In guerra come in guerra. Israele sta sprofondando in una stridente atmosfera nazionalistica e l’oscurita’ sta cominciando a coprire ogni cosa. I freni che ancora avevamo si stanno erodendo, l’insensibilita’ e la cecita’ che hanno caratterizzato la societa’ israeliana negli ultimi anni si stanno intensificando. Il fronte interno e’ spaccato in due: il nord soffre e il centro e’ sereno. Ma entrambi sono stati colti da toni di nazionalismo esasperato, spietatezza e vendetta, e le voci estremiste che prima caratterizzavano i margini del partito ora ne esprimono il cuore. La sinistra si e’ smarrita una volta di piu’, chiusa nel silenzio e “ammettendo di aver commesso degli errori”. Israele sta mostrando una facciata nazionalistica unificata. Haim Ramon “non capisce” come mai a Baalbek ci sia ancora elettricita’; Eli Yishai propone di trasformare il Libano meridionale in una “scatola di sabbia”; Yaav Limor, corrispondente militare di Channel 1, propone di esporre i cadaveri degli Hezbollah e, il giorno dopo, di far sfilare i prigionieri in mutande, “per rafforzare il morale del fronte interno”.
Non e’ difficile indovinare quello che penseremmo di una stazione televisiva araba i cui commentatori dicessero cose simili, ma ancora qualche incidente o fallimento dell’IDF (Israel Defence Forces) e la proposta di Limor verra’ attuata. C’e’ qualche segno migliore di questo che indichi come abbiamo perso la ragione e la nostra umanita’?
Sciovinismo e sete di vendetta stanno alzando la testa. Se due settimane fa solo i pazzi come Safed Rabbi Shmuel Eliyahu parlavano di “spazzar via ogni villaggio da cui viene sparato un razzo katyusha”, ora un ufficiale superiore dell’IDF parla cosi’ nei principali titoli della testata giornalistica Yedioth Aharonoth’s. Puo’ darsi che i villaggi libanesi non siano ancora stati spazzati via, ma e’ gia’ da molto che abbiamo spazzato via la nostra linea rossa.
Un padre a lutto, Haim Avraham, il cui figlio fu rapito e ucciso dagli Hezbollah nell’ottobre del 2000, spara un proiettile d’artiglieria in Libano per i giornalisti. E’ una vendetta per il figlio. La sua immagine mentre abbraccia un missile decorato e’ una delle immagini piu’ vergognose di questa guerra. Ed e’ solo la prima. Anche un gruppo di ragazzine si fanno fotografare mentre decorano i missili con degli slogan.
Il giornale Maariv, che si e’ trasformato nel “Fox News” Israeliano, riempie le sue pagine di slogan sciovinisti che ricordano macchine propagandistiche particolarmente inferiori, come “Israele e’ forte”, che e’ indice di debolezza, in realta’ – mentre un commentatore chiede di bombardare una stazione televisiva.
Il Libano, che non ha mai combattuto Israele ed ha 40 quotidiani, 42 fra college e universita’ e centinaia di banche, viene distrutto dai nostri aerei e dai cannoni e nessuno sta considerando la quantita’ di odio che stiamo seminando. Nell’opinione pubblica internazionale Israele e’ stata trasformata in un mostro, e questo non e’ ancora stato inserito nella colonna dei debiti di questa guerra. Israele e’ pesantemente macchiata, una macchia morale che non puo’ essere cancellata con facilita’ e rapidita’. E solo noi non la vogliamo vedere.
La gente vuole la vittoria, e nessuno sa cosa sia ne’ quale sara’ il prezzo. Anche la sinistra sionista e’ stata resa irrilevante. Come in ogni difficile prova del passato – come ad esempio le due intifada – anche questa volta la sinistra ha fallito proprio quando la sua voce era necessaria per fare da contrappeso allo stridere del battente tam tam della guerra. A cosa serve avere una sinistra se ad ogni prova reale si unisce al coro nazionale?
Peace Now rimane in silenzio, e lo stesso fa Meretz, ad eccezione del coraggioso Zehava Gal-On. Pochi giorni di una guerra voluta e Yehoshua Sobol sta gia’ ammettendo di aver sempre avuto torto. Improvvisamente Peace Now e’ per lui uno “slogan infantile”. I suoi colleghi tacciono e il loro silenzio non e’ meno assordante. Solo l’estrema sinistra fa sentire la sua voce, ma e’ una voce che nessuno ascolta.
Molto prima che questa guerra venga decisa, si puo’ gia’ affermare che il suo costo vertiginoso includera’ il blackout morale che sta circondando e ricoprendo tutti noi, minacciando la nostra esistenza e la nostra immagine non meno dei razzi katyusha degli hezbollah.
La devastazione che stiamo seminando in Libano non tocca nessuno qui e per la maggior parte non viene nemmeno mostrata agli Israeliani. Quelli che vogliono sapere com’e’ Tiro ora devono ricorrere ai canali stranieri – il giornalista della BBC porta delle immagini agghiaccianti da li’, e immagini come quelle qui non verranno mai viste. Come si fa a non essere scioccati dalla sofferenza degli altri, causata da noi, anche quando anche il nostro nord soffre? La morte che stiamo seminando proprio ora a Gaza , con quasi 120 morti dal rapimento di Gilad Shalit, solo 27 lo scorso mercoledi’, ci tocca anche meno. Gli ospedali di Gaza sono pieni di bambini ustionati, ma a chi importa? L’oscurita’ della guerra nel nord ricopre anche loro.
Da quando ci siamo abituati a pensare che la punizione collettiva sia un’arma legittima non c’e’ da meravigliarsi che non sia scaturito nessun dibattito sulla crudele punizione del Libano per le azioni degli Hezbollah. Se andava bene a Nablus, perche’ non a Beirut? L’unica critica che si sente su questa guerra riguarda la tattica. Siamo tutti generali adesso e la maggior parte delle persone spingono l’IDF ad intensificare le sue attivita’. Commentatori, ex generali e politici fanno a gara ad alzare la posta con proposte estreme.
Traduzione di Martina Perazza
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