Conflitti

Fatto sparire, dalla procura militare

Dima Panteleev è stato ucciso di botte, all'inizio di agosto, in una caserma non lontano da Mosca. Unico testimone Oleg, suo amico e commilitone. Che ora le autorità russe non fanno incontrare neppure con la madre
Anna Politkovskaya
Fonte: Novaya Gazeta - 11 settembre 2006

“Pensi, non ho nemmeno il diritto di sapere dove si trova! Che colpa ha Oleg? Di essere rimasto in vita per miracolo, quando lui e Dima sono stati aggrediti da un ufficiale ubriaco?”.

Ljudmila Stepanovna Šemerda piange all’altro capo del filo, mentre parliamo al telefono. Ljudmila si trova a Syktyvkar, nell’appartamento dei Panteleev, di quello stesso Dima Panteleev che è morto all’inizio di agosto a Luchovicy, non lontano da Mosca, tra le truppe del genio ferroviario, compagnia 32386. Oleg Šemerda è il principale testimone dell’omicidio.

Dima e Oleg si erano conosciuti in un punto di raccolta, nella città natale di Syktyvkar, più tardi si erano ritrovati nella stessa unità militare e lì avevano fatto amicizia. Stavano vicini, si proteggevano e si aiutavano. I due anni del loro servizio sarebbero terminati questo novembre, di qui a poco.

“Sapevamo che non andava bene niente nella loro compagnia – racconta la zia di Dima Panteleev, Tamara Aleksandrovna Mingaleva “Il comandante (i due nelle lettere lo chiamavano “l’ufficiale grosso”) estorceva loro denaro in continuazione. E noi continuavamo a spedirne, perché non venissero picchiati. L’ultima volta, alla fine di giugno, proprio per il compleanno di Dima. Ma Dima i soldi non li ha nemmeno ricevuti, come è emerso in seguito…”.

Durante tutta l’ultima estate il comandante della compagnia aveva mandato Dima e Oleg a fare lavori a giornata in un’azienda di silvicoltura del posto. Andavano la mattina e la sera tornavano alla compagnia. Non si sa chi ricevesse i soldi del loro lavoro (le indagini non l’hanno stabilito), sebbene lo si possa intuire, non siamo nati ieri.

Il 4 agosto tutto si svolse come al solito, solo che il comandante era ubriaco e la compagnia si era messa a festeggiare il Giorno del Ferroviere. Quando i soldati tornarono dal lavoro, Nikiforov convocò Šemerda e Panteleev nel suo ufficio e proprio lì inizio a picchiarli.

All’inizio picchiò Šemerda. A seguito di un colpo – si può immaginare di che forza fosse – Oleg andò a sbattere contro la porta dell’ufficio, volò dall’altra parte del corridoio e cadde privo di sensi sul pavimento dell’ufficio di protocollo. Questo gli salvò la vita. Il comandante, in preda alla furia, non rincorse il soldato Šemerda, gridò dalla porta spalancata di portare un secchio d’acqua e di rovesciarlo su Oleg. L’ordine venne eseguito e quando il soldato rinvenne, trovò il suo amico Dima ormai privo di sensi. Dima Panteleev entrò in coma, e senza aver ripreso conoscenza, morì all’alba dell’8 agosto nell’ospedale provinciale di Luchovicy. Gli trovarono un edema cerebrale dovuto a numerose contusioni, un trauma cranico e fratture alla mandibola.

“Siamo gente semplicissima – continua il suo racconto Tamara Aleksandrovna, la zia della vittima “la mamma di Dima è un’imbianchina, e io lavoro come assistente sociale. Quanto ci avranno deriso nella compagnia!… E’ evidente in che condizione sia sua mamma, è ancora sconvolta. È seduta di fianco a me, e non riesce a parlare… Dima era l’unico figlio di Tanja (Tat’jana Dmitrievna Panteleeva, la madre di Dima, N.d.A.). Invece di compassione, abbiamo trovato una totale indifferenza al nostro dolore da parte degli ufficiali, da parte di coloro che sono colpevoli della morte di Dima. Ci è stato concesso di vederlo solo a casa, prima del funerale, l’11 agosto. Non ci permettono di prendere visione dei risultati della perizia medico-legale, il giudice istruttore che segue il caso (V. Repan, inquirente della procura militare di Kolomen), allude al fatto che Dima fosse ammalato, e così è successo... Come, malato? L’avevano arruolato, era in buona salute; è stato ucciso, soffriva quindi di qualche malattia? … Abbiamo raccolto tutti i certificati, abbiamo preso la cartella clinica dall’ospedale, non dicono niente, nessuna malattia… Dove vogliono arrivare? Vogliono forse giustificare l’omicidio?”.

