Tutti contro Kabila, il Congo va alle urne
Gli striscioni e i cartelloni sono scomparsi all'improvviso. Venerdì a mezzanotte, allo scadere della campagna, è scattata puntualissima l'operazione di pulizia. Con uno zelo fuori dal comune, i congolesi hanno preso alla lettera l'invito della commissione elettorale, che aveva chiesto ai candidati di rimuovere dalle strade i propri messaggi al popolo. Unici a resistere in questa Kinshasa che sembra lunare quanto è silenziosa, i grandi poster di Joseph Kabila, candidato a succedere a se stesso, e di Jean-Pierre Bemba, il leader ribelle che vuole ora assurgere alla massima carica dello stato. Gli altri rispettano la consegna del silenzio, in attesa di un voto storico che può riservare più di una sorpresa.
Contrariamente a quanto si credeva all'inizio, i giochi sono tutt'altro che fatti. Kabila rimane il favorito, ma ha scarse possibilità di raggiungere il 50 per cento più uno ed essere eletto al primo turno. I suoi tentativi di sedurre i congolesi dell'ovest, che gli rimproverano le sue dubbie origini e la sua scarsa conoscenza della lingua lingala, non hanno avuto grande successo. In alcuni casi, come a Mbuji Mayi, nel Kasai, l'uomo è stato accolto con lanci di pietre. Solo ad est, tra la sua gente, ha ricevuto bagni di folla e attestazioni di stima. La potenza di fuoco dell'apparato presidenziale (aerei ed elicotteri per spostarsi in lungo e in largo, somme principesche per eventi e meeting) sembra aver fatto cilecca. Se in certe zone remote è arrivato solo lui, nelle città sono stati gli altri a rosicchiargli consensi e a mettere a rischio una vittoria che, fino a poco fa, appariva scontata.
Sono essenzialmente tre i candidati che più insidiano Kabila. Il primo è lo stesso Bemba: dopo aver trasformato il Movimento di liberazione del Congo (Mlc) da feroce fazione armata a partito politico e aver ricoperto il ruolo di vice-presidente nel governo di transizione, quest'uomo corpulento dalla voce flautata mira ora alla poltrona più alta. Bemba è stato abile a rifarsi un'immagine dopo gli eccessi della guerra, ma sconta l'handicap di un'inchiesta a suo carico per crimini di guerra da parte della Corte penale internazionale (Cpi). Il secondo è un vecchio dinosauro della politica congolese: Pierre Pay-Pay (detto P3), ex governatore della Banca centrale durante il regno di Mobutu. Già soprannominato «l'uomo più liquido del paese», questo tecnocrate di 60 anni promette di «governare in modo diverso», ma non specifica se si riferisce alla malsane prassi cleptocratiche dell'ex dittatore o al funesto periodo della transizione. Il terzo è un «uomo nuovo», come egli stesso si definisce. Oscar Kashala esercitava da cardiologo negli Stati uniti; poche settimane fa, ha abbandonato le sale operatorie per gettarsi nell'agone della politica. Il suo stile sobrio, il fatto di non appartenere né al vecchio apparato né agli ex gruppi armati, sono altrettanti punti a favore. Molti - soprattutto i ceti urbani e istruiti - voteranno per lui, l'unica reale novità del panorama politico congolese. Presi singolarmente, i tre non hanno alcuna speranza contro il giovane Joseph. Ma che succederà se, nel caso sempre più probabile di ballottaggio, l'ex ribelle, il tecnocrate mobutista e l'outsider si metteranno insieme? La prospettiva di una coalizione Tck («Tutti contro Kabila») fa tremare lo staff presidenziale.
Al termine di una campagna elettorale quasi del tutto priva di dibattito sui programmi, ritmata da attacchi personali tra candidati, scandita (soprattutto nell'ultima parte) da episodi violenti, si può infine dire che almeno un risultato è stato raggiunto: dopo una transizione lunga e faticosa, che ha spesso rischiato di deragliare, oggi i cittadini della Repubblica Democratica del Congo si recheranno alle urne in consultazioni libere e democratiche per la prima volta in 40 anni. In pochi, ancora l'anno scorso, erano disposti a scommetterci un singolo franco. Gli ostacoli alla tenuta del voto sembravano tanti e difficili da sormontare: l'estensione del paese, grande quanto l'Europa occidentale ma privo di strade; la disorganizzazione cronica delle sue istituzioni; l'instabilità nelle regioni orientali (Nord e Sud Kivu, Ituri, Nord Katanga), terreno fertile fino a poco tempo fa di milizie armate. «Solo il fatto che queste elezioni abbiano luogo è una vittoria», ha sottolineato con una punta di soddisfazione Ross Mountain, vice-rappresentante del segretario generale del'Onu.
Le elezioni sono un appuntamento con la storia. Perché da questo voto e dai suoi risultati si capirà che strada vorrà prendere questo paese; si capirà se i leader ribelli che hanno abbandonato le armi fanno sul serio; se la corruzione endemica inaugurata da Mobutu («Rubate, ma con moderazione», usava dire l'ex dittatore) potrà essere consegnata definitivamente al passato; se la nuova classe dirigente è costituita da uomini di stato o avventurieri. Si capirà, insomma, se il Congo è pronto a voltare pagina o se è invece destinato a piombare di nuovo nell'abisso della guerra, trascinando con sé l'intera regione.
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