Milioni di persone hanno votato per un futuro di pace in Congo
Oltre il settanta per cento di votanti, con punte di oltre l’ottanta. Milioni di persone in fila ordinata dalle quattro della mattina per il primo voto libero negli ultimi 40 anni di storia della Repubblica democratica del Congo (Rdc), gigante grande quanto l’Europa occidentale nel mezzo dell’Africa. E’ sufficiente questa cifra a far capire la volontà dei congolesi di mettersi alle spalle, con le elezioni presidenziali e parlamentari di domenica scorsa - il cui esito è atteso entro il 31 agosto - che mettono fine ad un governo di transizione in carica da tre anni, un decennio vissuto pericolosamente. «Un momento storico», lo definito l’attuale Capo di Stato, Joseph Kabila.
Del resto, la storia della Rdc è da sempre tormentata. Nel 1870 diventa colonia privata dell’allora re belga, Leopoldo II (la capitale che oggi si chiama Kinshasa, prima era Leopoldville), che lo cede al Belgio soltanto nel 1908 dopo quello che alcuni storici hanno definito un “genocidio silenzioso”: milioni di congolesi trucidati per aprire le rotte commerciali verso l’Africa nera raccontata da Conrad e per sfruttarne, già allora, le ricchezze minerarie.
Con i “soli delle indipendenze” che scaldano l’Africa negli anni ’60, anche il Congo belga reclama la propria. Il primo presidente, Joseph Kasavubu, non ha però abbastanza forza e polso per proteggere il premier del neonato Congo indipendente: Patrice Lumumba. La Cia e i belgi non gli perdoneranno le sue simpatie filo-sovietiche e lo faranno fuori, dopo averlo arrestato, rapito dopo un presunto tentativo di fuga, torturato e disciolto nell’acido, nel febbraio del 1961.
La sua morte sarà soltanto il preludio di quello che avverrà quattro anni più tardi. Le potenze Occidentali, dopo aver prima aizzato e poi messo un freno alle mire indipendentiste del Katanga (la regione più ricca del Paese), favoriranno l’ascesa del maresciallo-presidente Mobutu Sese Seko. Dietro un nazionalismo di facciata - il Congo diventa Zaire - si cela un regime dittatoriale che fa sparire gli oppositori, o lì da in pasto ai leoni della residenza presidenziale. La cleptocrazia al potere - accolta nei circoli buoni di Washington e Parigi per il suo schieramento filo-occidentale - riesce, secondo le ultime stime, a fruttare a Mobutu qualcosa come quattro miliardi di dollari in conti all’estero.
Il maresciallo, che morirà di malattia in Marocco il 7 settembre del ‘97, è scalzato, mentre in cura in Svizzera, dal mercenario ribelle che conobbe Che Guevara durante la sua avventura africana: Laurent Desiré Kabila. Con il sostegno del Rwanda, Kabila prende la capitale Kinshasa nel maggio del 1997 e rinomina il suo Paese, Repubblica democratica del Congo. Un anno dopo, per aver disatteso le promesse fatte ai suoi sponsor, il neopresidente congolese subisce l’invasione congiunta di Kigali e Kampala. Kabila, che chiama in aiuto Namibia, Angola e Zimbabwe, è il reggente durante quella che è stata definita la “prima guerra mondiale africana” che, in cinque anni, costerà la vita a quattro milioni di persone.
Il risultato fu disastroso: le truppe ugandesi e ruandesi, con l’appoggio di capibanda locali, occuparono l’est della Rdc dando vita a quello che l’Onu ha definito «un sistematico saccheggio delle risorse naturali del Paese». Seguirono diversi accordi di pace, prima in Zambia e poi in Sud Africa, e, come in una monarchia, all’assassinio del padre Kabila da parte di alcuni bambini soldato nel gennaio del 2001, seguì il figlio Joseph. Saranno poi gli accordi di Sun City dell’aprile del 2003 a sancire la formazione di un governo transitorio, guidato dallo stesso Kabila Jr., la cui durata doveva essere biennale, ma il cui mandato è stato prolungato di un altro anno, e il ritiro delle truppe occupanti dall’est. Il compromesso raggiunto non è però dei migliori: per evitare ulteriori spargimenti di sangue sono nominati vice-presidenti della Rdc i principali signori della guerra fautori della sua distruzione.
Sono loro, i vari Jean-Pierre Bemba e Azarias Ruberwa, a rappresentare la principale incognita da qui alle prossime settimane, quanto verranno resi noti i risultati dello scrutinio e in vista di un possibile secondo turno, fissato per il prossimo 29 ottobre. Nonostante Joseph Kabila sia il grande favorito - dalla sua la più grande coalizione di partiti, 31 in tutto, e il sostegno anche di emissari dei Repubblicani americani e di praticamente tutte le cancellerie occidentali - pesano le possibili reazioni di chi ha vissuto, in questi anni di anarchia, di rendite personali e traffici illeciti. Su alcuni di questi personaggi pesano anche dei mandati di cattura del Tribunale penale internazionale dell’Aja.
Un altro interrogativo è legato allo smantellamento e integrazione nell’esercito nazionale delle milizie che scorrazzavano a loro piacimento nell’est. Il processo, che doveva essere gestito dalla missione Onu, la Monuc, ha avuto scarsi risultati. La presenza di milizie armate sul territorio congolese, in assenza di un esercito e di una polizia motivati e ben pagati, potrebbero fornire la manodopera per chi ha ancora intenzioni bellicose.
Le uniche aree di turbolenza durante il voto di domenica, dopo le tensioni, gli scontri ed i morti delle scorse settimane, sono state nelle province meridionali del Kasai, feudo dell’Union democratique pour le progress sociale (Udps), dove ieri sono state ripetute le votazioni. Lo storico partito di opposizione non armata guidato da Etienne Tshisekedi ha fornito ai propri nemici l’opportunità di farsi escludere dalle elezioni ed aveva chiamato al boicottaggio. Spetterà ai futuri governanti del Paese dargli l’opportunità di reintegrarsi all’interno del processo democratico.
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