Nessuna tregua per il Libano
Israele ha sferrato un nuovo attacco sul Libano dando il via a una massiccia operazione di terra che vede impegnati migliaia di uomini. Il governo Olmert è deciso ad ottenere una vittoria chiara sugli Hizbollah, prima di lasciare spazio a qualunque altra soluzione. Olmert si è detto certo che “non ci sarà alcun cessate-il-fuoco nei prossimi giorni” e, ha aggiunto, “dobbiamo essere pronti per dolore, lacrime e sangue”.
La guerra corre con velocità intanto che la diplomazia tace.
Da Lunedì si sono intensificate le operazioni dell’IDF nel sud del Libano intorno alla zona di Zarit, Kfar Kila, Adaisse e Taibeh e vicino alla città cristiana di Marjayoun. Nella giornata di oggi, Martedì, si combatte anche nei villaggi al confine con la Siria e in quelli intorno alla zona di Litani. Colpite nuovamente le strade principali insieme a quelle di collegamento che portano in Siria, che hanno isolato completamente interi villaggi. Forti gli scontri con la resistenza Hizbollah intanto che l’esercito di Tel Aviv cerca di raggiungere la linea del fiume Litani, a 30km a nord dal confine, dove intendono preparare il terreno per l’arrivo delle truppe internazionali, in pieno stile da “guerra preventiva”. Uccisi altri tre soldati israeliani mentre salirebbe a 48 il numero dei combattenti Hizbollah uccisi dal 13 Luglio.
Dopo giorni e giorni di furibonda battaglia l’esercito israeliano ha lasciato la città di Bint Jbeil senza poterla espugnare e ha spostato l’attacco altrove. Le operazioni di terra si stanno concentrando nei villaggi e nelle cittadine del sud con effetti disastrosi. Testimonianze da Bint Jbeil parlano di una devastazione simile a un terremoto che l’IDF si è lasciato allo spalle, con case ed edifici rasi al suolo e i pochi abitanti in città, stremati dal coprifuoco subito per giorni e giorni, rimasti senza viveri o scorte d’acqua. Tra la gente cresce l’assenso per la resistenza Hizbollah e, parimenti, il sentimento anti-israeliano.
Secondo fonti israeliane, Hizbollah ha lanciato 1800 missili su Israele dall’inizio del conflitto (12 Luglio), lanci che non sono praticamente mai cessati. 18 civili israeliani sono rimasti uccisi e altri 300 sono rimasti feriti, costringendo la gente a vivere nei rifugi. Nonostante questo pesante bilancio, cui si aggiungono 35 soldati uccisi e un centinaio di feriti, i quadri dell’intelligence e dell’esercito israeliani continuano a sponsorizzare l’offensiva di terra e, nonostante la dichiarazione della tregua di 48h, continuano i bombardamenti. Prima dell’alba di Martedì i vertici israeliani hanno approvato il proseguimento delle azioni militari, simili a quelle portate avanti a Bint Jbeil. Nessun voto contrario e nessuna astensione, il piano di guerra è stato approvato dall’interno gabinetto della difesa. Ephraim Sneh, membro del partito laburista, ha confermato l’intenzione di riportare le truppe dell’IDF fino al fiume Litani, questo sì, un ritorno allo status quo ante l’Aprile del 2000, e secondo fonti del ministero della difesa questo obiettivo potrà essere raggiunto solo con molte settimane di tempo.
Il World Food Programme, Lunedì mattina, aveva annunciato la partenza di convogli umanitari alla volta di Tiro e Qana anche se precedenti convogli per Marjayoun erano stati cancellati a causa dei bombardamenti in corso. Per raggiungere il sud è necessario attraversare la montagne, dal momento che la strada principale costiera è stata bombardata.
Le autorità libanesi hanno dichiarato che molti corpi di civili uccisi nei bombardamenti si trovano ancora sotto le macerie delle case distrutte. Anche i vivi restano intrappolati nelle loro case e non sono in grado di mettersi in fuga, verso il nord. Tra i disastri della guerra anche quello ambientale. Il 13 Luglio, l’aviazioni israeliana aveva bombardato la stazione di petrolio di Jiyeh, a circa 30 km a sud di Beirut. Secondo fonti di agenzia, circa 10.000 tonnellate di petrolio si sono riversate nel mar Mediterraneo, inquinando 80 dei 200 km di costa. La stazione aveva preso fuoco e una nube nera si è alzata nei cieli del Libano, inquinando l’aria.
