e Yugoslavia "Imperial Crusades".

E' contattabile all'indirizzo: gleupp@granite.tufts.edu

Note: Tradotto da Chiara Rancati per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile citando la fonte, l'autore e il traduttore.

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