Conflitti

“Iraq for sale”, i profitti di una guerra privatizzata

Nel nuovo documentario di Robert Greenwald l’identikit di Halliburton, Blackwater, Caci e Titan, quattro tra le principali compagnie beneficiarie di un conflitto gestito da professionisti delle armi
15 settembre 2006
Miriam Tola
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Novantanove dollari per un sacco di biancheria sporca. Quarantacinque per una confezione di lattine di Coca Cola. Affermare che una serie di corporation americane ricavano profitti colossali dalla guerra in Iraq è ormai un luogo comune. Tuttavia, un’analisi in profondità del flusso di denaro pubblico che scorre senza sosta dalle casse del governo a quelle delle aziende che forniscono “servizi” al Pentagono rivela dettagli sconvolgenti.
Iraq for sale, nuovo documentario di Robert Greenwald, regista di Outfoxed e Wal-Mart, offre l’identikit a tinte nerissime di Halliburton, Blackwater, Caci e Titan, quattro tra le principali compagnie beneficiarie di una guerra al terrore sempre più privatizzata.

Il film, collezione di testimonianze di prima mano di professionisti della guerra, famiglie di vittime ed esperti, apre con la testimonianza di Kathryn Helvenston e Donna Zovko, madri di due contractors uccisi a Falluja, in uno degli episodi più brutali del conflitto. Il 31 marzo del 2004 quattro uomini della Blackwater sbagliarono strada e si ritrovarono a guidare nel centro della roccaforte sunnita. Il convoglio venne attaccato e i cadaveri degli uomini vennero fatti a pezzi, bruciati ed esposti da un ponte sull’Eufrate. La rappresaglia americana fu devastante. Falluja venne assediata e distrutta. Un’intera città pagò il prezzo della morte dei quattro soldati privati. In un comunicato stampa Blackwater affermò: «I nostri compiti sono pericolosi e nonostante la tristezza per la caduta dei nostri colleghi, siamo anche orgogliosi di portare libertà e democrazia al popolo iracheno».

Secondo Kathryn Helvenston e Donna Zovko le cose andarono diversamente dalla versione ufficiale: «Blackwater li ha mandati in missione con due uomini di meno. I veicoli su cui viaggiavano dovevano essere blindati ma non lo erano. Avrebbero dovuto avere mappe e una rotta prestabilita ma non ebbero tempo di preparare tutto» dicono nel documentario. Così hanno fatto causa all’azienda e sono in attesa del processo.

Ben Carter, specialista nella purificazione dell’acqua, assunto in Iraq da Halliburton, scoprì che l’acqua fornita ai soldati era contaminata. I suoi superiori gli vietarono di passare l’informazione ai militari e lo costrinsero alle dimissioni. Carter, che scoppia in lacrime davanti alla telecamera, parla di «sprechi incredibili e stardard di sicurezza compromessi».

Marwan Mawiri, arabo americano, ha lavorato in Iraq come traduttore per la Titan che ha fornito personale per gli interrogatori alle forze americane. A Greenwald ha raccontato l’incompetenza degli uomini assunti per facilitare la comunicazione tra militari e prigionieri: «Non c’è stato nessun addestramento. I manager della Titan hanno assunto traduttori non qualificati, non c’era nessuna supervisione o verifica per assicurare all’esercito traduzione accurate».

Uno dei pochi volti noti del film è Janis Karpinski, l’ex responsabile di Abu Ghraib. «Quando ho visto per la prima volte le immagini (delle torture ndr) ho chiesto al comandante della divisione investigativa che me le mostrava: perché ci sono traduttori attorno ai prigionieri? Ha risposto che non si trattava di traduttori ma di addetti agli interrogatori della Caci». Il ruolo di Titan e Caci nelle torture è descritto nel rapporto del generale Antonio Taguba: prima dello scandalo di Abu Ghraib tutti i venti interpreti del carcere erano assunti da Titan e circa metà degli addetti agli interrogatori erano pagati da Caci. Secondo il rapporto almeno un terzo del personale incaricato di ottenere informazioni dai prigionieri «non aveva ricevuto un training formale nelle tecniche e nelle procedure di interrogatorio».