Il Libano conta oltre 700 morti e migliaia di civili in fuga. All’indomani del massacro di Qana avvenuto il 31 Luglio, la popolazione libanese ha ancora più paura ma non ci sono segnali per un cessate-il-fuoco.
Il primo ministro Siniora ha risposto no, alla proposta della Rice di tornare a Beirut per continuare a parlare e nel giorno di lutto nazionale, ha dichiarato che non ci saranno negoziati fin tanto che continuerà il bagno di sangue in Libano.
Ma la ministra degli esteri israeliana Livni asserisce che l’Unione Europea non deve esercitare pressioni su Israele chiedendo l’immediato cessate-il-fuoco e che, in sostanza, l’immagine del bombardamento di Qana di Domenica non deve distrarre l’attenzione dal principale obiettivo, ossia l’applicazione della Risoluzione 1559 sul disarmo degli Hizbollah. Anche su questo fronte dunque il governo israeliano intende perseguire i suoi scopi, indipendentemente dal prezzo che verrà pagato.
Secondo il quotidiano israeliano Yedhot Aaronoth, il ministro delle difesa israeliano Peretz ha detto a D’Alema, in visita in Israele, che Tel Aviv intende continuare le sue operazioni militari per ancora due settimane. Chissà se i civili libanesi che moriranno in questo lasso di tempo vedranno “spiragli di luce” come il nostro ministro D’Alema! Nella due giorni di tour D’Alema è apparso molto ottimista alla stampa israeliana, che è rimasta colpita da due frasi, “raggio di luce” e “segnale positivo”. Un ottimismo fuori luogo, nel giorno più buio che il Libano ricordi dalla fine della guerra civile.
D’Alema ha anche parlato di “tregua umanitaria” e di “vero cessate il fuoco” ma non ci sembra abbia criticato a sufficienza la decisione del governo Olmert di continuare gli attacchi sul Libano. Ben diversa la spaccatura apertasi all’interno del governo inglese che invece ha visto compiersi un’aspra battaglia interna guidata da Jack Straw, proprio sul tema di un cessate-il-fuoco immediato.
Oggi, il Libano ha ritrovato, sotto le bombe, un senso di unità nazionale. Molti profughi shiiti del sud del paese sono stati ospitati nei campi profughi palestinesi. Uno di questi è il campo di Rashidyeh, vicino a Tiro che ha dato asilo a 82 famiglie scappate dai bombardamenti.
Profughi che soccorrono profughi, anche questo dovrebbe essere messo sul tavolo di una pace duratura. I nuovi profughi libanesi sono decisi a tornare nelle loro case nel sud del paese e alcuni di loro si sono detti disposti a combattere per riaverle, come ha dichiarato ad al Jazeera una donna scappata con i suoi otto figli dal villaggio di Bazouriya.
Anche i profughi palestinesi aspettano di tornare nelle loro case da 58 anni. Anche questo è un modo per ristabilire la giustizia e una convivenza equilibrata nel medio oriente.
Intanto l’organizzazione per i diritti umani Human Rigths Watch ha dichiarato “indiscrimati” gli attacchi israeliani in Libano accusando Israele di aver ritenuto il sud del paese una free-fire-zone. Israele è perseguibile per crimini di guerra, specie dopo il massacro di Qana, e il direttore di HRW Kenneth Roth ha dichiarato Domenica che “l’esercito israeliano sembra considerare chiunque rimanga nell’area un combattente, una preda consentita per gli attacchi”. Il massacro di Qana, ha detto un portavoce, è il risultato di una campagna di bombardamenti, in contrasto con quanto dichiarato dal governo israeliano che invece ha cercato di scaricare le responsabilità sugli Hizbollah, asserendo di non sapere che nell’edificio ci fossero civili. E’ per questo che la Convenzione di Ginevra proibisce di bombardare case o centri abitati, per non lasciare alla libera interpretazione di un militare questioni che riguardano la protezione dei civili in tempo di guerra.
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