Conflitti

Il Congo attende in apnea l’elezione del suo presidente

Il Paese verso un ballottaggio ad alta tensione tra Joseph Kabila e Jean Pierre Bemba
15 settembre 2006
Emanuele Piano
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

La calma prima della tempesta. La Repubblica Democratica del Congo vive come in apnea l’attesa per il secondo turno delle elezioni presidenziali - il primo si è tenuto lo scorso 30 luglio - che vedranno di fronte l’attuale presidente del governo transitorio, Joseph Kabila, e uno dei quattro vicepresidenti, Jean Pierre Bemba. Il primo è il figlio di Laurent Desiré Kabila, l’uomo che prese il posto di Mobutu Sese Seko nel 1997, prima di essere ucciso in circostanze mai chiarite nel gennaio del 2001. Ufficialmente da dei bambini soldato, dei kadago in lingala, ma un adagio dell’uomo della strada a Kinshasa recita: «In Africa chi uccide un presidente è quello che gli prende il posto e il Congo non è una monarchia». Nel suo passato il comando delle milizie paterne; alcuni sostengono che fosse lui a capo dei plotoni di esecuzione.
Anche Bemba è figlio di padre illustre. Jeannot Bemba Salona era un uomo di affari legato a Mobutu; la vicinanza al raìs congolese gli ha fruttato una fortuna fatta di loschi traffici di materie prime - soprattutto oro e diamanti - e copiosi fondi all’estero. Il figlio era alla guida del Movimento di liberazione congolese (Mlc), sostenuto dall’Uganda, che, durante la guerra civile dal 1998 al 2003 costata la vita ad almeno quattro milioni di persone, curava gli interessi di Kampala nell’Ituri. Bemba junior è accusato i cannibalismo, è in corso un’indagine all’Aja. Oggi è a capo di un impero di affari, tra cui un paio di canali televisivi che usa per farsi propaganda.

Il calendario fissato dalla Commissione elettorale indipendente (Cei) congolese sancisce per il 29 ottobre il voto del ballottaggio, in corrispondenza delle elezioni per i governi locali, e il 10 dicembre l’investitura del nuovo presidente. Le avvisaglie di quello che potrebbe essere un pericoloso ritorno al passato, che per la verità nessun congolese vorrebbe vedere, si sono avute lo scorso 20 agosto. Quello che è avvenuto quel giorno è avvolto nel mistero e, come per ogni cosa succeda nella Rdc, i fatti diventano presto mito, le voci verità. Un unico dato di quei tre giorni di scontri è il numero dei morti: almeno una ventina, ma c’è chi arriva sino a 300 e parla di cadaveri gettati nel fiume Congo.

Secondo una prima ricostruzione, gli uomini di Bemba avevano accerchiato la sede della Commissione elettorale indipendente (Cei) prima che questa potesse annunciare l’esito del voto. Con un migliaio di uomini, tutti provenienti da uomini a lui fedeli nell’esercito e nella polizia, nei punti strategici della città, il Mlc era intenzionato a tentare il golpe. L’intervento della Monuc e la reazione dell’esercito hanno consentito l’evacuazione del presidente della Cei, Apollinaire Malu Malu, che è poi stato portato alla televisione di Stato per comunicare i risultati.

Il 21 agosto, giorno successivo a questa prova di forza, gli ambasciatori del Ciat - il comitato che accompagna la transizione congolese e composto dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più Unione Africa, Angola e Sud Africa - si sono recati all’una nella residenza di Jean Pierre Bemba. Secondo alcuni pareri, Joseph Kabila, timoroso che il rivale potesse ottenere l’avallo della comunità internazionale per il golpe, ha inviato contro la casa di Bemba l’esercito ed almeno una decina di carri armati. Questo è avvenuto alle 16:00 circa. La Monuc è intervenuta a liberare gli ambasciatori soltanto due ore e trenta dopo.

