Darfur, è ancora guerra
Carta straccia. Questo si sono rivelati essere gli accordi di pace di Abuja, firmati due mesi fa, e la tregua in vigore in Darfur da 27 mesi. A detta degli operatori umanitari, la situazione nei campi profughi al confine con il Ciad non è mai stata peggiore. Ora i ribelli hanno deciso di rompere gli indugi, denunciando la tregua e occupando il centro di Hamrat al-Sheikh, distante circa 200 km dalla capitale Khartoum. La guerra riprende, in grande stile.
Nuovi attacchi. Bando alle finzioni: la tregua in Darfur, firmata nell’aprile 2004, non è mai stata rispettata. Milizie Janjaweed e ribelli hanno continuato a scontrarsi e a vessare la popolazione civile, accusandosi a vicenda e palleggiandosi le responsabilità dei massacri. Ora, il Justice and Equality Movement è uscito allo scoperto, denunciando il finto cessate-il-fuoco, con l’attacco a Hamrat al-Sheikh. Per ora i morti accertati sono 12, e migliaia i civili in fuga. L’esercito sudanese ha inviato l’aviazione per riprendere la città, attaccata in forze dai ribelli, che vi sarebbero entrati con circa 50 veicoli pesanti. E’ una delle rare volte in cui il Jem, alleatosi con la fazione del Sudan Liberation Army guidata da Abdelwahid Mohamed al-Nur, attacca fuori dal Darfur.
Processo di pace. Neanche dal tavolo delle trattative arrivano buone notizie. L’accordo di pace di Abuja è stato accettato solo dal governo sudanese e dalla fazione del Sla guidata da Minni Minnawi. La parte maggioritaria del Sla, ha invece deciso di continuare a combattere, rivendicando maggiori diritti per le popolazioni locali, più posti nell’esercito per i ribelli e maggiori investimenti in Darfur. Secondo quanto dichiarato pochi giorni fa da Jan Pronk, capo dell’Unmis (la missione Onu in Sudan), il trattato di pace non ha alcuna speranza di essere accettato dai ribelli. Un punto di vista condiviso da buona parte della comunità internazionale, che Pronk ha avuto il merito di far emergere. Il governo sudanese ha però fatto sapere che il trattato è solo emendabile, e che i suoi punti principali rimarranno tali. Lo stallo rischia di diventare insanabile.
Violenze e vessazioni. Ironia della sorte, gli attacchi armati contro le popolazioni civili si sono intensificati proprio in conseguenza della firma degli accordi. Le due fazioni del Sla hanno infatti cominciato a scontrarsi, aumentando il livello di insicurezza, specie nei campi profughi, secondo quanto riferito dalle Ong che operano nella zona. “Gli attacchi nei nostri confronti sono aumentati in maniera impressionante”, riferisce a PeaceReporter un operatore umanitario che lavora presso Nyala, nel sud del Darfur. “I ribelli, da una parte e dall’altra, vanno a caccia di presunti collaborazionisti nei campi profughi, uccidono, stuprano e rubano. Noi siamo impotenti, e la popolazione non sa più a che santo votarsi”.
Vicolo cieco. A poco servono anche i 7 mila peacekeepers dell’Unione Africana di stanza in Darfur, visto che la maggior parte degli attacchi contro i profughi vengono condotti durante la notte, quando cessano i pattugliamenti dell’Ua. I profughi, che fino a ottobre trovavano rifugio nel vicino Ciad, ora sono presi tra due fuochi, visto che oltre la frontiera si scontrano l’esercito ciadiano e i ribelli che mirano a rovesciare il presidente Idriss Deby. L’Onu si è offerta più volte di prendere in mano la missione, ma il Sudan si oppone all’arrivo dei caschi blu. Il presidente Omar al-Bashir non vuole ingerenze delle Nazioni Unite, e continua a ritenere il Darfur un problema esclusivamente interno. Il labirinto darfurino rischia di finire in un vicolo senza uscita.
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