Conflitti

Il giorno più lungo di Kabila

Voto in Congo, comizio del presidente nella capitale che non lo ama. Scontri e mortiDopo 32 anni di dittatura di Mobutu e una sanguinosa guerra civile, domani urne aperte per eleggere capo dello stato e parlamento. Lo sfidante Bemba: se vince Kabila morte ai bianchi
29 luglio 2006
Stefano Liberti
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

«Kabila è l'unica speranza per il Congo. Vincerà al primo turno». Christophe, studente di ingegneria di 26 anni, ha l'aria di chi sa il fatto suo. Con voce pacata, spiega che l'attuale capo di stato è amato da tutti. Che i sondaggi che lo danno in testa ma gli attribuiscono un misero 19% «sono solo propaganda». E che lui è il solo a poter tenere insieme questo immenso paese.
La campagna elettorale è entrata nelle ore conclusive. Il «candidato presidente» arriva a Kinshasa in aereo, per l'ultima marcia su quella capitale che non lo ha mai amato e che lui, di rimando, non ama. Viene da un giro nell'est, sua regione d'origine e roccaforte elettorale, in cui ha raccolto tributi e ovazioni a scena aperta. Ma non ha l'aria di chi torna a casa da un lungo viaggio: la prova di Kinshasa sarà assai più ardua per quest'uomo taciturno che la ruota della storia - oltre ai maneggi delle potenze occidentali e degli stati confinanti - ha voluto catapultare, alla tenera età di 29 anni, alla guida di uno dei paesi più ricchi e disastrati d'Africa.
Domani «l'artigiano della pace» (come lo chiamano i suoi sostenitori), il «piccolo Joseph» (come lo definiscono i suoi detrattori) dovrà vedere se il popolo congolese gli vorrà accordare quella fiducia che la Comunità internazionale ha voluto dargli alla morte del padre, Laurent Désiré, ucciso nel 2001 da una delle sue guardie del corpo. Allora si scelse questa strana transizione dinastica, mettendo il quasi sconosciuto Joseph al posto del suo genitore Mzee(capo in swahili). Gli accordi di pace gli hanno poi affiancato quattro vice-presidenti usciti in parte dalle fazioni armate, in parte dalla società civile, secondo quella formula 1+4 che per tre anni ha visto i cinque responsabili accusarsi a vicenda e concludere ben poco.
Ma l'1+4 «appartiene ormai al passato», come ripetono tutti ad nauseamnelle strade di Kinshasa. Domani si voterà per un solo presidente e, se questo otterrà il 50% dei voti più uno, gestirà il paese da solo. Altrimenti, si andrà al ballottaggio, secondo un calendario che non è ancora stato deciso. Alcuni dei 33 candidati alla magistratura suprema si affacciano con espressione seria dai cartelloni che invadono le strade; altri - evidentemente meno facoltosi - sono solo nomi scritti con la vernice su striscioni malfermi. Kabila si propone come la «forza tranquilla», cercando di vendere la sua proverbiale timidezza come esempio di serenità e pacatezza.
Al di là degli slogan, le elezioni presidenziali e legislative che si terranno domani suscitano comunque aspettative gigantesche. Dopo 32 anni di dittatura di Mobutu e un conflitto regionale che per la sua estensione e per il numero di morti e di attori coinvolti, è stato definito «la prima guerra mondiale africana», il popolo congolese vuole voltare pagina. Vuole andare a ogni costo a votare, anche se appare estremamente diviso al suo interno; anche se nessuno o quasi dei candidati ha proposto un reale programma; anche se l'odio scorre ancora a fiumi, esacerbato da una campagna elettorale punteggiata di episodi violenti. A Kinshasa, l'atmosfera è tesissima: si sono appena finiti di contare i cinque morti dell'altro ieri, un pomeriggio infuocato in cui la manifestazione del vice-presidente ed ex leader di una fazione armata, Jean-Pierre Bemba, è uscita dai binari e ha visto alcuni militanti prendere d'assalto due commissariati e vari altri edifici. Poco prima, o poco dopo, qualcuno aveva dato fuoco alla casa del leader, uccidendo due bambini. Bemba ha chiesto scusa per «gli eccessi di alcuni», ma intanto ha mostrato la propria forza relativa: allo stadio in cui ha tenuto il suo comizio erano riunite 40.000 persone, tutti suoi fedeli sostenitori pronti a riprendere le armi in caso di vittoria al primo turno dell'odiato Kabila, «lo straniero venuto dal Ruanda che nemmeno parla lingala» (la lingua più diffusa a ovest). A bordo di camion stracolmi, gli scalmanati sostenitori di Bemba hanno attraversato la parte orientale della capitale distruggendo tutti i poster di Kabila, minacciando la polizia e sfogando la propria rabbia. «Se il piccoletto dovesse essere decretato vincitore al primo turno, uccideremo tutti i bianchi», hanno gridato a più riprese alcuni manifestanti dai camion e sulla strada. Perché Joseph è percepito - e non propriamente a torto - come il candidato della comunità internazionale; il simbolo di una nuova colonizzazione che mira ancora una volta a saccheggiare il paese.
Se Kabila è sceso ieri sulla capitale è proprio per dimostrare il contrario; far vedere che pure lui è un figlio del Congo e che la sua base elettorale non è solo nell'est, tra la sua gente, ma anche in quest'immensa e sovrappopolata capitale.
Per l'ultima uscita pubblica prima del voto, tutto è stato preparato con cura. Sono stati distribuiti manifesti, magliette, persino orologi con l'effigie del capo. Quando arriva nello spiazzo della foire dove è atteso, dopo una marcia dall'aeroporto simile a quella compiuta il giorno prima da Bemba (anche se con misure di sicurezza dieci volte maggiori) la folla scatta in delirio. Il suo discorso è interrotto da applausi e grida. Nel defluire, i militanti si contano e dicono soddisfatti che «con Bemba è finita pari». A colpo d'occhio il conteggio sembra esagerato: saranno al massimo diecimila.
In attesa della giornata di domani, quando a contare non saranno più le parole ma solo i voti.

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