Jean Pierre Bemba, incontrato alla sua residenza affollata da militari in borghese e la cui corporatura imponente è quasi paciosa e mal si concilia con l’immagine di “mangiauomini”, sostiene: «Kabila ha tentato di assassinarmi per eliminarmi fisicamente ed instaurare una dittatura». Chi, sotto le cannonate, era in contatto con Kabila era il rappresentante dell’Onu nella Rdc: William Swing. Già due volte ambasciatore Usa a Kinshasa è, secondo vox populi, «l’assassino di Kabila (padre)» per il suo essere stato «un rivoluzionario degli anni ’60 al potere con trent’anni di ritardo».

Per Swing, dai modi affabili, elegante nel suo smoking e innamorato, insieme alle moglie, di Roma, «non c’è stato attacco agli ambasciatori» e «una commissione di inchiesta appurerà l’accaduto». Non è successo niente, la comunità internazionale ha stentato a condannare l’accaduto e tutto continua come se niente fosse.

La necessità che si arrivi al termine del processo di transizione, iniziato tre anni fa e già con un anno di ritardo sulla tabella di marcia inizialmente stabilita, è anche il viceministro degli Esteri, Patrizia Sentinelli, in visita per due giorni nella Rdc. «La comunità internazionale deve aiutare il Congo a chiudere questa fase delicata. Lo chiede il popolo congolese la cui voglia di pace è stata testimoniata con la massiccia presenza alle urne al primo turno. Vogliamo evitare che alla tensione segua la disaffezione», dice Sentinelli che ha incontrato, tra gli altri, i due candidati e sottoscritto con la Rdc un accordo sugli investimenti italiani nel Paese. Ma è in questo momento tutta la comunità internazionale a percepire la precarietà della situazione. Soltanto questa settimana si sono recati a Kishasa Javier Solana, “ministro degli esteri” dell’Ue - secondo cui «Kabila può vincere al secondo turno» -, Thabo Mbeki, presidente del Sud Africa e stato mediatore nel conflitto, e il ministro della Difesa belga. Il Ciat ha proposto il rientro nelle caserme di esercito e milizie personali. La Cei chiede che l’Onu, la cui missione in Congo ha schierato migliaia di uomini nella capitale congolese e i cui blindati sono visibili agli angoli delle strade, e l’Eufor (la forza di interposizione europea inviata per le elezioni) «garantiscano la sicurezza a Kinshasa».

Se le armi fremono, si muove anche il variopinto panorama politico congolese. Nel mese che manca al voto si stringono alleanze alla ricerca dei consensi per garantirsi l’elezione. A parere unanime, l’ago della bilancia sarà Antoine Gizenga, ottantenne a capo del Partito lumumbista (Palu) forte del terzo posto alle presidenziali con il 13 percento che il 30 agosto è stato in visita sia da Bemba che da Kabila. Secondo voci di popolo l’ex vicepremier di Patrice Lumumba, il primo primo ministro del Congo indipendente ucciso dalla Cia e dai servizi belgi nel 1961, sarebbe stato comprato dal presidente del governo di transizione per due milioni di dollari. Altri sostengono che il sostegno a Kabila sia dovuto al fatto che suo padre, Joseph, fosse stato ministro del governo di Gizenga, a Stanleyville, oggi Kisangani, ai tempi del governo ribelle. Resta l’incognita sull’indicazione di voto da parte degli elettori del Palu, tradizionali oppositori di Mubutu prima e oggi di Kabila. Gli accordi per il secondo turno sono fondamentali anche vista la composizione del nuovo Parlamento. La coalizione di Kabila ha tra i 208 ed i 230 seggi, mentre il partito di Bemba ne detiene un centinaio. Il Palu sta di Gisenza una trentina. Il Primo ministro, secondo la nuova Costituzione, dovrà essere eletto dai deputati, che sono in tutto cinquecento, e non più dal capo dello Stato.

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