La marcia delle donne sudafricane su Pretoria
«Wathint’ abafazi wathint’ imbokodo». Chi tocca una donna, tocca una roccia. Così il 9 agosto del 1956 cantavano le donne da tutto il Sud Africa sulla soglia del Union Building, sede del governo razzista del premier Johannes Gerhardus Strijdom, e «cittadella dell’oppressione» simbolo della segregazione razziale.
A raccontare ieri, nel cinquantenario di quegli eventi, quanto avvenne in quella storica giornata sono state due esponenti dell’African national congress (Anc), Ruth Mompati (vedi intervista in basso ndr) e Gertrude Shope. Entrambe hanno militato per anni nell’organizzazione che ha portato alla fine dell’Apartheid. Entrambe hanno sofferto la repressione, l’esilio all’estero e gioito del ritorno in patria. Sia la Mompati che la Shope sono state elette nel primo Parlamento del nuovo Sud Africa.
Ventimila donne occuparono le strade di Pretoria, oggi Tshwane, per protestare contro l’estensione del dompass - il libro che ogni nero doveva avere sempre con sè e che doveva essere controfirmato dal proprio datore di lavoro pena l’arresto - anche al genere femminile. Per questo i movimenti femministi diedero vita a quello che è noto anche come la “Defiance Campaign”, la campagna di sfida, al governo dell’Apartheid.
«Volevamo protestare in maniera che tutto il mondo ci vedesse», racconta Ruth Mompati. Le donne cominciarono così ad organizzarsi andando a richiamare l’attenzione anche di quante vivevano nelle campagne. Si preparò una petizione e si organizzò la marcia sui palazzi del potere.
«Per il 9 agosto delle donne dall’Eastern Cape avevano acquistato i posti su due vagoni dei treni, ricorda Gertrude Shope, ma la polizia salì a bordo e le costrinse a scendere. Ma loro non demorderono. Autobus, camion, macchine. Tutte le strade e tutti i mezzi possibili portavano a Pretoria». Quest’invasione al femminile - le uniche che potevano ancora circolare liberamente per il Sud Africa - invase i prati curati della capitale del regime. «Donne con bambini legati sulla schiena sedevano sulle aiuole con i loro pranzi al sacco perché i negozi non vendevano da mangiare ai neri», è il racconto della Mompati.
La protesta, che vedeva partecipare tutte le donne del Sud Africa, comprese le bianche, quelle di origine asiatica e le ”colored“ (le meticcie ndr), si spinse sino a su per le scale del Union Building, dove oggi un memoriale ricorda quella giornata. Furono raccolte ventimila firme sulla petizione che affermava a chiare lettere: «Noi donne del Sud Africa non avremo pace sino a quando non vedremo riconosciuti i nostri diritti fondamentali». Ma il premier Strijdom non era presente all’appuntamento dato.
La sua fuga diede il là ai canti delle donne del Kwa-Zulu Natal che ammonivano il primo ministro dal toccare le donne pena «restare schiacciato» dalla loro onda. «Questo non fu l’inizio, ma la continuazione della lotta che aveva come obiettivo la liberazione del Sud Africa», spiega la Mompati. «La partecipazione femminile ha stabilito, prima della fine dell’Apartheid, quale sarebbe stato il nostro ruolo nel futuro del paese», sostiene Gertrude Shope. Nonostante «povertà, disoccupazione, violenza e Aids» affliggano ancora le donne, il Sud Africa conta su 131 parlamentari su 400, il 30 percento delle ministre, cinquanta ambasciatrici e quattro, su nove, province guidate al femminile.
Articoli correlati
- Negli scenari degli avvenimenti nel mondo, tra speranza e disperazione
Good and Bad News
Importanti eventi e notizie in questi giorni. Il summit tra Kim e Trump sul disarmo nucleare nella Penisola coreana. L’acuirsi della tensione militare tra India e Pakistan. E (almeno questa è una buona notizia) la ratifica del Sudafrica al Trattato per la proibizione delle armi nucleari27 febbraio 2019 - Roberto Del Bianco Madiba, l'Italia e l'Europa
Grazie Madiba padre e maestro di tutti noi.6 dicembre 2013 - Raffaella Chiodo KarpinskyLa quotidiana violenza che subiscono i palestinesi
Questo articolo racconta un sopruso, una delle tante ordinarie violenze che un qualunque cittadino palestinese subisce sotto l'occupazione israeliana19 gennaio 2012 - Jeff Halper - traduzione di Daniele Buratti
Sociale.network