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Rose rosse dai gambi lunghi e flessuosi. Petali di velluto e spine quanto basta, da coltivare, impacchettare e spedire con cura. I fiori erano uno degli affari più in crescita per lo Zimbabwe. Grazie ai fiori lo Zimbabwe guadagnava ogni anno più di 60 milioni di dollari, ed erano proprio le rose, prodotte per più di 18mila tonnellate, ad arrivare per l’80% con una massiccia scia di dolce profumo nel grande mercato dei fiori di Amsterdam, ma anche nel vicino SudAfrica, e sempre di più anche in Australia e Cina. Le rose rappresentavano fino a qualche anno fa il 70% delle esportazioni nazionali nel settore e coloravano più di 350 ettari di terra d’Africa.
Per gran parte del Novecento, però, furono i bianchi a possedere più di metà della terra del Paese, anche se non rappresentavano più del 5% della popolazione. E proprio questa impari gestione della terra è stata tra le cause della guerra di otto anni che ha trasformato, nel 1980, la Rhodesia a guida bianca nello Zimbabwe nero. La riforma agraria, con la riconquista della terra ai neri, è stata una delle ragioni del successo politico di Robert Mugabe: erano 4.500 possidenti terrieri bianchi a gestire il 60% della terra mentre un quinto della popolazione del Paese si spezzava la schiena da bracciante sui quei solchi, guadagnando appena un euro al giorno. Così dal 2000 le terre hanno cominciato ad essere invase, un po’ dai veterani di Mugabe, un po’ da contadini senza terra e da braccianti esasperati. Solo circa 600 dei proprietari bianchi sono rimasti sul posto, ma non tutti i nuovi occupanti, però, sono riusciti a prendere in mano le aziende, spesso distrutte nella conquista, altrettanto spesso troppo tecnologiche per i nuovi abitanti. L’economia dello Zimbabwe è caduta in picchiata: l’inflazione ha superato il 1000% e le pressioni degli investitori internazionali si sono fatte sentire. Così più di 100 aziende, grazie a degli accordi bilaterali di protezione degli investimenti, torneranno presto ai loro padroni bianchi e “multinazionali”, con tante scuse e un indennizzo per le perdite. Le compagnie olandesi importatrici di fiori sono proprietarie della maggior parte delle fattorie protette, ma degli accordi godono molti altri Paesi come Svezia, Indonesia, Australia, Belgio e anche l’Italia. Una delegazione italiana di settore, guidata dall’ambasciatore in costa d’Avorio Paolo Sannella, ha incontrato di recente il Governo dello Zimbabwe per arrivare a un accordo che garantisca un futuro alle piantagioni legate agli affari italiani. La delegazione ha assicurato la propria disponibilità a fornire un’assistenza tecnica nella meccanizzazione del settore agricolo, promettendo allo Zimbabwe anche uno spazio espositivo nelle fiere di settore nazionali.
Proteggere gli interessi nazionali è buona cosa, certo, ma quel Governo con cui noi amenamente ci accordiamo, con l’altra mano reprime brutalmente le proteste di chi nel Paese cerca di garantire innanzitutto un lavoro a quell’oltre 70% delle popolazione che oggi non ce l’ha. Sette milioni e mezzo di cittadini, circa due terzi della popolazione dello Zimbabwe, hanno fame. Solo un anno fa un sacco di 50 chili di grano veniva venduto all’equivalente di 60 centesimi di euro. Oggi invece, costa oltre 40 euro. Il Parlamento europeo, inoltre, ha scoperto che mentre le Nazioni Unite chiedevano di inviare nel Paese 257 milioni di dollari di aiuti umanitari, Mugabe ha acquistato 12 aerei militari K8 dalla Cina per 240 milioni di dollari, l’esercito ha donato ai suoi ufficiali anziani ben 127 auto nuove, e ha l’intenzione di acquistarne altre 194. Chi denuncia questi abusi fa una brutta fine: Wellington Chibebe, segretario generale del Zimbabwe Congress of Trade Unions, il presidente Lovemore Matombo e la vicepresidente Lucia Matibenga sono stati arrestati nel corso di uno sciopero mercoledì scorso e torturati. La federazione internazionale ICFTU riporta che Chibebe ha un braccio rotto, Matombo è stato picchiato e ha bruciature sulla faccia, mentre Matibenga è stata picchiata sotto la pianta dei piedi e sbattuta con la testa alle pareti della cella. Oltre 250 tra attivisti e sindacalisti sono stati fermati e pestati in tutta la nazione. Tra di essi c’erano circa 100 donne e molti ragazzini. Manifestavano in piazza per chiedere paghe decenti, una lotta seria all’inflazione e un maggiore accesso ai farmaci anti-Aids. Circa 90 sindacalisti risultano ad oggi in carcere. Saranno invitati anche loro alle feste e alle fiere del nostro Bel Paese?
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