Kosovo, Dick Marty all'attacco di Carla del Ponte
La Serbia sa bene che le speranze di rompere il suo isolamento ed essere, un giorno, accolta nell'Unione europea sono legate alla cattura del generale serbo-bosniaco Ratko Mladic e alla sua consegna al Tribunale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia dell'Aja. Se lo è sentito ripetere anche ieri a Bruxelles Ivana Dulic-Markovic vice-premier serba dopo aver incontrato il commissario Ue per le nuove entrate, Olli Rehn: «La conclusione è che tutto ora è nelle mani della Serbia. Se noi riusciremo a rispondere ai nostri obblighi e a offrire piena collaborazione con il Tribunale dell'Aja l'Unione europea appoggerà i nostri passi successivi verso l'integrazione». In soldoni questo significa la cattura e la consegna di Mladic, che in Serbia in molti considerano ancora un eroe e che è ricercato come criminale di guerra. I negoziati fra Belgrado e la Ue sono congelati da maggio su questo nodo. E il procuratore dell'Aja Carla del Ponte non transige: o Mladic o addio Ue. Questo i serbi lo sanno, anche se i metodi della del Ponte nel perseguire i crimini commessi nelle guerre della ex-Jugoslavia suscitano molte riserve a Belgrado. E non solo a Belgrado.
Durante il recente festival cinematografico di Locarno Carla del Ponte ha tenuto banco. Prima con una conferenza stampa, poi con la proiezione dell'interessante documentario «La lista di Carla» (una reminescenza di Schindler's list?) e infine con un affollatissimo dibattito sul tema «lotta contro l'impunità. Le sfide nei Balcani». Oltre a Carla di Ponte c'erano tra gli altri un procuratore bosniaco, uno croato e il procuratore svizzero Dick Marty. E lì non sono mancate le critiche.
E' stato proprio l'intervento del liberale Dick Marty, lo stesso incaricato dalla Ue di indagare sui voli segreti della Cia nei cieli d'Europa a rimettere le cose in una giusta ottica.
Alle affermazioni della del Ponte che «è la convenienza politica a convincere i responsabili a consegnare i criminali di guerra, poiché non esiste il senso della giustizia», Marty ha replicato che è pericoloso mischiare giustizia e politica quando la giustizia è quella dei vincitori». «Non va dimenticato, pur avendo grande stima per l'operato del tribunale internazionale, che è stato concepito e voluto dalla comunità internazionale per lavarsi la coscienza per i bombardamenti illegali sulla Serbia», ha proseguito Marty riferendosi poi alla Nato, «che gestisce e proibisce le visite nelle carceri del Kosovo ai comitati contro la tortura, dove si ignora chi vi è detenuto. Una cosa inaccettabile in Europa». La requisitoria di Marty è stata implacabile, pur nel disagio degli altri conferenzieri: «Quando si vuole imporre la giustizia agli altri, bisogna essere disposti ad applicarla a se stessi. Invece ad esempio gli Stati uniti si sono ben guardati dal ratificare la creazione della Corte penale internazionale. Anzi, hanno fatto accordi bilaterali con altri paesi affinché non consegnassero alla giustizia internazionali cittadini Usa».
Quanto alla discussione sul futuro del Kosovo, Dick Marty non ha dubbi: «Per parlare di uno stato indipendente, ci vuole una società civile. Che non esiste in Kosovo. Quello è un centro di criminalità organizzata, dove la minoranza serba vive in condizioni spaventose. Sono questi i problemi da risolvere prima di parlare di indipendenza».
Inevitabile il riferimento al Libano: «Ormai si bo
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