Quello che era successo a Dima e Oleg, Ljudmila, la madre del soldato sopravvissuto, l’ha saputo dai familiari di Dima, quando le hanno detto del funerale. Da parte della compagnia non le è stato comunicato niente da nessuno.

“Sono andata a Luchovicy – racconta la madre di Oleg - e mio figlio non era da nessuna parte. Non dimenticherò mai la prima cosa che mi ha detto il comandante della compagnia: A causa dei vostri figli sono stato richiamato dal congedo!. Era proprio scontento. E noi cosa dovremmo fare? In procura dicono: stiamo nascondendo Oleg, è già la terza volta che lo stiamo trasferendo di compagnia”.

“E perché fanno questo? Voi lo capite? Ci hanno spiegato che i fratelli del comandante Nikiforov, anch’essi ufficiali, gli starebbero dando la caccia. Che fesseria: se gli stanno dando la caccia degli ufficiali, perché non li fermano? Invece non si sa dove tengano mio figlio in ostaggio… in procura mi hanno detto: Non dovete sapere dove si trova, per la sua sicurezza. Ma io ho chiesto di vederlo almeno una volta, volevo sapere se fosse vivo, e dopo aver insistito a lungo mi hanno concesso un incontro, ma solo in presenza del procuratore. Non avevamo il diritto di parlare in privato”.

“Lo stanno forse accusando di qualcosa? È per caso in arresto?”. No, certamente. Sarebbe la parte offesa. Ha subito danni morali, gli hanno ucciso un amico, e allo stesso tempo fisici. Inoltre è il testimone chiave.

Ljudmila Stepanovna descrive la condizione fisica e morale di Oleg, in quel breve incontro sorvegliato, come catastrofica. “Sono semplicemente inorridita. Tutto emaciato, pallido, inquieto e scoraggiato. Mi ha detto di stare male, di essere stato portato a Mosca, ma di non sapere dove, e che lì il medico gli ha diagnosticato un ematoma della zona sincipito-temporale dell’encefalo. Ma non lo curano neanche, e non so nemmeno dove posso chiamare per sapere se è vivo, come sta!”.

Per il momento, non c’è nulla da aggiungere a questo racconto. Nella procura militare di Kolomen, di fatto, si rifiutano categoricamente di commentare sia la causa intrapresa contro il comandante Nikiforov, sia il comportamento dei fratelli dell’ufficiale accusato di omicidio, non vogliono dire dove si trova il soldato Šemerda, cosa gli stia accadendo, le sue condizioni e chi lo stia curando.

Tutto ciò delinea una situazione strana, che fa accapponare la pelle: cosa stanno facendo al testimone chiave dietro quella inaccessibile porta di ferro con le stelle rosse? Che deposizione personale firmerà questo testimone chiave dell’accusa? Che cosa stabiliranno le indagini?

È ovvio che le autorità militari stanno studiando una storia plausibile, che permetta, almeno in parte, di trarre d’impaccio l’ufficiale: la lezione del “Caso Syčev” è stata ben assimilata dal ministero della Difesa, e non si vorrebbe proprio che venissero ripetuti gli “errori” commessi a Čeljabinsk.

In effetti, perché non presentare il tutto come se Nikiforov non avesse colpito il soldato poi così violentemente, ma appena appena, e il resto fosse stato causato da “malattie ereditarie” di Dima Panteleev? I tentativi di realizzare una simile metamorfosi nella storia del martirio del soldato Andrej Syčev sono stati intrapresi molte volte, e tutto questo perché il ministro della Difesa potesse avere pieno diritto di scaricare i delitti nell’esercito esclusivamente sulla “brutta gente”, ovvero sul contingente di soldati deboli di salute, di mente e di formazione, che si erano arruolati solo per bere e fare a pugni.

Ora è il momento giusto per una simile rielaborazione del caso sulla morte di Dima Panteleev: Dima è nella tomba, la famiglia sotto shock, non le sono stati consegnati i risultati della perizia medico legale, Tat’jana Dmitrievna Panteleeva non è in grado di lottare per averli – allora, su, datevi da fare, il testimone chiave con un ematoma al cervello è a vostra assoluta disposizione… Davanti a un quadro simile, tutto rientra in un ordine logico. Semplicemente non possono esserci altre giustificazioni al fatto di tener nascosto Oleg Šemerda a sua madre e di impedire loro persino di conversare in privato.

Note: Traduzione per Peacelink e Osservatorio sui Balcani a cura di Paolo Ares Frigerio

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