Dalle testimonianze di numerosi esperti intervistati da Greenwald emerge chiaramente che i contractors non rispondono né alla corte marziale né alla legge irachena. Operano in un limbo giuridico e forse proprio per questo sono utilizzati per le operazioni più sporche e pagati con denaro sonante. Cifre che superano di gran lunga quelle guadagnate dai soldati anche se qualche volta sono loro ad addestrare i mercenari. E’ il caso di David Mann, esperto radio-meccanico dell’esercito che in Iraq si è ritrovato ad insegnare il suo lavoro a uomini della Kbr pagati quattro volte tanto. Il denaro vero però arriva nei conti dei Ceo. A fine agosto un rapporto dell’Institute for Policy Studies (www. ips-dc. org) ne ha rivelato la consistenza: dal settembre 2001, trentaquattro top manager delle aziende che hanno contratti con l’amministrazione per servizi connessi alla sicurezza hanno duplicato i loro stipendi. Un esempio? Tra i tanti Greenwald ha citato quello dell’amministratore delegato della Halliburton che nel 2005 ha messo in tasca 26,6 milioni di dollari. Parte degli incassi finiscono nel circuito perverso di lobbying e pressioni, sui politici, soprattutto Repubblicani. Paradigmatico il caso della Blackwater riferito dal giornalista indipendente Jeremy Scahill, autore di una serie di inchieste e di un libro in uscita a febbraio dal titolo Blackwater: The Rise of the Most Powerful Mercenary Firm in the World. «Poche corporation hanno beneficiato dei favori dell’amministrazione Bush più di Blackwater. Oltre all’Iraq e all’Afghanistan, gli uomini della Blackwater sono operativi anche come guardie del corpo dei diplomatici americani e un anno fa erano presenti anche nella New Orleans distrutta dall’uragano Katrina. Il fondatore Erik Prince condivide la visione cristiano-fondamentalista di Bush. Dal 1989 a oggi, dei fondi erogati con generosità ai politici, Prince non ha mai dato neppure un centesimo ai Democratici in corsa per cariche nazionali».

Prince e gli altri manager chiamati in causa da Iraq for sale, hanno rifiutato, dice Greenwald, di rilasciare dichiarazioni e comparire nel film. Ma già le corporation preparano le contromanovre. Melissa Norcross, portavoce di Halliburton ha dichiarato al Washington Post di aver fornito a Greenwald informazioni dettagliate sul lavoro di Kbr in Iraq. «Potrebbe essere - ha detto - che Greenwald abbia deciso di non includerle perché i fatti non supportano le sue tesi». Smentite e accuse di imprecisione sono arrivate anche da Caci. Silenzio assoluto, per ora, da Blackwater.

Il regista però ha già messo a segno qualche colpo visto che anche il New York Times, non esattamente un quotidiano radicale, ha definito Iraq for sale «un catalogo terrificante di avidità, corruzione e incompetenza». Il documentario, finanziato in parte con sottoscrizioni di chi ha amato Wal-Mart e Outfoxed, è stato realizzato in vista delle elezioni di mezzotermine di novembre. E Greenwald raccomanda di usarlo come arma per indebolire i repubblicani e l’ammnistrazione Bush. Distribuito da qualche giorno in alcune sale statunitensi, il film è in vendita in dvd sul sito www. iraqforsale. org. L’8 ottobre partirà la “Patriotism Over Profit Week” con una serie infinita di proiezioni nei luoghi più disparati: da jazz club a chiese presbiteriane fino a pizza-party casalinghi. La formula è stata già sperimentata con successo per il lancio di Wal-Mart: oltre mezzo milione di spettatori in settemila proiezioni.

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