Medio Oriente, le missioni insabbiate
Mentre la missione Unifil è ancora alla ricerca di un «chiaro mandato», il nostro governo non ha dubbi che l'Italia debba armarsi e partire per quello che Parisi definisce «un intervento militare» che non esclude l'uso delle armi. Eppure l'esperienza dovrebbe insegnare qualcosa.
Emblematica è la storia dell'Untso, l'«Organizzazione delle Nazioni unite per la supervisione della tregua» fra israeliani e palestinesi, costituita nel 1948. Il 29 novembre 1947 l'Assemblea generale delle Nazioni unite aveva approvato, con la risoluzione 181 sulla Palestina, un piano che prevedeva «la creazione degli Stati arabo ed ebraico non oltre il 1° ottobre 1948». Ma, dopo la proclamazione dello Stato di Israele il 14 maggio 1948, erano esplose le ostilità tra palestinesi e israeliani. Il 29 maggio, con la risoluzione 50, il Consiglio di sicurezza chiese «la cessazione delle ostilità senza pregiudizio per i diritti, le rivendicazioni e la posizione sia degli arabi che degli ebrei» e costituì l'Untso, dislocandola nella regione in giugno. L'Untso - formata da oltre 250 osservatori militari e civili di 23 paesi, tra cui l'Italia, con quartier generale a Gerusalemme - è ancora lì per la «supervisione della tregua», attività per la quale l'Onu spende 30 milioni di dollari l'anno. E, mentre Israele da allora si è esteso, i palestinesi sono ancora lì in attesa di veder riconosciuto il loro Stato e i loro diritti.
Altrettanto emblematica è la storia dell'Unifil, la «Forza ad interim delle Nazioni unite in Libano», costituita il 19 marzo 1978 dopo l'occupazione israeliana del Libano meridionale, in base alle risoluzioni 425 e 426 del Consiglio di sicurezza che le conferivano il mandato di «confermare il ritiro delle forze israeliane dal sud del Libano, ristabilire la pace e sicurezza internazionali, assistere il governo del Libano ad assicurare il ritorno della sua effettiva autorità nell'area». Israele ritirò le sue forze ma, nel giugno 1982, invase di nuovo il Libano. L'Unifil rimase per tre anni intrappolata dietro le linee israeliane, finché Israele non effettuò un parziale ritiro occupando la parte meridionale del paese. Da allora l'Unifil, composta a seconda dei periodi da 4500/2000 soldati e osservatori di 8 paesi tra cui l'Italia (con una spesa annua nel 2006 di 100 milioni di dollari), rimase lì in attesa del «ritiro delle forze israeliane dal sud del Libano». Esso avvenne nel maggio 2000. Successivamente, però, «lo spiegamento dell'Unifil e delle truppe libanesi nelle aree lasciate libere si arrestò», a causa delle «numerose violazioni» da parte delle forze israeliane le cui pattuglie attraversavano spesso la linea del ritiro. Quando Israele ha di nuovo attaccato e invaso il Libano, la sua aviazione ha distrutto il 26 luglio un edificio dell'Unifil, uccidendo 4 osservatori disarmati, nonostante che il comandante della forza Onu fosse rimasto «in continuo contatto con gli ufficiali israeliani, sollecitandoli a proteggere dal fuoco questa postazione». Altre postazioni Unifil sono state colpite dalle forze israeliane nei giorni seguenti. I morti in missione, nella storia dell'Unifil, sono così saliti a oltre 300.
Su questo sfondo si colloca la risoluzione 1701 dell'11 agosto 2006, con la quale il Consiglio di sicurezza autorizza l'aumento dell'Unifil a un massimo di 15mila uomini. La prima risoluzione cui essa fa riferimento è la 425 (1978), la quale chiede che «Israele cessi immediatamente la sua azione militare contro l'integrità territoriale libanese e ritiri immediatamente le sue forze da tutto il territorio libanese». Questo è il primo mandato che la nuova forza Unifil deve far osservare. Il secondo, quello di assistere il governo libanese per realizzare «il disarmo di tutti i gruppi armati in Libano», dipende dalla realizzazione del primo: non si può pensare di disarmare la milizia hezbollah, principale forza della resistenza all'aggressione israeliana, se Israele continua a minacciare il Libano. Se Israele si fosse attenuto alla risoluzione 425 del 1978, con tutta probabilità non si sarebbe neppure formato l'hezbollah, il movimento nato non a caso dopo l'invasione israeliana del Libano nel 1982.
Perché la nuova missione Unifil non finisca come le precedenti, occorre che essa sia posta, come prescrive l'art. VII della Carta delle Nazioni unite, sotto la direzione operativa di un Comitato di stato maggiore composto dai capi di stato maggiore dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Lasciare il comando al primo paese che si offre significa avviare la missione Onu al fallimento, cosa che Washington e altri governi vogliono per far subentrare, indirettamente o direttamente, la Nato, agli ordini del generale statunitense «comandante supremo alleato in Europa». Occorre affermare il principio che, se quella Unifil è una forza di interposizione, essa dovrebbe essere schierata non unicamente in territorio libanese ma a cavallo tra i territori libanese e israeliano. Occorre infine ricordare che anche quest'ultima sanguinosa guerra è stata condotta da Israele su due fronti, quello libanese e palestinese. Perché allora il governo italiano non si impegna a rendere realmente operativa l'Untso, di cui fa parte il nostro paese, inviando almeno un terzo del contingente destinato al Libano a fare da interposizione tra Israele e Gaza?
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