Conflitti

Non-politica con altri mezzi

29 giorni di bombe, non un obiettivo raggiunto: Israele rovescia il motto di Clausewitz
Vittime dei miti Il fallimento bellico frutto dell'arroganza e del disprezzo del governo e dei militari nei confronti dei combattenti arabi Illusioni «unilaterali» Non c'è pace possibile senza trattare con chi fa la guerra: palestinesi, libanesi e siriani, Hamas ed Hezbollah
10 agosto 2006
Uri Avnery
Fonte: Il Manifesto

Appena finirà la guerra verrà il giorno dei lunghi coltelli. Tutti, politici e militari, daranno la colpa a qualcun altro. I politici si daranno la colpa a vicenda. I generali lo stesso. I politici daranno la colpa ai generali. E, soprattutto, i generali daranno la colpa ai politici. Dopo ogni guerra, quando i generali falliscono, comincia a circolare la leggenda della «pugnalata alle spalle»: se soltanto i politici non avessero fermato l'esercito proprio quando era sul punto di realizzare la sua gloriosa, storica, devastante vittoria....
E' quel che successe in Germania dopo la Prima guerra mondiale, e dalla leggenda nacque il movimento nazionalsocialista. E' quel che successe in America dopo il Vietnam. E' qualche succederà qui: è già nell'aria.
La verità è che, finora, al ventinovenni giorno di guerra, sul piano militare non è stato raggiunto un solo obiettivo. Lo stesso esercito che impiegò sei giorni per mettere a tappeto tre grossi eserciti arabi nel 1967 non ce l'ha fatta a sgominare un piccola organizzazione «terrorista» in un lasso di tempo ormai più lungo di quello della guerra dello Yom Kippur. Allora, l'esercito ci mise venti giorni a trasformare una sconfitta senza precedenti in una sonora, indimenticabile vittoria militare. Sperando di dare l'idea di un qualche successo militare, i portavoce dell'esercito ci dicono che «abbiamo ucciso 200 (o 300, o 400, chi tiene più il conto?) dei 1000 guerriglieri Hezbollah». L'affermazione che l'intero terribile esercito Hezbollah consti soltanto di un migliaio di combattenti parla da sola.
Stando ai corrispondenti, il presidente Bush è frustrato. L'esercito israeliano non gli è stato molto utile. Bush li ha mandati alla guerra credendo che il più potente degli eserciti, equipaggiato con le più potenti fra le armi americane, avrebbe finito il lavoro in qualche giorno, eliminando Hezbollah, consegnando il Libano alle redini americane, indebolendo l'Iran e magari facendo pure strada ad un cambio di regime in Siria. Ovvio che ora Bush sia arrabbiato. Ehud Olmert è anche più arrabbiato. E' andato alla guerra di gran carriera ed a cuor leggero, perché i generali dell' Aviazione gli avevano promesso di distruggere Hezbollah e i loro razzi in pochi giorni. Adesso è impantanato e senza prospettive di vittoria. Come al solito, al termine dei combattimenti (ma forse anche prima), comincerà la Guerra dei Generali. Già ne emergono le prime linee. I comandanti delle forze terrestri già incolpano il Comandante in capo e tutta l'Aviazione che, intossicata dal potere, aveva giurato di vincere tutto con le proprie forze: di bombardare, distruggere ponti, strade, quartieri residenziali, villaggi e... finito!
I seguaci del Comandante in capo e dell'Aviazione incolperanno le forze terrestri, soprattutto il Comando Nord. I loro portavoce nei media già dichiarano che è un comando zeppo di ufficiali inetti, sbattuti lassù soltanto perché al nord si stava tranquilli mentre tutta la vera azione era al sud (Gaza) ed al centro (Cisgiordania). Già circolano le prime insinuazioni sul capo del Comando Nord, Udi Adam, che sarebbe stato nominato soltanto perché suo padre, Kuti Adam, venne ucciso durante la prima guerra libanese.
Più o meno tutte queste accuse sono fondate: questa guerra è fatta di fallimenti militari - per cielo,per terra e per mare. Sono fallimenti radicati nella tremenda arroganza nella quale siamo stati cresciuti, ormai nostro carattere dominante. Caratteristico delle nostre forze armate, raggiunge l'apice nell' Aviazione. Per anni ci siamo detti che abbiamo l'esercito più-più-più del mondo intero. E non soltanto ci siamo convinti fra di noi, ma anche Bush ed il resto del mondo. Uno degli obiettivi dichiarati di questa guerra doveva essere proprio quello di riabilitare il potere deterrente dell'esercito israeliano. L'abbiamo proprio mancato. Perché, cosa è successo?
