Nel '96, 110 morti Qana rivive l'orrore
Le prime bare delle 54 vittime civili (37 delle quali bambini) fatte a pezzi dalle bombe israeliane due giorni fa nel villaggio di Qana, nel Libano del sud, sono arrivate ieri a bordo di un camion frigorifero all'ospedale Jarun di Tiro. Ad attenderle però non c'era nessuno, dal momento che i parenti delle vittime sono anche loro profughi, dispersi chissà dove a Beirut o sotto le bombe per le strade del sud. Forse saranno sepolti in una fossa comune. O nel sacrario delle oltre 100 vittime del massacro perpetrato sempre a Qana dall'esercito israeliano dieci anni fa, nel 1996. Alcuni corpi delle vittime del bombardamento dell'altra notte, sarebbero ancora sotto le macerie. Impossibile scavare sotto le bombe e in queste ore di «tregua relativa» chi può preferisce mettersi in salvo. La città di Qana è praticamente deserta ed è divenuta, come sosteneva ieri mattina il giornale libanese conservatore L'Orient Le Jour, «Un simbolo di tutte le atrocità».
Lo sdegno in tutto il Libano è irrefrenabile: alla notizia del massacro una folla inferocita ha attaccato la sede dell'Onu, nel centro della capitale ed è stata fermata a pochi passi dalla sede del governo da alcuni deputati degli Hezbollah. Un gigantesco manifesto con il volto del segretario di stato Usa e la scritta «Qana due, un regalo della Rice» è stato issato all'ingresso della centrale piazza dei martiri sul cavalcavia Fuad Chaab. Il Libano, nel dolore, sembra avere ritrovato una sua unità e i settori filo-Usa, di fronte al sostegno incondizionato di Washington ai crimini israeliani, non hanno potuto che fare fronte comune con la resistenza. Un'ulteriore debacle per il tentativo americano e francese di isolare gli Hezbollah e usare il Libano come base per attaccare la Siria. Appena appresa la notizia il premier Fouad Sinora, esponente della Hariri Inc. e capofila dell'ala filo-Usa e filo-Saudita, ha cancellato la visita a Beirut del segretario di stato Condoleezza Rice, sostenendo che «senza il cessate il fuoco non c'è nulla da discutere» e ha elogiato la milizia del Partito di Dio sciita, il suo leader, Sayyed Hassan Nasrallah e «tutti coloro che sacrificano la propria vita per l'indipendenza e la sovranità del Libano».
La rabbia per la passività e la complicità dei governi arabi di fronte alla mattanza israelo-americana cresce sempre più in Libano e in tutti i paesi dell'area dal Golfo, all'Iraq, dalla Giordania ai territori palestinesi occupati, alla Siria. «Arabi, siete conigli!», recitava uno dei cartelloni inalberati dai libanesi inferociti che hanno devastato la sede dell'Onu a Beirut. Un appello a rompere gli indugi è venuto anche dal moderatissimo leader sciita iracheno ayatollah Al Sistani.
A colpire l'opinione pubblica oltre alla quantità delle vittime, in gran parte bambini, c'è anche l'impressione suscitata dalla ripetizione a dieci anni di distanza, del massacro che ebbe luogo a Qana il 18 aprile del 1996. Quel giorno l'esercito israeliano, dopo aver chiesto alla popolazione di lasciare le loro case e di mettersi in salvo, colpì la base dell'Onu di Qana - allora a ridosso della fascia di sicurezza occupata da Israele - uccidendo almeno 110 dei 600 profughi che vi avevano trovato rifugio accolti a braccia aperte dai bonari caschi blu delle isole Fiji. Anche allora le vittime erano profughi in fuga, vecchi donne e bambini. Anche allora la loro morte fu orribile: prima tagliati a pezzi dai frammenti di una prima bomba e poi bruciati da un secondo ordigno. Anche allora, come avrebbe confermato un'inchiesta Onu - la cui pubblicazione sarebbe costata la rielezione al segretario dell'Onu Boutros Ghali - il bombardamento era stato intenzionale.
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