Il problema è che l'altro aspetto della nostra arroganza è costituito dal disprezzo nei confronti degli arabi. Adesso i nostri soldati stanno imparando a loro spese che i «terroristi» sono combattenti duri ed assai motivati, non un branco di drogati persi a sognare le loro vergini in paradiso. Ma al di là dell'arroganza, c'è un problema militare di fondo: è semplicemente impossibile vincere una guerra contro la guerriglia. L'abbiamo già visto restando per 18 anni in Libano. Poi ci siamo inevitabilmente arresi al ritiro. Adesso, dio solo sa cosa ha dato a questi generali l'infondata sicurezza nel ritenersi in grado di riuscire dove i loro predecessori hanno fallito. E soprattutto: nemmeno il miglior esercito al mondo potrebbe vincere una guerra priva di precisi obiettivi. Karl Von Clausewitz, guru della scienza militare, ha detto che «La guerra non è altro che il proseguimento della politica con altri mezzi». Olmert e Peretz, due totali dilettanti, hanno rigirato il tutto: «la guerra non è altro che la continuazione dell' assenza di politica con altri mezzi». Chiaramente è un problema di leadership politica. Quindi le colpe principali verranno deposte ai piedi dei due gemelli siamesi, Olmert e Peretz. Hanno ceduto alla tentazione del momento trascinando tutto il paese in guerra - una decisione intempestiva, sconsiderata e priva di scrupoli. Come ha già scritto Nehemia Strassler in «Haaretz»: si sarebbero potuti fermare dopo due o tre giorni, quando tutto il mondo asseriva che la provocazione di Hezbollah giustificava la risposta israeliana e nessuno ancora dubitava della potenza del nostro esercito. L'intera operazione sarebbe apparsa sensata, sobria e proporzionata.
Ma Olmert e Peretz non sono riusciti a fermarsi. Come due babbei, non si sono resi conto che delle millanterie dei generali non ci si può fidare, che neanche i più brillanti piani militari sono degni della carta sulla quale sono scritti, che in guerra l'imprevedibile va previsto, che niente è più effimero delle glorie di guerra. Intossicati dalla fama di guerra, istigati da un gregge di giornalisti scodinzolanti, la gloria di condottieri ha dato loro alla testa. Olmert si è eccitato coi suoi stessi discorsi così incredibilmente kitch, provati e riprovati di fronte ai suoi tirapiedi. Quanto a Peretz, sembra quasi si sia messo di fronte allo specchio a rimirarsi già come fosse il prossimo Primo ministro, il prossimo Mister security, un nuovo Ben Gurion. Così, come i due idioti del villaggio, si sono messi alla testa di questo carnevale di folli, diritti verso il fallimento politico e militare.
Ne pagheranno il prezzo un volta finita la guerra.
Come andrà a finire questo disastro?
All'inizio della guerra il governo ha furiosamente respinto qualsiasi ipotesi di dispiegamento di forze internazionali al confine. L'esercito riteneva che una simile forza avrebbe ostacolato le sue operazione e neanche sarebbe bastata per proteggere Israele. Adesso, improvvisamente, il dispiegamento di una simile forza è diventato uno dei motivi principali di questa guerra. Il che costituisce, naturalmente, una scusa un po' triste; qualsiasi forza internazionale potrà essere dispiegata soltanto previo accordo con Hezbollah. Nessun paese spedirebbe i propri uomini a combattere contro la popolazione locale. E dappertutto, al confine, gli sciiti faranno ritorno ai propri villaggi - compresi i guerriglieri Hezbollah. Quindi, la forza di peacekeeping sarà totalmente subordinata agli accordi con Hezbollah. Altrimenti, basterà l'esplosione di una bomba sotto un bus pieno di fracesi,ed ecco levarsi l'urlo da Parigi: «Riportate a casa i nostri ragazzi!». Come è successo quando vennero bombardati a Beirut i marines americani. I tedeschi, poi, che hanno scioccato il mondo opponendosi al cessate-il-fuoco, figuriamoci se manderanno i soldati al confine con Israele.
Ma, ancora più importante: niente impedirà ad Hezbollah di lanciare i propri razzi sopra le teste della forza internazionale, come e quando vorranno. E allora, che farà la forza di peacekeeping? Conquisterà tutta l'area fino a Beirut? Ed Israele che farà?
Olmert vuole che la forza internazionale si occupi di controllare anche il confine siro-libanese. Il che è, ovviamente, illusorio, trattandosi di un confine che si estende per l'intero nord-est del Libano: chiunque voglia infiltrare armi dovrà soltanto tenersi lontano dai principali raccordi stradali, che poi saranno gli unici ad essere pattugliati. Dopodiché ci saranno centinaia di stradine percorribili. Con la dovuta tangente, tutto è fattibile in Libano.
Dunque, alla fine di questa guerra, ci ritroveremo più o meno allo stesso punto di prima quando ancora non erano stati uccisi un migliaio di libanesi e molti israeliani, prima dello sfratto di un milione di esseri umani dalle proprie case, prima della distruzione di migliaia e migliaia di case fra Libano ed Israele. Dopo la guerra, l'entusiasmo scemerà, gli abitanti del nord torneranno alle loro case leccandosi le ferite, l'esercito aprirà un'inchiesta sui propri fallimenti.
Tutti sosterranno di esser stati contrari a questa guerra fin dall'inizio.
L'unica soluzione che si profila dunque è: cacciar via Olmert, far fare le valigie a Peretz e licenziare Halutz. E finalmente imbarcarsi in un nuovo corso politico, l'unico che possa veramente risolvere tutti i problemi: negoziare con i palestinesi, con i libanesi e con i siriani. E con Hamas ed Hezbollah. Perché la pace la si fa soltanto con i nemici.

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